La giornata è senz'altro caratterizzata dalla tempesta giudiziaria che ha travolto la Lega. Tre Procure da nord a sud - Milano, Napoli, Reggio Calabria - colpiscono al cuore il movimento nella persona del tesoriere, Belsito, accusato di appropriazione indebita e truffa aggravata ai danni dello Stato, per come sono stati spesi i rimborsi elettorali. Ma anche di riciclaggio, nell'ambito del filone reggino, da cui spuntano "contatti" con la 'ndrangheta. Sembra proprio la traduzione in inchiesta giudiziaria delle accuse che tempo fa Saviano aveva lanciato alla Lega dalla trasmissione televisiva "Vieni via con me", condotta con Fazio.
Ma l'attacco giudiziario mira al simbolo più prezioso del leghismo, Umberto Bossi: parte dei soldi infatti sarebbero stati dirottati «per sostenere i costi della famiglia Bossi», fanno sapere gli inquirenti. Se Berlusconi corre in soccorso dell'ex alleato, dicendosi certo della sua estraneità, Maroni si scorda del garantismo usato per Boni e ne approfitta per lanciare la sua campagna di «pulizia» nel partito.
Il fatto che a condurre la perquisizione dei finanzieri nella sede leghista di Via Bellerio c'era il pm Woodcock, titolare dell'inchiesta per la procura napoletana, dovrebbe bastare a suggerire una certa precauzione nell'emettere sentenze mediatiche. Dove c'è lui c'è tanto fumo e la cosa incredibile è l'agilità con cui si è lanciato in questa nuova caccia al politico solo pochi giorni dopo il flop conclamato sul caso Papa, ormai scagionato dall'accusa più infamante, quella della fantomatica P4, che lo aveva portato in carcere.
In mattinata abbiamo assistito ad un film già visto: le solite indiscrezioni da Bruxelles, riportate dal Financial Times, secondo cui all'Italia potrebbe servire una nuova manovra per rispettare i suoi impegni di bilancio; e le solite smentite di Palazzo Chigi. In realtà, nel rapporto degli osservatori della Commissione Ue citato dal FT non si dice che l'Italia ha bisogno di una manovra correttiva ora, anzi sarebbe «ingiustificata in questa fase», ma che c'è il rischio che si riveli necessaria nei prossimi mesi a causa della recessione e di tassi di interesse ancora relativamente alti sul nostro debito.
Il rapporto ci ricorda che il fiscal compact prevede uno sforzo colossale per il rientro dal debito e quindi suggerisce di procedere con privatizzazioni e dismissioni di immobili di Stato per abbatterne velocemente lo stock, cosa che il governo Monti si ostina a non prendere nemmeno in considerazione. Per il rapporto citato dal FT l'Italia è sotto esame anche sulla riforma del mercato del lavoro: ci avverte che «lo slancio riformatore dev'essere mantenuto», e che in particolare sul lavoro non possiamo permetterci compromessi al ribasso, altrimenti l'Italia violerebbe il piano di riforme concordato con i partner Ue.
Già, che ne è della riforma del lavoro. Oggi Monti ha incontrato Bersani, e già stasera o al massimo domani mattina dovrebbe tenersi un vertice Monti-ABC, forse decisivo. Sull'articolo 18 «nessuna novità concreta, ma spero ci sia presto», aveva confidato nel pomeriggio il segretario Pd, la cui linea è chiara: modello tedesco, cioè filtro giudiziale con reintegro come opzione in tutti i casi di licenziamento individuale, anche economici. Alfano, uscito dalla direzione del Pdl, invita alla cautela sul modello tedesco, sia sull'articolo 18 che sulla legge elettorale, ma la sensazione è che su entrambi i temi l'accordo si possa chiudere. Alfano si dice pronto a sposare il «punto di equilibrio» del governo, ma se si tocca sui licenziamenti, allora «anche noi abbiamo le nostre proposte» di modifica, sul versante della flessibilità in entrata. Potrebbe essere questo il terreno del compromesso.
Non ha tutti i torti, d'altra parte, Giuliano Cazzola, quando sostiene che rispetto al modello tedesco, verso il quale spingono Pd e sindacati, nella proposta «arzigogolata» del governo non è che ci sia «un maggior tasso di riformismo», dal momento che «i giudici del lavoro sarebbero bravissimi ad aggirare l'ostacolo» e «una gran parte dei licenziamenti economici si ribalterebbero in discriminatori».
Il ministro Fornero spera che il testo del ddl sia pronto «al massimo per domani mattina», «dal mio punto di vista è praticamente pronto». Ad essere "pronto" è anche Monti, peccato che sia pronto a cedere sull'articolo 18, pur cercando di salvare la faccia. Anche perché mentre faceva il Marco Polo in Asia si allargava il fronte del "no" tra i ministri del suo governo: quelli vicini al Pd (Barca e Balduzzi), quelli vicini alla Cei (Riccardi e Ornaghi), e persino Passera.
No comments:
Post a Comment