Il governo dei tecnici ha completato la sua mutazione in governo politico, di quelli più preoccupati degli equilibri e dei disegni politici che di approvare riforme incisive, se necessario mettendo in gioco la propria permanenza.
Da sempre Monti, nei suoi editoriali, e Napolitano, nel suo ruolo di capo dello Stato, vedono di buon occhio una collaborazione organica tra i partiti. Dunque, convinti che l'instabilità politica preoccupi i mercati più della timidezza delle riforme, si sono felicemente adeguati, piegando l'incisività della riforma del lavoro alle esigenze del disegno politico che dovrebbe garantire stabilità al Paese anche nel 2013.
Ma così facendo Monti invece di salvare l'Italia ha risparmiato al Pd una dolorosa svolta riformista o, in alternativa, lo ha "salvato" da una possibile, e a quel punto auspicabile, spaccatura. Si è messo al servizio della GC, che alla prima prova tecnica ha prodotto un esito pessimo, che rischia di "bruciare" l'immagine del governo. Non ci sarebbe da sorprendersi se presto, molto presto, ci ritroveremo con il dilemma della caduta di credibilità di Monti e allora saranno guai, perché di "tecnici" salvatori della patria non se ne vedono più. Una riforma che rischia una pesante bocciatura sui mercati, e una GC ad insufficiente tasso di riformismo (volendo includere un Pd a trazione Cgil), possono andare bene a Casini - da sempre ambivalente sui contenuti, l'importante è che ci sia un compromesso che ne evidenzi la centralità - non ai riformisti del Pd e al Pdl.
Se l'Udc persegue da sempre una politica dei "due forni", oggi Pdl e Pd stanno accarezzando l'idea del ritorno al proporzionale persuasi di poter anche loro praticarla. Come l'Udc si immagina al governo con il Pdl o con il Pd, o con entrambi, a seconda dei risultati elettorali, così il Pdl è attratto dallo stesso tipo di centralità tra Lega da una parte e Udc dall'altra, e il Pd tra Udc e foto di Vasto. E' ovvio che in questo schema qualcuno rischia di farsi molto male.
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