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Thursday, December 20, 2007

La falsa stabilità putiniana

Siamo d'accordo che "il personaggio dell'anno" di Time non debba per forza avere un connotato positivo, ma che soprattutto venga scelto per la propria capacità di incidere sul corso degli eventi e di influenzare la vita di milioni di persone. Eppure, il settimanale Usa avrebbe potuto presentare molto diversamente da come ha fatto la decisione di proclamare il presidente russo Vladimir Putin "Person of the Year".

André Glucksmann, in un intervento sul Corriere della Sera, critica duramente la scelta e ne contesta in particolare le motivazioni, negando che Putin sia artefice di stabilità nel suo paese e promotore di sicurezza a livello internazionale. Sono questi i due concetti chiave, la cui reale nozione a suo avviso viene travisata, su cui si sviluppa la sua critica.

L'intellettuale francese rammenta la popolazione cecena «massacrata», la libertà dei mezzi d'informazione «ridotta all'osso»; l'uccisione dei «giornalisti più coraggiosi per rimettere in riga gli altri». A fronte di tutto questo e molto altro, «invece i giornalisti del Time si sforzano di definire qual è il "bene" che Putin ha portato al suo popolo e al mondo: una "stabilità" che la Russia non conosceva da un secolo. "Prima l'ordine, poi la libertà". E questo equivale a dire che la scelta di Time Magazine è al tempo stesso ingenua, irrazionale e immorale. In realtà, non esiste stabilità quando le diverse mafie al potere si demoliscono e si eliminano reciprocamente all'ombra del Cremlino... occorre ignorare di proposito i regolamenti di conti, gli omicidi su commissione, le detenzioni, le cure speciali negli ospedali psichiatrici e le deportazioni arbitrarie, per chiamare "stabilità" il clima di intimidazione permanente che organizza la spartizione delle ricchezze tra oligarchi e gallonati dell'Fsb... Che non sia la stabilità dei cimiteri?».

Venuta a conoscenza dell'omicidio di Paul Klebnikov, redattore capo dell'edizione russa della rivista Forbes, ricorda Glucksmann, Anna Politkovskaya scriveva: «È innegabile, la stabilità è tornata in Russia. Una stabilità mostruosa, in cui nessuno invoca giustizia... in cui solo un matto oserebbe ancora pretendere la protezione delle forze dell'ordine incancrenite dalla corruzione. La legge del taglione ha sostituito ormai il diritto, sia negli animi che nelle azioni. Ce ne da l'esempio il presidente stesso». Quella Anna che «non ha potuto apprezzare l'articolo di Time», morta assassinata a sua volta il 7 novembre 2006.

E ancora: «Occorre rinunciare a cuore e cervello e mettere a tacere la propria anima per incoronare Putin come garante della sicurezza mondiale».

Insomma, Glucksmann contesta alla radice i meriti attribuiti da Time a Putin: non c'è "stabilità" in Russia, ma un fragile equilibrio tra bande e oligarchi di una nomenklatura che occupa palazzi del potere, servizi segreti e Gazprom, in un contesto di illegalità, corruzione e violenza.

Né si può sostenere che Putin abbia reso la Russia un attore che promuove "sicurezza" sulla scena internazionale. Ne abbiamo avuta conferma proprio ieri, al Consiglio di Sicurezza dell'Onu sullo status del Kosovo, ma è Paul Berman, intervistato dal Corriere, a puntare il dito su due dei tavoli ai quali la Russia gioca una partita spregiudicata e fonte di instabilità: «Putin mi sembra troppo pronto a collaborare con il regime degli ayatollah in Iran, che mira ad avere l'atomica e reprime l'opposizione. Per ciò che concerne l'Europa, Putin attua una strategia energetica ricattatoria, si serve del gas e del petrolio per condizionarla».

La Russia, è la constatazione di Berman, «non appartiene ancora al mondo delle democrazie». E sembra che «il futuro democratico della grande nazione non sia nelle mani del suo presidente, che ha controllato dall'inizio alla fine la campagna elettorale e il processo politico, ma in quelle dei dissidenti, che vanno aiutati». Preso atto che la condizione della Russia «è mista», occorre da parte dell'Occidente una «risposta mista», ossia di «pressioni e dialogo assieme». Bisogna «tornare ad appoggiare i dissidenti», a «conferire più prestigio ai loro leader». Anche se è «molto triste dover chiamare di nuovo l'opposizione "dissidenza", è un segno che la battaglia per la democrazia rimane aperta».

Non si può certo «far scomparire chi è al potere al Cremlino, ma non dobbiamo nemmeno fingere di avere di fronte dei democratici. Occorre continuare a trattare senza venire meno ai nostri principi: da un lato, cercare accordi dove possibile, dall'altro denunciare le violazioni dei diritti umani».

Nessun isolamento, è dunque la ricetta di Berman, che sarebbe oltretutto velleitario, ma il perseguimento degli interessi comuni con Mosca va «accompagnato dal dialogo con gli uomini d'affari russi, con i leader della società civile, da un impegno complessivo e soprattutto da una vigorosa difesa dei diritti umani».

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