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Thursday, June 03, 2010

Non cadiamo nel tranello

Berlusconi può essere criticabile per non aver dato seguito, abbassando le tasse, a quel concetto espresso nel 2004 e ripetuto in tante altre occasioni («se lo Stato mi chiede il 50% e passa di tasse è una richiesta scorretta e io mi sento moralmente autorizzato a evadere, per quanto posso»), ma non per essersi contraddetto con la smentita di martedì sera a Ballarò, o con le misure anti-evasione adottate dal suo governo con questa manovra. Interpretare quella smentita come un'abiura di quanto affermato anni fa, oltre che un errore, significherebbe cadere nell'inganno dialettico teso dagli amanti delle tasse, che per delegittimare un argomento sacrosanto ed efficace lo bollano pretestuosamente come incitamento all'evasione.

Quello usato innanzitutto dai liberali - e poi da Berlusconi - non è mai voluto essere un argomento per giustificare l'evasione fiscale, tanto meno per sostenerla, ma una pura constatazione: e cioè che una pressione fiscale avvertita come eccessiva e ingiusta rende moralmente e socialmente più accettabile evadere il fisco. Credo sia una realtà, un sentimento diffuso, di cui abbiamo esperienza nella vita di tutti i giorni. E' un fatto da cui trarre delle conseguenze, non una giustificazione né un incitamento. Nello smentire che lo sia non c'è contraddizione. La contraddizione che si può imputare a Berlusconi, semmai, è di non averne ancora tratto le dovute conseguenze, cioè di non avere ridotto le tasse.

Tasse basse e spese bene accrescono la «morale tributaria», osserva oggi Francesco Forte, su il Giornale. La nostra Costituzione prescrive che «tutti sono tenuti alle spese pubbliche in relazione alla loro capacità contributiva». Ma «una vasta dottrina tributaria afferma che le imposte con aliquote molto alte, che privano sostanzialmente il contribuente del suo diritto di proprietà e di iniziativa o della retribuzione del lavoro, sono incostituzionali».

Sia chiaro, a me non piacciono né la retorica anti-evasione del governo, né la caccia alle streghe praticata in concreto. Primo, perché inasprendo la repressione (magari anche in modo costoso) puoi recuperare qualche spicciolo, ma il più efficace strumento di contrasto dell'evasione rimane uno solo: cominciare a chiedere il giusto (massimo il 33% ai ricconi), dopo di ché sì, puoi pretendere che tutti paghino ed essere duro con chi evade. Secondo, la mia impressione è che più si incrudelisce la lotta, più nel medio-lungo termine si rischia un effetto depressivo. L'ho già scritto più volte: con l'elevata pressione fiscale e contributiva, i costi occulti dell'inefficienza della pubblica amministrazione e della giustizia civile, della rigidità del mercato del lavoro e della scarsa competitività, l'evasione è spesso l'unico modo per fare attività economica, impresa e lavoro. Per questo concordo con Enzo: «Quando per un liberale il problema principale diventa l'evasione fiscale e non l'entità del prelievo, vuol dire che ha già abdicato ai suoi principi».

Non bisogna però scordare che tra la soglia della tracciabilità abbassata a 5 mila euro da Tremonti e quella a 500 o 100 euro di Prodi-Visco c'è (ancora) una grande differenza. E il governo di centrosinistra quando si trovò per le mani il famoso "tesoretto", i soldi recuperati dall'evasione, lo dilapidò in spese improduttive e assistenziali, come accrescere le finestre di pensionamento, abolire lo "scalone" Maroni, assumere in massa i precari della scuola.

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