E' uno stillicidio di giornalisti e attivisti per i diritti umani in Russia, neanche fossimo in Birmania o in Iran, ma la comunità internazionale sembra ormai assuefatta. L'ultima vittima in ordine di tempo è Natalya Estemirova. Avrete già letto di lei e della sua attività di denuncia sui giornali e non sto a ripetervi le considerazioni fatte decine di volte sulla Russia di Putin. Se una novità è possibile registrare questa volta, è senz'altro nella reazione del presidente russo Medvedev. I responsabili dell'omicidio, ha assicurato, «saranno trovati e puniti». Fin qui niente di particolarmente originale, anche se Putin aveva commentato l'uccisione della Politkovskaya con un laconico «nessuno la conosceva».
Ha ragione Novazio, oggi su La Stampa, quando scrive che «a rendere significativo l'intervento del capo del Cremlino sono altre, più incisive, parole: la giornalista, che aveva svelato sequestri, torture e omicidi delle forze filorusse in Cecenia "diceva la verità", sostiene il presidente: "Il suo assassinio è legato alla sua attività professionale, utile per uno Stato normale"».
Parole che fanno ben sperare sul futuro della Russia, ma saranno i fatti, non le parole, a fare di Medvedev un democratico, e probabilmente le sue parole di ieri sono state dettate in parte dalla circostanza (l'incontro con la cancelliera Merkel) e dalla strumentalità, ma intanto le annotiamo, perché se è vero che Medvedev deve a Putin la presidenza, è anche vero che per restarci ha bisogno di rafforzare il suo personaggio, di crearsi una propria identità politica indipendente e riconoscibile, anche smarcandosi dall'immagine di Putin. E uno dei modi è senz'altro acquisire una maggiore rispettabilità agli occhi dell'Occidente.
Anche se spinto dall'ambizione personale più che da nobili ideali, c'è da augurarsi che voglia emanciparsi politicamente da Putin e che la sua reazione di ieri sia un sintomo di questo processo. Ne potrà scaturire solo del bene. Uno dei temi dei prossimi mesi e anni per capire dove andrà la Russia è proprio questo: Medvedev saprà emanciparsi da Putin?
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Friday, July 17, 2009
Thursday, December 20, 2007
La falsa stabilità putiniana

André Glucksmann, in un intervento sul Corriere della Sera, critica duramente la scelta e ne contesta in particolare le motivazioni, negando che Putin sia artefice di stabilità nel suo paese e promotore di sicurezza a livello internazionale. Sono questi i due concetti chiave, la cui reale nozione a suo avviso viene travisata, su cui si sviluppa la sua critica.
L'intellettuale francese rammenta la popolazione cecena «massacrata», la libertà dei mezzi d'informazione «ridotta all'osso»; l'uccisione dei «giornalisti più coraggiosi per rimettere in riga gli altri». A fronte di tutto questo e molto altro, «invece i giornalisti del Time si sforzano di definire qual è il "bene" che Putin ha portato al suo popolo e al mondo: una "stabilità" che la Russia non conosceva da un secolo. "Prima l'ordine, poi la libertà". E questo equivale a dire che la scelta di Time Magazine è al tempo stesso ingenua, irrazionale e immorale. In realtà, non esiste stabilità quando le diverse mafie al potere si demoliscono e si eliminano reciprocamente all'ombra del Cremlino... occorre ignorare di proposito i regolamenti di conti, gli omicidi su commissione, le detenzioni, le cure speciali negli ospedali psichiatrici e le deportazioni arbitrarie, per chiamare "stabilità" il clima di intimidazione permanente che organizza la spartizione delle ricchezze tra oligarchi e gallonati dell'Fsb... Che non sia la stabilità dei cimiteri?».
Venuta a conoscenza dell'omicidio di Paul Klebnikov, redattore capo dell'edizione russa della rivista Forbes, ricorda Glucksmann, Anna Politkovskaya scriveva: «È innegabile, la stabilità è tornata in Russia. Una stabilità mostruosa, in cui nessuno invoca giustizia... in cui solo un matto oserebbe ancora pretendere la protezione delle forze dell'ordine incancrenite dalla corruzione. La legge del taglione ha sostituito ormai il diritto, sia negli animi che nelle azioni. Ce ne da l'esempio il presidente stesso». Quella Anna che «non ha potuto apprezzare l'articolo di Time», morta assassinata a sua volta il 7 novembre 2006.
E ancora: «Occorre rinunciare a cuore e cervello e mettere a tacere la propria anima per incoronare Putin come garante della sicurezza mondiale».
Insomma, Glucksmann contesta alla radice i meriti attribuiti da Time a Putin: non c'è "stabilità" in Russia, ma un fragile equilibrio tra bande e oligarchi di una nomenklatura che occupa palazzi del potere, servizi segreti e Gazprom, in un contesto di illegalità, corruzione e violenza.
