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Monday, February 18, 2008

Sotto i tagli fiscali un iceberg di proposte stataliste

Berlusconi e Fini sono ancora al palo, fermi ai blocchi di partenza. Forse in attesa della decisione di Casini, la campagna elettorale del PdL non è ancora iniziata e Veltroni ha subito ridotto lo svantaggio iniziale, mettendo per primo sul tavolo le sue proposte e presentandosi in modo aggressivo, soprattutto per quanto riguarda due aspetti, però fondamentali: l'elemento novità, che cerca di personificare, e il tema delle tasse, che cerca di sottrarre al suo avversario. A differenza di Prodi, Veltroni ci sa fare in campagna elettorale. Non è che non faccia errori, o non abbia punti deboli (come l'acrobazia di far dimenticare Prodi pretendendo al tempo stesso di rendergli omaggio), ma è bravo a mascherarli.

Il suo giro d'Italia in pullman, in 110 province, lo porterà sui tg due volte al giorno. Una presenza martellante, in puro stile americano. E all'impatto di una campagna così personalizzata, ritagliata sulla figura del leader, il centrodestra rischia di contrapporre una frammentato e confusionario universo di dichiarazioni dei vari Bondi, Cicchitto, Ronchi, eccetera...

«Gli italiani mi conoscono; se mi vogliono, mi voteranno», è una frase che porterebbe Berlusconi alla sconfitta. Non deve fare l'errore, come ha scritto ieri Stefano Folli, su Il Sole 24 Ore, di «lasciare all'avversario il monopolio della novità: vale a dire un fattore di vantaggio che in politica è quasi sempre decisivo», o di farsi sottrarre i suoi temi tipici, come le tasse. Ma dei possibili errori di Berlusconi avremo modo di parlare più avanti.

Per ora, mi limito a qualche considerazione sui 12 punti programmatici elencati da Veltroni sabato alla Costituente del Pd. Molto, molto deludenti. Ho sempre pensato, fin dal suo discorso del giugno scorso a Torino, che Veltroni avrebbe puntato con più coraggio su una svolta liberale in economia, ma mi devo ricredere. Ha invece deciso di fare della politica fiscale la punta liberale di un iceberg di proposte stataliste. Essendo la prima volta che una forza di centrosinistra promette di tagliare le tasse a prescindere dal debito, dall'evasione, e dalla congiuntura economica, al Pd non si poteva realisticamente chiedere di più di una riduzione delle aliquote Irpef di tre punti in tre anni. Una proposta cauta, che certamente non corrisponde a quello shock che servirebbe all'Italia, ma rispetto alla quale purtroppo temiamo che Berlusconi non avrà il coraggio di rilanciare.

Per il resto, guardando a quello che c'è, e a quello che manca, in quei 12 punti, le idee veltroniane sono poche e smaccatamente stataliste, condite da qualche slogan suggestivo e "americaneggiante".

La lotta di Veltroni contro il precariato soffre di una visione vecchia che nemmeno per assonanza ricorda la via blairiana. Del salario minimo di 1.000 euro ai precari abbiamo già parlato e anche Franco Debenedetti ricorda come «una vastissima letteratura economica ne dimostri la negatività». La causa della precarietà sta nel fatto che solo una piccola fetta dei lavoratori, gli outsiders non garantiti, sopporta il peso e i rischi della flessibilità dei contratti cosiddetti "atipici". Per ridurre la precarietà bisognerebbe "spalmare" quel rischio, riequilibrare l'area delle tutele, riducendola agli insiders ultragarantiti che continuano a usufruire di una rigidità anacronistica, che neanche tiene conto del merito, ed estendendola agli outsiders.

Servirebbe un nuovo welfare che alla cassa integrazione sostituisca sussidi di disoccupazione universali secondo la logica del welfare to work. Lavoratori e aziende dovrebbero essere lasciati liberi di accordarsi su salari di mercato ed eventualmente lo Stato dovrebbe intervenire a integrare i redditi troppo bassi con programmi specifici, senza però che questa integrazione sia tale da rendere non conveniente per i lavoratori sforzarsi di migliorare la propria produttività e di acquisire ulteriori qualifiche e nuove competenze.

Nel settore della pubblica amministrazione non c'è alcuna ricetta di dimagrimento. Si promette una generica riduzione della spesa pubblica senza indicare dove tagliare e dove razionalizzare, senza alcun riferimento alla valutazione della produttività delle strutture e del merito dei singoli lavoratori, nel caso anche scontrandosi con i sindacati. E in ogni caso sarebbe necessaria una riduzione drastica del numero dei dipendenti pubblici, di cui nel programma di Veltroni per ora non c'è traccia.

Semplicemente scandalosa, inoltre, la proposta sull'università. Non servono altri 100 «campus» - cercando di suggestionare gli elettori prendendo in prestito termini americani senza importare i modelli che ci sono dietro - ma vera concorrenza tra le università per alzare la qualità e produrre eccellenza. E sembra una beffa parlare di «valutazione degli studenti», quando ciò che manca è una seria valutazione dei docenti che porti all'allontanamento dei più scadenti.

Stupisce l'assenza dai 12 punti del tema delle liberalizzazioni, soprattutto nei servizi pubblici locali.

Ovviamente nessuna riforma della giustizia, dopo l'iniezione di grandi dosi di giustizialismo dipietrista nel Pd: la casta dei magistrati non si tocca.

Previsti invece i soliti programmi di edilizia popolare, che non fanno altro che contribuire proprio a quella distorsione del mercato immobiliare che rende i prezzi delle case nelle grandi città italiane tra i più alti al mondo.

Infine, la tassazione della pubblicità in tv (un regalo ai grandi giornali che stanno appoggiando Veltroni in campagna elettorale) per finanziare produzioni televisive «di qualità»: una forma di aiuto di Stato già fallita con il cinema.

Ciliegina sulla torta, Veltroni ha offerto un posto in lista ai "figli di papà", i figli di quegli industriali assistiti (tra cui Colaninno, Barilla, Mondadori) che ben poco hanno a che fare con la piccola e media impresa non raccomandata e senza santi in Confindustria. Candidature che la dicono lunga sul blocco sociale che appoggia Veltroni.

1 comment:

Maurizio said...

Se Veltroni, diversamente da prodi, ha deciso di caratterizzarsi per i tagli alle tasse, non può essere che un bene, perché significa che Berlusconi dovrà offrire di più (ancora più tagli).