Sgonfiatosi il diversivo demagogico del giorno sulle auto-blu, e mentre la Borsa chiude in rosso anche oggi e lo spread continua ad aggirarsi sui 390 punti, Camera e Senato approvano il Def, accompagnandolo con una risoluzione di maggioranza che suona come un libro dei sogni i cui punti principali sono: eurobond, Bce come Fed, dismissioni, meno tasse con le risore della lotta all'evasione e della spending review. Nel testo, che ha ottenuto l'ok del governo, si chiede che la ratifica del fiscal compact «sia accompagnata dall'impegno per una politica di investimenti finalizzati allo sviluppo dell'impresa e dell'occupazione», da sostenere con l'emissione di project bond, «nonché» eurobond e stability bond. Si impegna il governo a «favorire, attraverso opportune modifiche dei trattati, un processo riformatore volto ad attribuire alla Bce il ruolo di prestatore di ultima istanza»; «ad avviare, attraverso il pieno coinvolgimento di tutti i livelli di governo, un percorso volto ad accelerare l'abbattimento dello stock di debito pubblico, valutando in particolare la possibilità di adottare a tal fine un piano straordinario di dismissioni del patrimonio pubblico». Inoltre, si intima che le risorse della spending review e della lotta all'evasione «devono essere prioritariamente destinate» alla riduzione delle tasse sui redditi da lavoro e da impresa, sancendo così «un nuovo patto tra fisco e contribuenti». Quasi tutte buone intenzioni, seppure più di qualcuna improbabile che si realizzi.
Ma sulla crescita e il rapporto partiti-governo il riferimento a una «fase due» nei retroscena e negli editoriali non fa ben sperare. In passato l'annuncio di una «fase due» dell'azione di governo è sempre coinciso con l'inizio dell'immobilismo. Come assaggio ecco che risale la tensione sulla riforma del lavoro. Senza modifiche non la votiamo, torna a minacciare il Pdl, mentre l'ex ministro Sacconi presenta un emendamento per cancellare totalmente l'articolo del ddl che limita l'utilizzo dei contratti a termine.
Mentre continua a calare nei sondaggi, a livello europeo Monti canta vittoria: si intesta il merito di aver posto per primo il tema della crescita in cima all'agenda Ue, superando le resistenze rigoriste della Merkel ma anche anticipando le richieste di Hollande. La probabile vittoria del candidato socialista offre all'Italia di Monti l'occasione di giocare il ruolo del mediatore interessato. Non credo che Monti darà ascolto a Prodi, il quale suggerisce di allearsi con Spagna e Francia in opposizione alla linea rigorista tedesca. Più probabile che il professore sfrutti l'eventuale elezione di Hollande, e quindi il rischio di isolamento che si avvertirà a Berlino, per porre sul tavolo le sue istanze. La premessa però è erigere un muro di contenimento nei confronti delle pretese di Hollande: no alla revisione del fiscal compact e no al ritorno delle politiche di spesa. Rassicurata in questo modo, la Merkel potrebbe ammorbidirsi sugli eurobond, nella versione project-bond, cioè per finanziare non i debiti sovrani ma progetti infrastrutturali europei. Non so se si possa parlare di vero e proprio «asse», ma certo la cancelliera sta cercando di farsi amici Monti e Napolitano nella previsione, quasi certezza, di dover contenere Hollande. E politicamente è essenziale togliere al candidato presidente socialista la bandiera della "crescita".
L'approccio di Monti sulla crescita è sostanzialmente un ibrido tra supply-side (aumentare il potenziale di crescita delle economie europee attraverso riforme strutturali) e keynesiano (salvaguardare un certo tipo di spesa, quella per investimenti infrastrutturali, ma che non sia un modo per «eludere» la disciplina di bilancio). Su queste basi un compromesso con Berlino è possibile.
Sul ruolo della Bce, spending review e riduzione della pressione fiscale, invece, temo che non vedremo novità. Ed è il segno di un premier che confida più in uno stimolo esterno alla crescita che ad uno interno, attraverso un taglio di spesa pubblica e tasse di diversi punti di Pil.
Per quelli che incolpano i tedeschi e le istituzioni Ue (su tutte la Bce) della recessione, vale la pena di ricordare che nessuno ci ha imposto politiche così recessive come un'austerity fatta solo di nuove tasse, senza tagli alla spesa e senza vere riforme. E' lo stesso Draghi a sottolinearlo, bacchettando Monti. Non poteva che riferirsi al nostro governo, infatti, quando rispondendo in italiano alla domanda di un eurodeputato italiano ha ammonito che «se ci si limita al consolidamento fiscale soprattutto aumentando le tasse, l'effetto è certamente recessivo. Si devono invece tagliare le spese correnti senza toccare gli investimenti. Ma alcuni, in condizioni di estrema urgenza, sono ricorsi all'aumento delle tasse, che è più facile, e hanno tagliato la spesa in conto capitale invece di ridurre la spesa corrente».
E chi ha interpretato come apertura ad Hollande il cenno del governatore Bce ad un «growth pact», un «patto per la crescita», a mio avviso ha frainteso. E' lo stesso candidato socialista, leggendo meglio, a sottolineare che la sua concezione di crescita è diversa da quella di Draghi, che non si basa sulla spesa pubblica ma su disciplina di bilancio e riforme strutturali.
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