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Tuesday, May 10, 2005

In difesa di Yalta (e di Roosevelt)

Churchill, Roosevelt e Stalin a YaltaLasciate perdere l'intervista di Giulietto Chiesa a Michail Gorbacev, sulle note del "stavamo meglio quando stavamo peggio". Ho sempre ritenuto quello di Gorbacev un falso mito e ripetuto su questo blog che fu l'ultimo di loro, dei sovietici, non il primo dei democratici, o dei post-comunisti. Non fu, insieme a Reagan, l'artefice della pace e della fine della Guerra Fredda, ma fu lo sconfitto di quella guerra. Non c'è stato, per fortuna, bisogno di invadere il blocco sovietico per vincere la Guerra Fredda, ma non per questo si deve far finta che sia stata una scelta di pace e non una capitolazione obbligata.

Più interessante l'intervista su Il Messaggero all'ex dissidente Alexander Daniel, che spiega come il mito putiniano della vittoria sul nazismo sia anche più inquietante di quello di epoca brezneviana, laddove scompare l'eroismo del partito e del popolo per l'adorazione della potenza delle armi e dello Stato-nazione.

Il dibattito sull'eredità della Conferenza di Yalta prosegue e io continuo a pensare che Bush sia stato ingeneroso quando ha iscritto la Conferenza di Yalta nella tradizione deprecabile di eventi diplomatici come la Conferenza di Monaco nel '38 o con i patti Ribbentrop-Molotov del '39, trionfi rispettivamente dell'appeasement e della politica di potenza. Un accostamento politicamente comprensibile da parte del presidente Usa, con l'obiettivo, condivisibile, di contrapporre il principio della libertà dei popoli come parametro delle relazioni internazionali e non la stabilità. Per di più sfruttando la ghiotta occasione di fare bella figura dinanzi ai paesi baltici e a tutta l'Europa orientale: se Putin non vuole chiedervi scusa, sarò addirittura io a farlo. Tuttavia, l'accostamento rimane inesatto dal punto di vista storico. A determinare la divisione dell'Europa e del mondo in blocchi, e la dominazione sovietica sulla parte orientale dell'Europa, fu la violazione da parte di Stalin degli accordi presi a Yalta con Churchill e Roosevelt.

L'oppressione dell'Europa orientale fu la conseguenza del fallimento, della violazione, degli accordi di Yalta e non dagli accordi in quanto tali. Mentre furono la Conferenza di Monaco e i protocolli segreti Ribbentrop-Molotov, non il loro fallimento, a provocare ciò che hanno provocato. Ok, ammettiamo che nonostante le insistenze del presidente americano gli accordi non furono dotati di meccanismi di controllo del loro rispetto da parte dei tre alleati e che le violazioni sovietiche erano ampiamente prevedibili, visto qual era il "particolare" significato che Stalin attribuiva alla parola democrazia, ma cosa si sarebbe dovuto fare per evitare l'inevitabile?

