I dati sulla disoccupazione, il tracollo da incubo delle vendite Fiat, il caos sull'Imu e la vera e propria disinformatja sulle dichiarazioni dei redditi per alimentare l'invidia sociale dipendenti-imprenditori. Alesina e Giavazzi che mettono in guardia dalla «trappola delle tasse», ricordando che in un Paese come l'Italia, con una pressione fiscale vicina al 50%, «ridurre deficit e debito aumentando le imposte è inutile, o addirittura controproducente», ma Monti difende gli aumenti delle tasse, anche se «rozzi». Meglio questi che la Grecia, come se non ci fosse una terza via virtuosa.
E' proprio vero: recessione e tasse assediano Monti, il quale dall'Asia continua con il suo temerario ottimismo per attrarre investitori. La crisi dell'Eurozona è «superata» e l'Italia ha imboccato un sentiero «più solido». Quali elementi abbia il premier per esserne così sicuro con lo spread a 327 (rendimenti sopra il 5%) e ciò che sta accadendo a Spagna e Portogallo, non lo sappiamo. Ma il contraltare dell'invito agli investitori asiatici a «rilassarsi» è il rischio che la nostra politica s'addormenti sulle riforme.
E infatti. Bersani cerca di disinnescare la mina dell'articolo 18 prima del 6 maggio, cioè prima delle amministrative («io ci credo»), mettendo il governo di fronte al fatto compiuto di un accordo in Parlamento tra le forze di maggioranza. Mentre fa a chi ce l'ha più grande (il partito) con Alfano, arriva a proporre uno scambio al Pdl: sia il giudice a optare per il reintegro o l'indennizzo in tutti i casi di licenziamento individuale, come in Germania, e in cambio via libera ad alcune richieste del Pdl sulla «flessibilità in entrata», penalizzata dallo schema Fornero.
La notizia è che Alfano non dice di no. «Fare insieme la riforma del lavoro è meglio che farla separati», basta che non si tratti solo di non scontentare la Cgil, basta che l'agenda non la detti il sindacato al posto del governo. Apertura nel metodo, insomma, e nessun paletto di merito, almeno per ora. Con Cazzola che giudica «interessanti» le aperture di Bersani.
Anche Casini è d'accordo di risolvere la questione prima di maggio, ma sul reintegro deve decidere il governo. Al rientro di Monti dall'Asia dovrebbe prendere vita - in pochi giorni fa sapere il capo dello Stato - l'articolato del governo e allora capiremo se la riforma è già morta. Monti-Fornero potrebbero essere scavalcati da un accordo parlamentare, e allora potrebbero ben poco, anche alla luce della stretta di Napolitano sulla fiducia, o essere costretti ad un passo indietro constatando la rigidità del Pd («su alcuni punti non possiamo mollare») e la scarsa voglia di Pdl e Terzo polo di alzare le barricate.
Se per Bersani è l'articolo 18 la mina da disinnescare, per Alfano è la legge elettorale. Domani mattina sul tema è convocata la direzione del Pdl, ma le parole del segretario non potrebbero essere più ambigue: da una parte dev'essere «noto in anticipo chi è il candidato premier», dall'altra osserva che «conseguentemente in Palamento si determina una maggioranza a sostegno del candidato».
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