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Sunday, May 01, 2005

Pasticci e fallimenti di un intero sistema politico

Del governo, per la gestione dei sequestri; delle opposizioni, che non solo hanno accettato, ma esplicitamente gradito "l'unità nazionale", ora non possono che tacere su scelte condivise. Storie ordinarie di un paese senza governo. Evitare di seguire lo sciagurato esempio di Sigonella

Scopriamo oggi che la Repubblica è più anti-berlusconiana che anti-americana, mentre il manifesto e l'Unità più anti-americani che anti-berlusconiani. Però stavolta Bonini e Scalfari si attengono ai fatti, mentre Parlato ("La Repubblica in Iraq") e Colombo si aggrappano agli ultimi penosi stracci che gli rimangono delle loro ideologie, arrivando a lodare il governo per la sua fermezza.

Il Corriere sente Daniele Capezzone, che in poche parole sintetizza i termini del pasticcio:
«Il Sismi di Pollari ha contribuito a scrivere una nuova pagina di inaffidabilita dell'Italia. Ci sarà in futuro un responsabile dei servizi segreti di un qualunque Paese che possa fidarsi del suo omologo italiano? Secondo me no. Non vorrei che si fosse alimentata la giusta commozione per la morte di questo eroe per evitare future contestazioni».
Contestazioni che non possono certo giungere dalla sinistra.
«La sinistra ha accettato che il Parlamento fosse esautorato e che nei colloqui con Letta si decidesse. E male. Si è scelto di pagare organizzazioni terroristiche. Si è fatto in segreto. E per nasconderlo si è evitata la sosta in ambasciata, si è corso, e si è avvertito solo all'ultimo. E ora attenzione: Gli Usa non sono mammolette. Ma spero che nessuno coltivi la velleitaria ambizione di costruirsi la sua piccola Sigonella. Ci hanno umiliato con il Iliniato della Cbs, potrebbero rifarlo con le conversazioni tra Letta, Polari e Calipari».
Berlusconi ha giocato «la carta peggiore del suo mazzo»: tirare in ballo sulle conclusioni dell'inchiesta le divisioni interne all'amministrazione Usa tra Pentagono e Dipartimento di Stato ha fatto precipitare gli eventi verso una catastrofe politica e diplomatica. Spuntano il filmato satellitare, le presunte intercettazioni telefoniche, dai quali risulta la velocità dell'auto e l'avvenuto pagamento del riscatto. Si è preteso di bluffare con gli americani, nella speranza che per coprire i pasticci italiani, in nome di una «salda» alleanza, fossero pronti a sacrificare la carriera di un paio di "loro ragazzi" e il morale delle truppe in Iraq. Questo è forse il favore che a parti invertite avrebbe fatto qualsiasi governo italiano, ma questo dai geni americani non lo si poteva attendere.

Il commento di Carlo Bonini si basa sul rapporto diffuso ieri (stralci in italiano; integrale in inglese) e richiama la nostra attenzione su un momento chiave della vicenda, finora non ritenuto meritevole di smentite, emblematico delle scelte italiane nel modo d procedere.
«Il rapporto del Pentagono sulla morte di Nicola Calipari non è piu un segreto. Non ne fa a pezzi la memoria, al contrario. Non insulta i compagni del suo ultimo viaggio. Né Giuliana Sgrena, né il maggiore (cui viene anzi riconosciuta la buona fede nell'errore alla guida e la tensione di una notte maledetta). La notizia, allora, non è, quella già nota, della dinamica dell'incidente al check point volante 541, della «inaccettabile ricostruzione della velocità della macchina, "era superiore alle 50 miglia orarie, intorno ai 90 chilometri e non consenti l'arresto dopo le segnalazioni luminose e una prima raffica di avvertimento". La notizia non è l'assoluzione ritenuta "inaccettabile" dei soldati».
La vera notizia è che il rapporto elenca sì delle responsabilità, ma responsabilità italiane nel mancato coordinamento con gli alleati, dovuto in uno scenario come quello iracheno. Le responsabilità di quanti posero le condizioni dell'incidente, dicendo di tacere che l'operazione era in corso, si era conclusa bene, e l'ostaggio stava tornando a casa, «contravvenendo dunque alla regola che quando ci si muove in uno spazio di combattimento assegnato a una unità in una zona di guerra, il coordinamento con le forze presenti nell'area è richiesto». Il voler tacere fino all'ultimo tutto dell'operazione Sgrena alle autorità militari, all'ambasciata e alle altre autorità americane.