Ha cercato di spiegarlo oggi Il Foglio, prima ricordando la difesa del segretario di Stato di Roosevelt, Edward Stettinius:
«Che cosa ha guadagnato l'Unione Sovietica nell'Europa orientale che non possedesse già per effetto delle schiaccianti vittorie dell'Armata Rossa? La Gran Bretagna e gli Stati Uniti ottennero a Yalta impegni, che disgraziatamente non furono mantenuti, e che promettevano elezioni libere e governi democratici».
Una semplificazione un po' ingenua, lo ammettiamo, ma fu così che alla fine andò. Continua l'editoriale:
«Nel momento in cui immensi territori erano già presidiati dalle truppe sovietiche, come avrebbero potuto gli Alleati mandarle via? Né l'opinione pubblica americana né quella inglese erano preparate a iniziare una guerra nuova subito dopo quella già combattuta, e per di più contro la nazione che la propaganda ufficiale aveva presentato per quattro anni come valente alleata e compagna d'armi. E se pure ci fossero state le risorse morali, sarebbero mancate quelle materiali salvo ricorrere ai metodi estremi consigliati da uno stupefacente Bertrand Russell nel 1948: "A Stalin bisognerebbe lanciargli la bomba atomica"».
Marina Valensise riporta il commento del «massimo esperto di Roosevelt in lingua francese», André Kaspi, che «respinge senza complessi» le parole di Bush.
«Dire che Yalta vada nel senso della tradizione di Monaco e del patto nazisovietico del 1939, è un falso dal punto di vista storico. A Yalta infatti, non si trattò di dividere il mondo in due zone, bensì di porre fine alla guerra in Europa. Yalta è sfociata nella Guerra Fredda, ma non prevedeva quell'esito, bensì un terreno di intesa tra sovietici e occidentali. Tutt'al più fu un errore di valutazione, ma non un errore volontario, come Monaco o come il patto del 1939».
Condivido tutto sommato la conclusione di Bronislaw Geremek:
«Gli storici sanno qual era la verità. I politici ora devono essere capaci di dirla, come Bus. Perché solo a questa condizione, solo liberandosi della mentalità sovietica della menzogna, dall'acquiescenza al peggio per evitare il peggio, andando incontro al peggio, troveranno la forza e i valori per conciliare la memoria degli avversari di un tempo e rifondare l'Europa».
«Altro che monumento, altro che grande stratega. Stiamo parlando in realtà del più grande criminale del ventesimo secolo». Così Aleksandr Yakovlev, ex braccio destro di Gorbaciov e ideatore della perestrojka, presidente della Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni, ha definito lo Stalin comandante in capo dell'Armata Rossa: «Faceva massacrare migliaia di uomini per conquistare una città prima che arrivassero gli inglesi o gli americani». Già, perché la corsa verso Berlino non è una leggenda. Il rapporto da sempre complesso fra gli alleati stava già per compromettersi durante gli ultimi giorni di vita del Reich e gli angloamericani, consapevoli delle intenzioni sovietiche, erano sinceramente preoccupati, stretti fra la necessità di non condannare le proprie truppe al macello cui Stalin condannava le sue e l'urgenza di occupare più territori possibili prima dell'Armata Rossa.

Stalin pagò altissimi costi umani per raggiungere Berlino occupando così tutto l'est europeo, con l'obiettivo di costituire intorno all'Urss un nuovo "cordone sanitario", stavolta non per proteggersi dalla Germania, ma dall'occidente capitalista (il primo nel 1919 servì all'occidente per fermare l'espansione della rivoluzione bolscevica). Diventò da lì a poco un vero e proprio impero europeo.

Roosevelt morì di lì a poco e probabilmente a Yalta non era consapevole della minaccia sovietica quanto Churchill, colui che casomai può essere accusato con maggiore motivo di eccessiva realpolitik. Il grande statista britannico non poteva essere entusiasta del disegno post-bellico così idealistico di Roosevelt, poiché implicava la rapida fine dell'impero di Sua Maestà. FDR mirava a un ordine internazionale di tipo wilsoniano, fondato su democrazia e libero mercato, ma certo non ignorava le intenzioni di Stalin, o il rischio dell'influenza sovietica sull'Europa orientale. Inoltre, è corretto ricordare che l'intera amministrazione americana aveva scarsa familiarità con i meccanismi e la natura del potere sovietico. Non lo ignorava, diciamo, ma non sapeva esattamante fin dove poteva spingersi. Fu solo nel 1946, con i primi rapporti di George F. Kennan che Washington ridusse il gap di conoscenza. Ma chiediamoci se fosse davvero possibile costringere l'Urss al rispetto dei patti nelle zone che già controllava militarmente e se fosse davvero pensabile il ricorso all'uso della forza contro l'Armata Rossa nelle condizioni in cui l'Europa usciva dal conflitto.

