Anche su Notapolitica
Dai controversi spot dell'Agenzia delle
Entrate alle martellanti campagne dei media mainstream – tra cui
purtroppo giornali e radio di Confindustria – contro l'evasione
fiscale si tende a dare troppo per scontato un assunto: che le tasse
sottratte al Fisco siano sic et simpliciter risorse sottratte
al Paese. Le interviste al direttore Attilio Befera sono un
condensato delle tipiche illusioni di onnipotenza statalista, dalle
quali deriva un sistema che prima stabilisce regole criminogene, cioè
che costringono tutti o quasi a ricorrere, o a inciampare, in piccole
grandi illegalità, e che poi pretende di perseguirle tutte.
Nell'articolo di Gramellini di ieri, su La Stampa, si
riconosce che gli italiani istintivamente avvertono lo Stato per
quello che è: un «vampiro arrogante» e una
burocrazia incapace di trasformare le tasse in servizi efficienti.
Nel manuale di educazione civica di Gramellini però, che per
fortuna gli italiani tengono impolverato sullo scaffale più
alto, c'è l'errore, anzi l'inganno concettuale che è
all'origine di tutti i mali nel difficile rapporto fra i cittadini e
lo Stato: «I cittadini sono lo Stato».
Si insinua continuamente – fin
dall'infanzia attraverso l'educazione scolastica e in età
adulta nel dibattito pubblico – questa equivalenza tra il Fisco,
cioè lo Stato, e il cosiddetto “Paese”, anzi addirittura
«i cittadini» secondo la versione Gramellini. Quando l'ho
letto mi è venuta in mente la copertina del Leviatano
di Hobbes, dove lo Stato è raffigurato come un gigante il cui
corpo è costituito da tanti piccoli omuncoli, i cittadini
appunto. Emblematico che le loro fattezze si perdano completamente
nella visione d'insieme dello Stato. Espressioni come “togliendo al
Fisco si toglie al Paese”, “i cittadini sono lo Stato”, “lo
Stato siamo noi”, ci portano dritti allo Stato etico nel senso
hegeliano del termine. Laddove lo Stato non è cosa buona e
giusta perché pensa al bene comune dei suoi cittadini, ma è
buono semplicemente perché è, è razionale perché
reale. Anzi, è il razionale nella sua forma assoluta. Insomma,
siamo all'anticamera del totalitarismo.
In una visione liberale c'è
differenza tra lo Stato, inteso come la pluralità delle
pubbliche amministrazioni, e il “Paese”. Lo Stato non siamo
“noi”. Lo Stato è un gruppo identificabile di persone, più
o meno rispettabili, chiamate – in democrazia legittimamente – ad
amministrare la cosa pubblica. Un gruppo di persone che può e
deve essere messo sul banco degli imputati dal momento in cui si
mangia la metà e oltre della ricchezza del Paese, non rispetta
il contratto con i cittadini e strangola le attività
economiche. Vedendo le cose da questa prospettiva, le tasse sono
ricchezza sottratta al Paese più di quanto lo sia l'evasione.
Un pensiero che deriva da importanti teorie politiche ed economiche e
condiviso da illustri studiosi.
In un'intervista al Corriere della
Sera nel 1994 il Nobel per l'economia Milton Friedman spiegava
come l'Italia avesse “retto” fino ad allora grazie alla ricchezza
sottratta alla voracità e all'inefficienza dello Stato:
«Guardi che l'Italia è molto più libera di quel che voi credete, grazie al mercato nero e all'evasione fiscale. Il mercato nero e l'evasione fiscale hanno salvato il vostro Paese, sottraendo ingenti capitali al controllo delle burocrazie statali. E per questo io ho più fiducia nell'Italia di quel che si possa avere dalle statistiche, che sono pessimiste. Il vostro mercato nero è un modello di efficienza. Il governo un modello di inefficienza. In certe situazioni un evasore è un patriota».
Mettiamoci d'accordo, dunque. La
situazione italiana è tale per cui un evasore oggi è
più un parassita o più un patriota? Nonostante l'enorme
ricchezza sottratta al Paese lo Stato offre servizi insoddisfacenti,
anzi spesso dannosi, e rischia di trascinarci nella sua bancarotta.
Questo dovrebbe essere il tema dibattuto fino alla noia in queste
settimane. Purtroppo invece le martellanti campagne anti-casta e
anti-evasione dei principali quotidiani italiani stanno funzionando
come armi di distrazione di massa. Ci accapigliamo su chi deve pagare
più tasse, su quali nuovi balzelli inventarci, l'opinione
pubblica sfoga la propria frustrazione e le proprie paure nella
caccia all'evasore (guarda caso sempre il vicino di casa), perdendo
di vista il vero problema, che è lo Stato. I suicidi degli
imprenditori sono una tragedia umana ma anche una denuncia politica
non violenta, eppure vengono commentati come se fossero dei fatti di
cronaca. In Italia di tasse e di fisco – non di crisi economica –
si muore.
2 comments:
Milton Friedman aveva/ha ragione. Abbiamo un economia sommersa che funziona benissimo. I ministri delle finanze del nostro paese hanno due libri contabili...
lo stato NON è la nazione. lo stato è la struttura che dovrebbe governare e far funzionare la nazione. questo in termini generali. purtroppo (grazie anche all'idealismo hegeliano e alle sue applicazioni) i due concetti sono via via stati avvicinati, fino a farli coincidere, con evidente e grave nocumento della logica in primis, e dei cittadini in seconda battuta.
ora, finché lo stato (inteso come insieme dei suoi funzionari) riesce a rimanere distinto dalla nazione e funzionale ad essa, le cose funzionano senza soverchi intoppi, con la soddisfazione generale dei componenti la nazione, che pagano senza opporsi l'organizzazione di servizi dei quali beneficiano tutti.
quando invece, come nel caso dell'Italia dal '26 ad oggi (ma di esempi ce ne sono diversi), lo stato occupa totalmente la nazione, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue potenzialità, la via (pur restando nel solco del totalitarismo di fatto) si biforca, producendo o uno stato molto costoso e molto efficiente, le spese del quale i cittadini sono tenuti a pagare senza discussione e senza la minima possibilità di controllo (vedi i c.d. paradisi sociali scandinavi, o l'Italia fascista, o la Spagna franchista), oppure uno stato molto costoso e molto inefficiente, e i costi dell'inefficienza sono pagati, oltre che economicamente dai cittadini, anche dal loro crescente disagio, senza che comunque ci sia la possibilità di opporsi al prelievo, o di controllare minimamente come, dove e quando i proventi del prelievo vengano utilizzati (come l'Italia repubblicana oppure i paesi del blocco sovietico).
in questo secondo caso, l'evasione fiscale è sì un metodo di sopravvivenza (disonesto) dei produttori, ma è anche una comoda scappatoia per lo stato, che permette a chi può di far fronte coi propri mezzi alle sue deficienze, e a cui in fondo la presenza di liquidità difficilmente spendibile all'interno, e la cui esportazione non è agevolissima, ha sempre fatto un certo comodo: ci si è mai chiesti il motivo per cui le azioni comprate e vendute in borsa dovessero essere nominative, mentre bot e cct erano sempre rigorosamente anonimi? sarà mica perché con l'evasione tollerata si finanziava un debito pubblico che serviva a premiare la base elettorale nazionale e locale?
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