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Wednesday, June 13, 2007

Il problema dei palestinesi non si chiama Israele

Nella striscia di Gaza si spara. Ma le pallottole non sono israeliane né americane, quindi nessuno ci fa caso. Si ammazzano soprattutto fra loro e in Europa la stampa filopalestinese è stordita, non sa con chi prendersela. Chiamarla "guerra civile" è suggestivo e cattura l'immaginazione degli editorialisti nostrani, ma di golpe militare si tratta. Venti di guerra che soffiano dall'esterno. I veri aggressori si nascondono a Teheran e a Damasco, ma nessuno s'indigna, nessuno manifesta per i palestinesi, se le pallottole non sono israeliane. Non s'indignano i Furio Colombo e le Barbara Spinelli, i Vittorio Zucconi e gli Eugenio Scalfari. Non manca il solito irresponsabile Onu per il quale è tutta colpa degli Usa.

Il rischio è la "sindrome Mogadiscio": anarchia e infezione islamista.

Hamas dispone di circa 15 mila uomini ben armati, dotati di RPG e mezzi blindati, e ha intenzione di utilizzarli per cacciare Fatah dalla striscia di Gaza. Cadute nel vuoto le disperate richieste di rinforzi dei comandanti di Fatah ad Abu Mazen, che si è limitato a invocare un cessate-il-fuoco. «Preparano un golpe», ha denunciato il presidente palestinese nell'indifferenza di una comunità internazionale che sembra impietrita.

Due notti fa lanci incrociati di granate: sull'ufficio del presidente, leader di Fatah, e sulla residenza del premier Haniyeh, leader di Hamas. Allo scadere dell'ultimatum con cui Hamas ha intimato ai capi di Fatah di abbandonare le posizioni, i miliziani hanno scatenato intensi combattimenti sui comandi dei servizi di sicurezza. Per ora 55 morti. Non si tratta di scontri diffusi e caos, ma di una strategia militare preordinata che mira alla conquista del territorio.

L'espulsione di Fatah dalla striscia di Gaza sembra inevitabile. Si va verso una situazione in cui Fatah governerà a Ramallah, ma dovrà combattere per mantenere il controllo sui Territori, e Gaza sarà sotto il totale controllo di Hamas, forza fondamentalista manovrata da Iran e Siria.

Considerando anche che le forze armate libanesi non riescono a debellare le milizie filo-siriane nel campo di Nahr al-Bared, i due regimi conquisterebbero due importanti enclave sulla costa. In gravi difficoltà i due governi appoggiati dagli Stati Uniti e dall'Europa, quello libanese di Siniora e quello palestinese di Abu Mazen. Il sostegno economico e militare non basta.

Che sia la premessa della guerra contro Israele in preparazione per l'estate 2007?

Egitto e Giordania resteranno a guardare, mentre ai loro confini nasce un enorme campo base terrorista?

Israele sembra in completa paralisi politico-strategica. Non c'è dubbio che nei piani di Sharon il ritiro da Gaza dovesse portare non a un disimpegno, ma a un chiarimento di responsabilità che eventualmente avrebbe permesso di combattere senza le mani legate dallo status di "occupante" contro le organizzazioni terroristiche palestinesi. Un premier israeliano che chiede l'intervento di forze Onu è invece segno di una inedita debolezza.

Chissà se questa ennesima deriva non serva almeno a risvegliare la coscienza dei palestinesi: il loro problema non è Israele.

3 comments:

Anonymous said...

E che dice Diliberto? E la rete di indymedia?

Ai Palestinesi mancano da sempre le uniche cosa di cui avrebbero davvero necessità: LIBERTA' e DEMOCRAZIA.

E così fanno la fine di tutti i poveri popoli che sono rimasti quieti finchè un dittatore spietato li ha schiacciati: gli yugoslavi, gli iracheni, i sovietici, ...

Anonymous said...

Non dicono niente. Come non hanno mai detto niente davanti ai genocidi, agli stermini di massa, ai milioni di bambini che morivano di stenti.

Eccoli i veri difensori degli inermi.

Dov'è Franca Rame? E Heidi Giuliani? E Grillo? E gli Strada Luigi? E il popolo della pace? E "i la guerra ci fa schifo"? Non si indignano? Non accendono candele? Non organizzano adunate oceaniche al Circo Massimo?

Anonymous said...

E le bestie pacifinte non lo vogliono capire...