L'obiettivo realistico che si presentava, piuttosto, era la conservazione delle posizioni acquisite e per questo la Guerra Fredda si aprì immediatamente, fu il risultato della percezione netta della consistenza della minaccia sovietica. La difesa dell'Europa e di Berlino fu l'obiettivo americano in un primo tempo, la caduta del blocco sovietico fu quello della presidenza Reagan. Non si può dire che gli Stati Uniti, se non in alcune fasi, abbiano sacrificato i popoli dell'Europa orientale alla coesistenza con l'Urss, né che lo fece Roosevelt, che morì prima dell'inizio della Guerra Fredda.

4 comments:

Anonymous said...

Federico, credo che le due posizioni siano perfettamente conciliabili e che il discorso di Bush ne tenga conto: il fatto di osservare che Yalta moralmente fu una capitolazione di fronte alla dittatura e portò al sacrificio di intere popolazioni non significa affermare automaticamente che in quella situazione si potesse fare altro. Nel suo discorso Bush non ha riscritto la storia, come scioccamente stanno sostenendo alcuni. Ha semplicemente riaffermato che troppo spesso la ricerca della stabilità ha determinato la soppressione della libertà e che senza libertà non esistono stabilità e pace reali. Nei fatti, se non nelle intenzioni, Yalta ne fu un esempio.
E' perfettamente possibile condannare gli accordi di Yalta ammettendo che all'epoca non c'erano altre vie d'uscita praticabili.
La condanna morale ed il giudizio storiografico si collocano in questo caso su due piani diversi.

P.S. Tra Monaco e Yalta esiste un sottile filo rosso (anche se ovviamente non furono la stessa cosa). Tra Molotov-Ribbentrop e Yalta non ci sono fili che tengano. Ma il riferimento era dovuto in quel contesto.
P.P.S. Continuo a pensare che attribuire a Roosevelt una conoscenza superficiale della natura e delle intenzioni del regime sovietico come giustificazione del suo operato sia una posizione insostenibile.
Il suo operato si giustifica, se vuoi, per altre ragioni ma di certo il "non sapevo" non ha senso.

Saluti.

Enzo

JimMomo said...

Sostanzialmente d'accordo con te.

"Nel suo discorso Bush non ha riscritto la storia, come scioccamente stanno sostenendo alcuni".

Ecco, giusto a quelli lo voglio dire.

Su Roosevelt non sostengo certo che "non sapesse" come stavano le cose e dove cercasse di arrivare Stalin, ma certo le sue intenzioni vanno distinte da quelle, per esempio, di Churchill. Credeva che coinvolgere l'Urss nell'Onu prima o poi bla bla bla... sappiamo come è andata ma quella fu un'illusione non il frutto di uno spiccato realismo.

ciao

a man said...

Vedo la puntata di Enzo. E rilancio: http://ideazione.blogspot.com/2005/05/di-roosevelt-ce-n-uno-solo-theodore.html

a.man.

Anonymous said...

"Fu solo nel 1946, con i primi rapporti di George F. Kennan che Washington ridusse il gap di conoscenza."

Piano, però.
Kennan (personaggio fondamentale di cui si parla sempre troppo poco e che invece dovrebbe stare anche sui sussidiari delle elementari) era da parecchio tempo che cercava di suonare la sveglia, di avvisare che lo stalinismo era cosa ben diversa da quella che si credeva oltreoceano; ma rimase totalmente inascoltato finché per finalmente da washington si interessarono a lui. "Chi abbiamo a Mosca che ci può aggiornare sulla situazione dei rossi?" "Mah, ci sarebbe s'to rompiscatole di Kennan". "Bene, fatevi fare una bella informativa". Quando gli arriva la richiesta, capisce che è finalmente arrivato il suo momento: si siede a tavolino e butta giù il mitico "long telegram". Era ormai il 1946, ma non per colpa sua.

ale tap