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Tuesday, May 20, 2003

Estremismo islamico/2. Riflessione sui perché...
Dopo gli attentati terroristici contro il centro residenziale occidentale a Riad, solo i più gravi di una nuova ondata, che qualcuno interpreta come segno di debolezza di Al Qaeda e dei gruppi palestinesi, qualcun altro come segno di uno scisma interno all'Islam portato da una "teologia della morte" (Carlo Panella, Il Foglio), siamo qui, di nuovo, a chiederci il perché di tutto questo odio e di questa violenza. Tentiamo invano di darci una risposta fin dall'11 settembre.
Due sono le analisi più diffuse, e tra loro contrastanti. Da una parte, il terrorismo e l'estremismo islamico sarebbero l'espressione della disperazione e del malcontento provocato dalla miseria delle popolazioni arabe, soprattutto quella palestinese, e dai torti subiti dall'Occidente, dagli americani innanzitutto, colpevoli di appoggiare Israele e di porre in essere un atteggiamento egemonico sulla regione.
Dall'altra, si tende a vedere il terrorismo come il frutto dei mali che affliggono le società arabe, soprattutto l'assenza di democrazia e l'indottrinamento religioso.
La Palestina? A mio avviso poco più di un pretesto per il terrorismo islamico. Gli Stati Uniti più di ogni altro Paese, non l'Europa, non il mondo arabo (che invece storicamente ha solo strumentalizzato e danneggiato la causa palestinese), hanno insistito sulla via della pace. Dagli accordi di Oslo il conflitto israelo-palestinese è stato al centro della politica mediorientale dell'Amministrazione americana. Non è possibile però per gli americani non sostenere Israele su tutte quelle richieste da parte palestinese e araba volte a minacciare l'esistenza stessa dello Stato ebraico. Già, perché il punto è che fino ad ora il mondo arabo ha visto nello Stato israeliano un cancro portatore di valori occidentali, democratici, e avvertiti come egemonici, e per questo l'obiettivo resta, nonostante le sconfitte militari, la distruzione di Israele: da un punto di vista demografico ed economico (chiedendo il ritorno dei rifugiati palestinesi), e militare (chiedendo la rinuncia al nucleare e all'invadenza Usa, inaccettabile perché Israele si troverebbe ad essere minacciato dalle forze convenzionali di tutti gli eserciti della regione).
Dunque, secondo il primo approccio, gli Usa pagherebbero l'incapacità o l'assenza di volontà ad offrire una soluzione giusta al problema palestinese, la sola che garantirebbe l'affievolirsi del sentimento antiamericano, il problema risolto il quale tutte le altre questioni del Medio Oriente si avvierebbero ad una meno complicata soluzione: l'assenza di democrazia, la povertà, l'oppressione delle minoranze, sarebbero questioni secondarie nella formazione del sentimento antioccidentale.
E' giunto il momento di rendersi conto invece di come proprio a partire dalla risoluzione di tali questioni considerate secondarie, endemiche nel mondo arabo, sia possibile far scaturire una soluzione giusta per il problema palestinese, mentre appare più arduo il contrario. Il mondo arabo odia Israele perché mette a nudo i fallimenti di un'intera regione per quanto riguarda molteplici aspetti: immobilismo politico, stagnazione economica, impotenza militare, invadenza di modelli culturali e morali occidentali. Sono innanzitutto i regimi oppressivi la causa della povertà, della mancanza di libertà politica, delle repressioni delle minoranze ideologiche, etniche e religiose.
In conclusione. E' pur vero che la disperazione provocata dalla miseria, dalla mancanza di prospettive (sia economiche, sia in termini di autodeterminazione per i palestinesi) contribuisce in una certa misura all'ingrossamento delle fila delle organizzazioni terroristiche, ma è vero che quelle condizioni sono causate in maggior misura dall'arretratezza dei Paesi arabi, dall'assenza di democrazia e di società aperte, nonché dall'indottrinamento dei giovani al fanatismo religioso.

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