Ricorda l'intervento su Il Mulino:
«Secondo Nicola Rossi la sinistra dovrebbe impugnare con decisione una bandiera liberale, perché, da noi più che altrove, efficienza, competizione e meritocrazia si accompagnano per gran parte della strada a equità e giustizia sociale. Nelle professioni, nelle imprese, nell'università, nell'intero settore pubblico vanno smantellate le norme e sanzionati i comportamenti che sostengono collusioni corporative e impediscono ai giovani, ai "capaci e meritevoli", di affermarsi. Non ai figli di papà, che se la cavano sempre, ma a tutti...»Ebbene, Salvati non sa spiegarsi perché Rossi se la prenda con Fassino e il suo partito, ma poi coglie il nodo, pur non accorgendosene. «Che colpa ha Fassino se deve convivere con Bertinotti, che, al solo sentir parlare di politiche liberali, gli prende l'orticaria?». Ebbene, ha esattamente la colpa di convivere con Bertinotti. Non è una necessità, come sembra a Salvati, ma una scelta in cui si antepone la conquista del potere alla sfida culturale - con tutti i suoi costi elettorali nel breve periodo - di costruire una nuova sinistra: moderna, di governo, liberale.
Eppure, più si ritarda quella sfida, di una sinistra cioè che, come nel resto d'Europa, faccia a meno delle ali estreme che si richiamano al comunismo, più lunga sarà la traversata del deserto all'opposizione, da impiegare per elaborare un nuovo progetto culturale e politico per una sinistra liberale e moderna.
E' lo stesso problema che individua anche Franco Debenedetti: «... l'idea è stata quella della santa alleanza: e se si vogliono tenere tutti uniti a prevalere sono gli obiettivi dell'estrema... Prevale l'idea di difendere i Ds dalle pretese eccessive della Margherita, la preoccupazione di tenere dentro tutti nel Partito Democratico».
Ciò che è accaduto nel partito in questi anni è che «si sono qualificati per mercatisti esponenti politici che scambiavano la spolveratina dei tempi della privatizzazione e dell'accreditamento alle grandi banche internazionali come una vera e propria svolta politica». Nel frattempo, però, «il grosso del partito ha considerato quelle vicende non come il taglio alle vecchie radici, bensì come l'adesione togliattiana a punti di vista volta per volta più convenienti...»
Impietosa l'accusa di Debenedetti all'attuale Governo e ai vertici dei Ds: «Pensano che dirsi riformisti sia barare sulle cifre della finanza pubblica per allargare il perimetro dello Stato e avere molte risorse da spendere: vecchio socialismo pre-thatcheriano, nulla a che vedere col riformismo vero. Zapatero avrà fatto fuochi d'artificio sui diritti civili, ma sulla politica economica non ha toccato praticamente nulla di quanto gli ha lasciato Aznar».
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