Ad una attenta lettura, al netto delle prime impressioni – influenzate positivamente dalla sua ampiezza e dal vantaggio comunicativo di cui ha goduto essendo licenziato nella serata di venerdì, per cui la copertura mediatica è stata fin da subito sapientemente orientata dalla conferenza stampa al termine del Cdm e dalle apparizioni di Monti in tv (8 e mezzo e In Mezz'ora) – il dl liberalizzazioni ottiene a stento la sufficienza (un 6-), cui arriva grazie allo scorporo della rete gas da Eni, mentre su tutto il resto è largamente insufficiente. Corposo sì, e un punto di merito è senz'altro l'essere stati capaci di toccare nello stesso provvedimento una pluralità di categorie, ma sulla sua reale incisività, e in molti settori persino sulla sua natura liberalizzatrice, permangono forti dubbi. Il voto complessivo però vira al negativo o al positivo in funzione dei parametri di giudizio cui ci si attiene. Due, in particolare, portano ad esiti antitetici ma egualmente fondati.
Si può fondatamente argomentare, come fanno Alesina e Giavazzi sul Corriere, che «il governo Monti ha fatto in due mesi ciò che i precedenti governi non avevano fatto dall'introduzione dell'euro». E dunque, se questo è il metro di giudizio, l'operato dei precedenti governi, il dl non può che essere promosso a pieni voti. Troppo facile, obietterebbe qualcuno, fare meglio dei precedessori, le cui performance sono state così gravemente insufficienti. Se invece i metri di giudizio sono la gravità della situazione, il grado di cambiamento, di shock sistemico, di cui l'Italia ha bisogno, e il contesto politico (un governo senza il problema dei consensi e di scadenze elettorali, con il sostegno "politico" del capo dello Stato e della grande stampa, e i partiti alle corde) allora viriamo nell'area dell'insufficienza.
Il difetto principale è nell'impostazione della maggior parte degli interventi. L'intenzione è di promuovere la concorrenza, e attraverso di essa migliorare i servizi abbassandone i costi e aprire ai giovani, ma l'obiettivo viene perseguito a colpi di dirigismo molto più che di vere liberalizzazioni. Di stampo dirigista, per esempio, l'ampliamento "ope legis" delle piante organiche di farmacie e notai, nella presunzione che il numero ottimale di operatori sul mercato per favorire la concorrenza possa essere pianificato dal regolatore. Anche nella moltiplicazione delle authority e nella costituenda Autorità delle Reti, che alle competenze sull'energia e il gas somma quelle su acqua e trasporti, si tocca con mano l'attitudine alla regolazione e alla pianificazione in ogni settore dei servizi. E' forte il rischio – soprattutto nell'accentramento di competenze così eterogenee – di una ulteriore burocratizzazione, di una sorta di ministero parallelo, o peggio ombra. Nelle intenzioni del governo l'obiettivo è chiaramente quello di spoliticizzare alcune questioni spinose demandandole alle authority, ma non è affatto automatico che non resteranno prigioniere di lobbies e partiti, semplicemente più lontano dai riflettori.
Se la concorrenza viene promossa – giustamente – a principio guida sia del dl che della comunicazione del premier, è invece assente una chiara scelta politica e culturale in favore della libertà e della deregulation. Sembra prevalere una logica di contrattazioni separate con i colossi pubblici e le singole lobbies, che porta a risultati difformi da settore a settore e ad uno sforzo piuttosto di ri-regulation (che speriamo non si traduca in over-regulation). Non si rinuncia, insomma, al principio che debba essere lo Stato a programmare l'offerta, anche se da parte di privati, di un certo bene o servizio; e a programmare anche il "quantum" di concorrenza in ciascun settore.
La separazione di Snam rete gas
da Eni entro i prossimi sei mesi (anche se l'intero processo durerà
molto di più, quindi bisognerà vigilare sulla
irreversibilità della scelta) è la portata principale,
probabilmente quella che nella sua recente visita a Londra il premier
Monti ha anticipato agli operatori della più importante piazza
finanziaria europea. Intorno un pulviscolo di snack più o meno
appetitosi, alcuni indigesti. Altri due colossi pubblici, Ferrovie e
Poste, non vengono sfiorati. Positiva la stretta sugli affidamenti in
house dei servizi pubblici locali (possibili fino ad un valore
economico di 200 mila euro anziché di 900 mila), ma pur sempre
nel solco del decreto Ronchi. Viene infatti lasciata aperta per gli
enti locali la possibilità di derogare al regime di gare ad
evidenza pubblica, previo parere dell'Antitrust, obbligatorio ma non
vincolante. Il rischio è l'aumento del contenzioso e la
riapertura di guerre ideologiche sul concetto di bene e servizio
pubblico. Si promuove inoltre la fusione tra società,
garantendo per cinque anni l'affidamento diretto, nella speranza che
si producano economie di scala, anche qui con la presunzione che sia
il regolatore e non il mercato a conoscere quale sia la dimensione
aziendale ottimale.