Né si può sostenere che Putin abbia reso la Russia un attore che promuove "sicurezza" sulla scena internazionale. Ne abbiamo avuta conferma proprio ieri, al Consiglio di Sicurezza dell'Onu sullo status del Kosovo, ma è Paul Berman, intervistato dal Corriere, a puntare il dito su due dei tavoli ai quali la Russia gioca una partita spregiudicata e fonte di instabilità: «Putin mi sembra troppo pronto a collaborare con il regime degli ayatollah in Iran, che mira ad avere l'atomica e reprime l'opposizione. Per ciò che concerne l'Europa, Putin attua una strategia energetica ricattatoria, si serve del gas e del petrolio per condizionarla».
La Russia, è la constatazione di Berman, «non appartiene ancora al mondo delle democrazie». E sembra che «il futuro democratico della grande nazione non sia nelle mani del suo presidente, che ha controllato dall'inizio alla fine la campagna elettorale e il processo politico, ma in quelle dei dissidenti, che vanno aiutati». Preso atto che la condizione della Russia «è mista», occorre da parte dell'Occidente una «risposta mista», ossia di «pressioni e dialogo assieme». Bisogna «tornare ad appoggiare i dissidenti», a «conferire più prestigio ai loro leader». Anche se è «molto triste dover chiamare di nuovo l'opposizione "dissidenza", è un segno che la battaglia per la democrazia rimane aperta».
Non si può certo «far scomparire chi è al potere al Cremlino, ma non dobbiamo nemmeno fingere di avere di fronte dei democratici. Occorre continuare a trattare senza venire meno ai nostri principi: da un lato, cercare accordi dove possibile, dall'altro denunciare le violazioni dei diritti umani».
Nessun isolamento, è dunque la ricetta di Berman, che sarebbe oltretutto velleitario, ma il perseguimento degli interessi comuni con Mosca va «accompagnato dal dialogo con gli uomini d'affari russi, con i leader della società civile, da un impegno complessivo e soprattutto da una vigorosa difesa dei diritti umani».
Monday, August 27, 2007
C'è ancora un giudice a Mosca?
Non ci speravamo, ma ecco i primi arresti per l'omicidio della giornalista Politkovskaya. «L'omicidio è stato organizzato da un gruppo criminale guidato da leader ceceni ed è legato all'omicidio del giornalista statunitense Klebnikov avvenuto nel 2004 e a quello del primo vicepresidente della banca centrale russa Klozov». Così il procuratore generale russo Iuri Ciaika.
Tra i dieci arrestati, riferisce il giornale della giornalista assassinata, la Novaia Gazeta, «esponenti di un grosso gruppo etnico criminale specializzato nei delitti su commissione», ma anche «funzionari ex e attuali degli organi di polizia e dei servizi segreti russi», accusati di depistaggio e racket. Il coinvolgimento dei funzionari russi è stato confermato anche dal procuratore. Se il gruppo criminale ceceno è «specializzato nei delitti su commissione», difficile non sospettare gli agenti russi come mandanti.
Vedremo gli sviluppi dell'inchiesta (o che fine farà il procuratore), ma il rischio è che il gruppo criminale venga indicato anche come mandante e i russi come funzionari corrotti, poche mele marce, perfetti capri espiatori sacrificati per chiudere la vicenda senza coinvolgere in pieno l'Fsb.
In ogni caso, il ruolo di funzionari di polizia e agenti dell'Fsb lascia aperte due ipotesi: il Cremlino è coinvolto nella pianificazione dell'omicidio, o quanto meno da lì è giunto il via libera per l'eliminazione della giornalista; oppure, Putin non ha il pieno controllo delle forze di sicurezza.
Tra i dieci arrestati, riferisce il giornale della giornalista assassinata, la Novaia Gazeta, «esponenti di un grosso gruppo etnico criminale specializzato nei delitti su commissione», ma anche «funzionari ex e attuali degli organi di polizia e dei servizi segreti russi», accusati di depistaggio e racket. Il coinvolgimento dei funzionari russi è stato confermato anche dal procuratore. Se il gruppo criminale ceceno è «specializzato nei delitti su commissione», difficile non sospettare gli agenti russi come mandanti.
Vedremo gli sviluppi dell'inchiesta (o che fine farà il procuratore), ma il rischio è che il gruppo criminale venga indicato anche come mandante e i russi come funzionari corrotti, poche mele marce, perfetti capri espiatori sacrificati per chiudere la vicenda senza coinvolgere in pieno l'Fsb.
In ogni caso, il ruolo di funzionari di polizia e agenti dell'Fsb lascia aperte due ipotesi: il Cremlino è coinvolto nella pianificazione dell'omicidio, o quanto meno da lì è giunto il via libera per l'eliminazione della giornalista; oppure, Putin non ha il pieno controllo delle forze di sicurezza.
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