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Friday, December 21, 2007

Veltroni accerchiato, Berlusconi può rompere l'assedio

E' davvero spassosissima la telefonata tra Berlusconi e Saccà che Repubblica.it/L'Espresso ci ha dato modo di ascoltare sui suoi siti ieri. Lo è perché, come ha efficacemente scritto oggi Aldo Grasso sul Corriere, «è un piccolo capolavoro di antropologia culturale», un «dialogo surreale degno di Totò e Peppino», la scena di un film dei fratelli Vanzina. E' uno spaccato rappresentativo, a tutti i livelli, dal gradino più basso a quello più alto, dell'Italia in cui viviamo.

E ciò che più inquieta è che quella telefonata ci induce a immaginare un leader politico come Berlusconi, ex premier, che perde le sue giornate al telefono barcamenandosi tra raccomandazioni e favori. Vogliamo dirla tutta: Berlusconi non esce poi così male da quella telefonata. Meno arrogante di quanto si potesse supporre, più in balìa dei fastidi da comune mortale che abbia una briciola di potere a cui tutti cercano di aggrapparsi. E dal punto di vista politico ed economico "piazzare" due attricette per far cadere un governo che così tanti danni sta infliggendo al paese è un prezzo più che accettabile. Ben altro il giudizio politico su quei senatori che avendolo appoggiato, quel governo, erano disposti a farlo cadere per portarsi a letto due attricette. Ma siamo pur sempre nel politicamente, non nel penalmente rilevante. Tra l'altro, non essendo caduto il governo, è semmai ipotizzabile che alcuni di quei senatori siano stati "comprati" con provvedimenti in Finanziaria.

A volte le intercettazioni, seppure barbare, sono spassose, bisogna riconoscerlo. Gradiremmo solo che per par condicio si potessero ascoltare anche quelle di D'Alema e Fassino su Unipol, o i sottilissimi ragionamenti politici di un Casini, o di un Fini, o i disinteressatissimi contatti di Prodi con il mondo bancario, e chi più ne ha più ne metta. Detto questo, rispetto agli altri paesi la magistratura fa un abuso sconcertante, il più delle volte immotivato se non per motivi di ricatto politico, di intercettazioni: sono milioni e milioni di euro a carico del contribuente e sottratti a indagini e strumenti investigativi di ben più urgente necessità. Esplosa la bolla, le inchieste che dalle intercettazioni partono quasi mai arrivano al processo.

Peccato che chi ha confezionato l'attacco a Berlusconi non abbia fatto i conti con le doti di grande comunicatore del Cav., che ha subito, a mio avviso, girato a proprio vantaggio la situazione senza che i suoi avversari neanche se ne accorgessero. Trasformando il caso da un'ipotesi di corruzione di senatori - archiviata come inesistente dalla stessa procura che aveva aperto l'indagine e che probabilmente ha girato l'mp3 a la Repubblica - a un attacco contro la Rai, si badi bene, su un aspetto largamente condiviso dall'opinione pubblica.

L'establishment politico e giornalistico di sinistra, prigioniero del suo stesso pregiudizio, non se ne accorgeva e rilanciava scandalizzato le "ingiuriose" parole di Berlusconi su tutte le tv e le prime pagine dei giornali: «In Rai sono tutti raccomandati, a partire dal direttore generale. Ci lavora solo chi si prostituisce e chi è di sinistra».

Bene, bravi, bis. Con questa affermazione incontrovertibile Berlusconi ha vinto anche questa mano, posizionandosi in totale sintonia con l'opinione pubblica. E viene da ridere a leggere i nomi dei giornalisti Rai intervenuti sui giornali per difendere il proprio onore. Anzi, verrebbe da piangere. La Rai è tutta in quelle due frasi di Berlusconi. Niente di più, altro che di tutto di più. Lo sanno tutti.

Piuttosto sarebbe miope non inquadrare questa nuova polemica nella strategia lungo l'asse Palazzo Chigi-procure-la Repubblica volta a cannoneggiare e affondare il dialogo tra Veltroni e Berlusconi sulla legge elettorale. Attaccare Berlusconi per alimentare l'antiberlusconismo e rendere più costoso a Veltroni dialogarci, isolare e logorare il leader del Pd, prolungare la vita del Governo Prodi.

Ed è scellerato per chi, come i radicali, ha sempre spinto in direzione di una legge elettorale maggioritaria e bipartitica, non accorgersi che oggi il fronte più avanzato di quella battaglia è rappresentato da Veltroni e Berlusconi, non certo dai Mastella, dai Casini, dai D'Alema che cercano di sabotarli. I radicali potrebbero incalzare i due leader con l'uninominale, ma imbarcandosi con chi rema contro finiscono per remare contro se stessi, e sorge il sospetto che anche a loro interessi unicamente la sopravvivenza del governo.

Il dialogo, appunto. Veltroni è accerchiato: all'interno del suo stesso partito da dalemiani, fassiniani, rutelliani e mariniani, tutti per il modello tedesco; dall'esterno, dai "nanetti", che minacciano di far cadere il governo e quindi mettono Prodi contro Veltroni. «Guardate che io non mi faccio bruciare a fuoco lento», ha reagito giorni fa. Accusato di perseguire l'inciucio, giustamente ha osservato come il sistema tedesco sia «un inciucio che rischia di riportarci indietro ai tempi del pentapartito».

L'unico suo alleato è Berlusconi: condividono la preoccupazione di impedire, con qualsiasi legge elettorale, l'operazione di un partito di "centro" di matrice cattolica, la "cosa bianca", che si ponga come ago della bilancia del sistema politico. Come? Si vedrà, ma questo sembra un punto irrinunciabile per entrambi. E Giuliano Ferrara si sforza di strappare a entrambi anche la promessa che, qualsiasi sia la prossima legge elettorale, Pd e Pdl si presenteranno da soli.

Fino a quando la Corte costituzionale non ammetterà i referendum elettorali, la pistola carica puntata sulla tempia l'hanno Veltroni e Berlusconi, che non possono usare fino in fondo il ricatto referendario.

Ma per rompere l'assedio Berlusconi potrebbe raccogliere l'assist che Veltroni potrebbe avergli voluto lanciare. Il doppio turno di collegio alla francese è «sul tavolo, non l'abbiamo mai ritirato», avrebbe detto il segretario del Pd secondo quanto riportava oggi Goffredo De Marchis su la Repubblica. Fini e D'Alema non potrebbero dire di no, sostenendolo da sempre come prima opzione. E' noto che Berlusconi, però, non ama i collegi uninominali ed è convinto che i moderati non vadano a votare la seconda domenica. Panebianco giorni fa invocava un ulteriore slancio politico di Berlusconi, che potrebbe dirsi «pronto a un accordo sul maggioritario a doppio turno di tipo francese», spiazzando alleati e avversari, mettendo così alla prova sia Fini, sia Veltroni, sia tutti «quelli che (soprattutto dentro il Partito democratico) sono sempre stati pronti, a parole, a immolarsi per quel sistema elettorale».

Eppure, a un escamotage per far accettare a Berlusconi il doppio turno alla francese si potrebbe lavorare.

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