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Saturday, December 29, 2007

Molte teste e mani dietro l'assassinio della Bhutto

Il video è fin troppo chiaro: Benazir Bhutto non è morta sbattendo la testa, per il trambusto seguito alla deflagrazione del kamikaze, sul tettuccio dell'auto dalla quale si era sporta per salutare la folla, come ha sostenuto la polizia pachistana.

Dalle immagini si distingue perfettamente, un attimo prima dell'esplosione, la mano di un uomo che punta la pistola contro la Bhutto ed esplode due colpi. L'uomo riesce ad arrivarle a pochissimi metri di distanza, appena sotto al fuoristrada, dalla parte posteriore. Particolare che conferma la debolezza delle misure di sicurezza delle forze dell'ordine, e proprio nella cittadella militare di Rawalpindi (forse il luogo più controllato e blindato del paese, secondo gli analisti).

Quello di oggi sarà il giorno in cui verrà messa in dubbio la pista che porta ad Al Qaeda, a Mahsud, il suo luogotenente in Pakistan, e farà pensare invece più agli ambigui servizi segreti pachistani, se non direttamente a Musharraf. Certo, avrebbero fatto un grosso favore agli estremisti islamici, che dalla destabilizzazione del paese hanno tutto da guadagnare, ma avrebbero protetto anche ai loro interessi. E' noto infatti che la Bhutto intendeva porre dei limiti al loro strapotere nel paese.

Forse, per ora, rimane più probabile che ad uccidere Benazir sia stata la mano di Al Qaeda (e certo nessuno può credere all'alibi di queste ore, i fanatici che si fermerebbero di fronte alle donne in nome dell'islam). Ma sia dal punto di vista dei moventi che dell'organizzazione, tutto fa pensare a un attentato in tandem, fifty-fifty, Al Qaeda-Servizi segreti, dagli obiettivi non proprio sovrapponibili ma capaci di convergere nel comune interesse per la morte della Bhutto.

Morte che a giudicare dalle conseguenze, almeno in questo primo momento, sia in Pakistan sia a livello internazionale, non sembra favorire Musharraf, ma non si può neppure escludere quanto meno un suo via libera: in fondo, passata la tempesta iniziale, potrebbe rafforzarsi come unico uomo forte, agli occhi degli occidentali, in grado di mantenere il controllo sulla polveriera Pakistan.

Musharraf presidente non più generale e Benazir Bhutto primo ministro era lo scenario più probabile e verso cui con convinzione spingeva Washington, nell'ottica di un processo di democratizzazione e secolarizzazione del Pakistan. Una strategia condivisibile, ma bisogna anche pragmaticamente constatare che forse aver puntato troppo platealmente sulla Bhutto, ottenendo da lei assicurazioni sulla caccia ai terroristi nel Waziristan e nel resto del paese, l'ha in definitiva esposta mortalmente all'ira di troppi nemici contemporaneamente.

Oltre a non essere in grado di sradicare le roccaforti di Al Qaeda e dei Talebani nel Waziristan, un Pakistan destabilizzato si presta a divenire uno di quegli stati falliti in cui gli islamisti possono puntare a prendere il potere. Per questo l'unico modo in cui il Pakistan può davvero essere in grado di combattere il terrorismo è avere un governo legittimato democraticamente e secolare, che possa orientare il popolo pachistano contro Al Qaeda, i Talebani, e gli altri estremisti islamici.

Enzo Bettiza, su La Stampa di oggi, fa notare come dall'11 settembre in poi, nonostante gli attacchi in Spagna e Gran Bretagna, «la sequela degli attentati, tra autobombe e kamikaze suicidi, è stata molto più fitta, più ininterrotta, in definitiva più spietatamente concentrata nel labirinto dei Paesi islamici. L'ossessione dello "scontro di civiltà" tra Occidente e Islam appare, se non del tutto inesatta, quantomeno troppo rigida e preponderante se messa a confronto degli scontri di fazione e di potere che hanno seguitato a lacerare e lacerano soprattutto l'Islam». Di potere, politici, specifica bene Bettiza. Accortosi del calo delle azioni e del seguito di Al Qaeda in Iraq, è chiaro che Bin Laden o chi per lui sia «più che mai interessato a spostare il tiro principale sul Pakistan: forse ne vede già prossima la talebanizzazione a tappe spontanee più che forzate».

Di tutto questo l'Europa «dovrebbe tenere conto, evitando di separarsi dall'America o di tramutare gli errori americani in torti irreversibili. Cambiando l'ottica e il giudizio sulla realtà autocombustibile dell'Islam, mutando la nostra visione talora schematica del mappamondo, sarebbe improprio persistere soltanto nella critica irenica e nel "dialogo" in un momento in cui ci troviamo di fronte a un rischio dagli effetti incalcolabili: la possibile trasformazione del Pakistan in uno Stato talebano di prima classe con un arsenale di almeno 50 testate nucleari. La realtà con cui pure l'Europa così brava, così umana, così guardinga, dovrà nei prossimi tempi misurarsi va ben al di là delle bacchettate e dei dispetti tra occidentali: è l'atomo che può diventare brado a Islamabad o fisso sul missile a Teheran».

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