«Ci si emozionava sentendo Joan Baez, i Beatles, il nome dell'università di Berkeley, c'erano i figli dei fiori, il Piper, si portavano i capelli lunghi... E anche io me li lasciai crescere». Gianfranco Fini ha sorpreso un po' tutti quando è intervenuto al convegno contro il '68 organizzato dalla Fondazione Liberal.
Al contrario di Adornato e Casini, che alla ricerca continua di caratterizzazioni politiche saltellano da un mito all'altro da abbattere ideologicamente, cercando di intercettare la moda bacchettona del momento, Fini ha cercato di ragionare sul fenomeno innanzitutto culturale e sociale del '68.
E ha intuito ciò che molti di noi hanno intuito. Cioè che all'origine - per brevissimo tempo, soprattutto in Italia - vi era una domanda di libertà. Nel '68, riconosce Fini, «la Destra perse una grande occasione. Anziché capire le ragioni dei giovani, la Destra difese l'esistente, si schierò con i baroni universitari, con i parrucconi».
«C'era un magma», ricorda il leader di An. «Il desiderio di una società migliore. Una rivolta esistenziale. Un bisogno di senso... In un primo momento i contestatori non erano solo marxisti. Cultura liberale e cultura cattolica non furono in grado di capire che si contestava anche il comunismo con la sua negazione della libertà e dei diritti dell'uomo. Così, il '68 non nacque a sinistra, ma finì a sinistra». E «se oggi esiste più attenzione per i diritti civili, per le donne, per le minoranze, questi sono lasciti del primo '68».
Di fronte ai giovani, «oggi come allora, una gerontocrazia imperante. E, ora più di allora, assenza di punti di riferimento: i giovani sono una "generazione tuareg", come dice il titolo del libro di Francesco Delzìo, direttore dei giovani imprenditori di Confindustria. Nomadi in cerca, nel deserto».
Per non reiterare l'errore una destra moderna dovrebbe «rimettere al centro i valori del primo '68. L'uguaglianza, cioè parità di condizioni di partenza per tutti, per arrivare a una gerarchia meritocratica: da qui prese avvio il '68 e poi degenerò nell'egualitarismo marxista. La libertà legata però all'autorità, altrimenti diviene licenza, anarchia. La responsabilità personale, mentre il '68 approdò alla deresponsabilizzazione».
Il momento critico che portò a queste degenerazioni fu, a mio avviso, quando dalla spinta iniziale e scomposta, innescata da un individualismo anticonformista, si passò attraverso un tentativo di sistemazione sulla base del collettivismo, inevitabilmente conformista. Il '68 nacque individualista, maturò e finì collettivista. Dunque, se la destra non vuole reiterare l'errore, non solo non deve difendere l'esistente, ma deve evitare che le categorie del conservatorismo (la religione, la tradizione, la nazione, la famiglia) soffochino l'individuo. Dev'essere, insomma, una destra individualista.
Non tutto è da buttare del '68. Sulle cause per cui degenerò si può discutere a lungo, ma accanto all'immondizia ideologica di allora che ancora oggi ci appesta (egualitarismo, deresponsabilizzazione, rifiuto del libero mercato, della cultura del merito e del diritto) c'è un'eredità ben più profonda, in sintonia con la modernità, che non smetterà di dare frutti.
1 comment:
Amato od odiato che sia... è certo che ad Amato daranno l'incarico di traghettare al voto il Paese.
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