Berlusconi sembra voler ripartire dal 2006. Può anche darsi che si riveli valida la strategia di dire "Cari italiani, è stato solo un brutto sogno... riprendiamo da dove ci eravamo lasciati": dall'abolizione dell'Ici, per esempio, che fu il "botto finale" della scorsa campagna elettorale. Eppure, oggi come allora, vedo cominciare una campagna poco coraggiosa. Peccato che nel frattempo la crisi in cui versa l'Italia si sia aggravata e richieda rimedi sempre più drastici.
All'allarme del Sole 24 Ore (niente tesoretto, buco di 7 miliardi e necessaria manovrina) e a quello della Corte dei Conti («incontrollato aumento della spesa corrente») si aggiunge il dato della produzione industriale in calo del 4%. Per non parlare dell'impennata dell'inflazione (a gennaio registrata dall'Istat in aumento del 2,9% rispetto allo stesso mese del 2007) e del dato dei salari fornito dalla Banca d'Italia, i più bassi d'Europa e a crescita zero dal 2000 considerando gli aumenti annui del costo della vita. Questo quadro è tanto più sconfortante se confrontato con le timide proposte economiche trapelate in questi giorni dai programmi, in verità ancora in via di elaborazione, dei due maggiori partiti, Pd e PdL.
Entrambi si limitano ad interventi - annunciati nelle interviste a Nicola Rossi e a Renato Brunetta, ma confermati sia da Veltroni che da Berlusconi, ieri sera a Porta a Porta - sulla cosiddetta «contrattazione di secondo livello»: detassazione sulle parti della retribuzione legate alla produttività e al merito e sugli straordinari. Una mancia che, se non proprio impercettibile rischia comunque di non modificare in modo apprezzabile le buste paga. Forse capace di provocare un breve sussulto di produttività, ma certo non di produrre effetti rilevabili e prolungati sul potere d'acquisto e sulla crescita.
Soprattutto dal PdL ci aspettiamo molto più coraggio. Se le proposte di politica fiscale rimanessero queste, Veltroni avrebbe gioco facile nell'eguagliarle. Berlusconi non dovrebbe sottovalutare l'inedita concorrenza del Pd su questo piano: per la prima volta promette di ridurre le tasse e per la prima volta si presenta agli elettori con la maggiore credibilità che gli deriva dalla scelta di correre da solo, finalmente non più alleato con la sinistra comunista e massimalista. E se la competizione si confermerà fortemente personalizzata, una sorta di referendum tra i due leader, con i due partiti e i due programmi relegati in secondo piano, allora Veltroni potrebbe anche indovinare la campagna elettorale, riuscendo a diffondere su di sé l'immagine della freschezza e sull'avversario della stanchezza.
Il taglio dell'Ici; le detassazioni sui salari; una seria riforma delle pensioni; i disegni di legge che saranno varati nei primi consigli dei ministri. Tutto ottimo, ma oltre alle misure più urgenti, da attuare nei primi 100 giorni e persino nelle prime 100 ore, ci vorrebbe un progetto di legislatura per un consistente taglio delle tasse e della spesa pubblica, supportato da cifre, scadenze e impegni precisi. Berlusconi non parla più di aliquote Irpef, se non, come ha fatto ieri sera da Vespa, per evocare l'obiettivo dei sogni: arrivare a una tassazione massima del 33%. Obiettivo dei sogni, o Berlusconi si impegnerà a portarlo a compimento entro la prossima legislatura? E perché non la flat tax al 20% in 5 anni, come propone, dati alla mano, Decidere.net?
L'obiettivo di ridurre dell'1% sia la spesa pubblica che la pressione fiscale nel 2008 va nella direzione giusta, ma sono dimensioni che a mio avviso denotano una percezione ancora approssimativa, erronea per difetto, della gravità e delle proporzioni dell'emergenza economica e sociale nel nostro Paese. Occorre invece uno shock fiscale, tale da restituire nelle tasche degli italiani la cospicua parte di ricchezza che la politica ha sottratto loro dimostrando poi di non essere capace di spenderla nel migliore dei modi.
Siamo al paradosso che da uno stipendio lordo di 1.600 euro, che a mio modo di vedere dovrebbe essere totalmente o quasi esente da tassazione, si arriva a un netto in busta paga di 1.100 euro. Il problema dei problemi in Italia, una vera e propria questione sociale fonte di privilegi e ingiustizie, è una macchina statale inefficiente che succhia la linfa vitale della nostra società. «Per voltare pagina l'Italia deve liberarsi dalla mentalità statalista e dirigista che ha prevalso nell'ultimo mezzo secolo, mentalità che chiamerei cattocomunista», ha scritto ieri, su Libero, il prof. Antonio Martino.
L'espansione dei compiti che lo Stato si attribuisce, e per i quali chiede ulteriori risorse, lo rende poi incapace di assolvere al meglio i compiti essenziali che giustificano la sua esistenza. L'espansione dei compiti dello Stato non è dovuta a reali esigenze dei cittadini, ma al bisogno della classe politica di controllare e gestire sempre più servizi, perché tramite quel controllo e quella gestione crea rapporti di clientela e ricava consensi per rimanere al potere.
Per ridurre il peso dello Stato non si può partire dai tagli sulle varie voci di spesa, perché quando ci si siede a tavolino tutto sembra indispensabile ai governi che non vogliono scontentare nessuno per non perdere quote di consenso. Si deve partire "affamando la bestia". Tagliando radicalmente le aliquote fiscali. Restituire le risorse direttamente nelle mani dei ceti produttivi, sia imprenditori che lavoratori, togliendole da quelle del ceto parassitario dei politici, dei burocrati e degli assistiti.
L'Europa chiede all'Italia un tasso di occupazione femminile del 60% entro il 2010, ma siamo drammaticamente fermi al 46,3%, dato rilevato nel 2006, penultimi in Europa. E ciò costituisce certamente un freno rilevante alla crescita economica. A fronte di tanti tagli possibili nella Pubblica amministrazione, dei tanti compiti che lo Stato non dovrebbe svolgere, servirebbe un grande programma statale - lo diciamo da liberisti pragmatici - e temporaneo (finché non torni ad aumentare la ricchezza pro capite), per rendere meno gravoso alle donne conciliare lavoro e maternità: un buono-asilo sia alle donne sia ai comuni da finanziare con l'innalzamento dell'età pensionabile da 60 a 65 anni.
Se non si ha il coraggio di chiedere esplicitamente adesso, in campagna elettorale, i voti agli elettori sulla base di tali impegni (due o tre di grande portata, qualificanti), non si avranno mai la forza e la legittimazione sufficienti, una volta al governo, per procedere con un forte ridimensionamento della tassazione e, quindi, del peso dello Stato.
No comments:
Post a Comment