Insufficienti le norme sulle
professioni. C'è l'abolizione dei tariffari, c'è
l'obbligo di preventivo, che dovrebbero favorire il passaggio dagli
onorari a tempo ad altri schemi remunerativi, ma manca un vero e
proprio abbattimento delle barriere legali e non che intralciano
l'ingresso di nuovi attori nel mercato. Non c'è una
liberalizzazione del regime ordinistico, con il passaggio ad un
sistema di libere associazioni (con riconoscimento pubblico ma che
non operino in monopolio). La durata massima del tirocinio per
l'accesso alle professioni viene ridotta a 18 mesi e i primi sei
potranno essere svolti all'interno delle università, ma solo a
seguito di apposite convenzioni con gli ordini professionali. Si
pianifica il numero di notai che dovrebbe garantire un
sufficiente grado di concorrenza, ma non si riducono i casi in cui
sono obbligatorie le loro prestazioni, né viene messa in
discussione la loro esclusiva in funzioni che potrebbero essere
svolte anche da avvocati e commercialisti. Anche delle farmacie
si pretende di conoscere il numero ottimale, continuando quindi a
negare il diritto al farmacista abilitato di avviare liberamente un
suo esercizio. Liberalizzati turni e orari, ma la remunerazione del
farmacista resta proporzionale al prezzo del farmaco, il che non
sembra un incentivo a praticare sconti.
Patetici i dietrofront su farmaci di
fascia C e liberalizzazione dei saldi, mentre si rinvia il nodo dei
taxi. Sul numero e il rilascio delle licenze in ciascuna città
decide l'Autorità delle Reti, sentiti Comuni e tassisti. Si
prevede una maggiore flessibilità delle tariffe, fermi
restando i limiti massimi, e l'extraterritorialità, sebbene
con il consenso dei sindaci interessati, ma viene escluso il cumulo
delle licenze con l'intento dichiarato di impedire attività di
impresa. Di natura dirigista anche gli interventi su banche
(conto corrente base e commissioni sui prelievi bancomat fissate per
legge) e assicurazioni (non abolito il rapporto di esclusiva
degli agenti, che però per la Rc auto hanno l'obbligo di
presentare le proposte di due concorrenti). Cancellata la
liberalizzazione delle attività di prospezione e ricerca di
idrocarburi, nel decreto c'è un discreto sforzo per rendere
più efficiente la distribuzione dei caburanti: rimossi
i vincoli al self service pre-pay anche durante gli orari di
apertura, ma solo per gli impianti al di fuori dei centri abitati;
liberalizzata la vendita di prodotti non oil; superamento dei vincoli
di esclusiva, solo per le pompe di proprietà del gestore.
Manca la madre di tutte le
liberalizzazioni, quella del mercato del lavoro. Qui la scelta
del governo è stata fin dall'inizio quella di stralciarla, per
poterla trattare separatamente con i sindacati e associarla ad una
riforma degli ammortizzatori sociali. Il rischio – avvalorato dalle
voci secondo cui il tema dell'art. 18 sarebbe ormai fuori agenda e lo
schema Boeri-Garibaldi, tradotto in proposta di legge da Paolo
Nerozzi, senatore Pd ex Cgil, quello destinato a prevalere – è
che l'esito della concertazione porti ad una restaurazione di
rigidità piuttosto che ad una maggiore flessibilità.
Dal punto di vista strettamente
politico, se il punto di partenza del pacchetto liberalizzazioni non
è particolarmente ambizioso, possiamo immaginarci cosa accadrà
nei due mesi che ancora ci separano dalla conversione in legge del
dl. Due mesi di negoziazioni selvagge in Parlamento con le varie
lobbies, con l'alto rischio di ulteriori compromessi al ribasso.
Inquieta anche una certa tendenza all'autocompiacimento e
all'esagerazione del governo dei tecnici, che credevamo peculiarità
di quelli politici. In particolare, che queste misure possano far
crescere il Pil dell'11% nell'arco dei prossimi anni è una
grossa sparata propagandistica che non sarebbe stata perdonata a un
governo politico, e il segnale che anche per i tecnici l'arte di
vendere supera la qualità del prodotto venduto. Quell'11% è
il risultato di studi autorevoli, che ipotizzavano però
riforme di tutt'altra portata. Come ha sottolineato Alberto Mingardi,
dell'Istituto Bruno Leoni, il principale pericolo adesso è che
il capitolo liberalizzazioni possa ritenersi chiuso, tornare nel
cassetto e restarci a lungo, mentre l'inefficacia delle misure prese
rispetto alle aspettative suscitate non farà altro che
alimentare la sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti del
mercato e della concorrenza.
1 comment:
mi scusi signor Punzi ma per quanto riguarda le professioni non concordo con la sua analisi.
io sono avvocato, con la mia esperienza le posso dire che, per la stra grande maggioranze delle cause, è assolutamente impossibile predisporre un preventivo di spesa.
ciò perché l'avvocato non è l'unico soggetto che agisce nel corso del procedimento ma si deve confrontare con altri (alcuni sul suo stesso piano come i colleghi e altri su un piano superiore come il giudice).
la cosa inquietante è che questa lapalissiana verità non è stata minimamente presa in considerazione dal "tecnico".
riconoscendo quindi la buona fede al governo, ciò vuole dire che questi non è minimamente consapevole di quali sono le regole minime nelle quali viene svolta una professione.
quale fiducia si possa riporre in un ignorante che voglia decidere e regolamentare una cosa che non conosce è tutto dire.
per quanto attine all'eliminazione dei minimi tariffari la questione è complessa.
essa si collega con l'ulteriore aspetto dell'ingresso dei soci di capitale nelle società tra professionisti e con il corollario dell'omessa istituzione della figura dell'avvocato dipendente.
su quest'ultimo punto le decennali responsabilità e miopie dell'ordine cui appartengo sono maggiori rispetto alle "astuzie" del goveno tecnico.
raf
Post a Comment