L'unico di questi responsabili di cui si conosce il nome è il gen. Mario Marioli, vicecomandante della Forza multinazionale in Iraq, che la sera del 4 marzo aspettava al check point dell'aereoporto la toyota, lo stesso - insistevano Governo e Sismi - che aveva informato il capitano Green, addetto al rilascio dei badge. Peccato che per il Pentagono accadde il contrario, lo informò ordinandogli di tacere:
«Alle 20.30 il generale approcciava il capitano per sapere come stava e chiedergli se il tenente colonnello gli avesse detto cosa stava accadendo. Il capitano rispondeva "no", ma aggiungeva che sospettava che stesse accadendo qualcosa che aveva a che fare con la Sgrena. Il generale gli disse: "Sì, ma è meglio che nessuno lo sappia". Il capitano prese quello di non comunicare la circostanza a nessuno come l'ordine di un superiore. Inoltre, il generale non aveva alcuna intenzione che il capitano prendesse qualunque iniziativa».
Questo il fatto nuovo, gli altri dettagli anche significativi, ma dettagli. E il caso cinico e baro ha voluto che su quella strada ci fosse un check point volante con soldati poco esperti sotto un temporale notturno.

L'editoriale di Eugenio Scalfari è una critica puntuale della gestione dei sequestri, che coinvolge in modo fazioso Berlusconi, tenendo in secondo piano le responsabilità di opposizioni e commentatori, pronti ad applaudire una "unità nazionale" che danneggiava gli interessi e l'immagine del Paese. Negli estratti di seguito vi risparmio gli scontati incisi polemici sulla guerra e su Berlusconi.
«Nel dopoguerra iracheno le forze della coalizione, cioè l'autorità militare Usa, hanno imposto la regola che con i sequestratori non si tratta. A nessun patto. Non si pagano riscatti. Non si negoziano concessioni politiche. Niente di niente. La sola strada è quella di individuare il covo dove sono prigionieri gli ostaggi e usare le "forze speciali" per tentare il blitz e liberarli. Potrà piacere o non piacere, ma la regol aè questa e tutti i membri della coalizione l'hanno accettata, italiani compresi. Il governo italiano però ha fatto il furbetto. Ha detto ok alle regole degli americani ma dietro la schiena ha incrociato le dita... Non si tratta ma si tratta. Nessun riscatto tranne quello pagato al negoziatori iracheni a titolo, diciamo così, di rimborso spese. Alcuni rimborsi di parecchi milioni di dollari. In via ufficiale non è uscito un soldo dalle tasche italiane; in via ufficiosa — cioè nella realtà — per le tre liberazioni avvenute i "rimborsi" ammontano a circa venti milioni dì dollari. Gli americani naturalmente lo sanno e masticano amaro, ma hanno chiuso gli occhi per non vedere...

Queste essendo le premesse, nel caso Sgrena, come in quelli precedenti delle due Simone e dei bodyguard, il governo commette un gravissimo errore causato dal suo strutturale dilettantismo: partecipa e addirittura dirige sotto gli occhi delle televisioni le operazioni effettuate dagli 007 del servizio di sicurezza militare... Gianni Letta e il capo del Sismi, Nicolò Pollari, lavorano insieme, si costituiscono ufficialmente come "unità di crisi" e mantengono rapporti costanti con gli 007 che si muovono sul terreno. Un errore così marchiano non è mai avvenuto in altri casi e in altri Paesi. Il governo britannico, quello francese, quello americano, non si sono mai esposti e non hanno mai guidato pubblicamente le operazioni delle loro intelligence. Gli 007 che lavorano sul campo lo fanno a loro rischio e pericolo, sapendo che i rispettivi governi sono pronti a sconfessarne l'operato e addirittura la loro esistenza come agenti del servizio se ciò fosse necessario per tutelare la "rispettabilità" internazionale del governo. Queste regole sono l'abc per un servizio di sicurezza e per un governo serio. Per questo si chiamano servizi segreti».
Scalfari sconsiglia la sinistra di cedere alla tentazione di sperare in una seconda Sigonella, prospettando anche il ritiro delle truppe. Primo perché è improbabile che Berlusconi segua questa via, secondo perché gli americani non hanno certo tolto alcun onore a Calipari, terzo perché i soldati americani non sono in alcun modo sottoposti alla nostra giurisdizione e non potrebbe interrogare nessun altro se non la Sgrena (basta!). Certo, la magistratura italiana potrebbe svelare le responsabilità italiane nella gestione del sequestro (Letta e Pollari), ma l'esperienza ci insegna che governi italiani e autorità militari sono invece accortissimi nell'insabbiare le proprie responsabilità politiche e personali.

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