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Wednesday, May 12, 2010

Quanto durerà? E chi ci rimetterà?

David Cameron è il primo conservatore a rientrare a Downing Street dopo 13 anni di Labour. Obiettivo raggiunto, dunque? Quasi. Non si può certo dire che si sia aperto un nuovo ciclo, almeno per i Tories. Eppure, l'aspettativa alimentata da Cameron era proprio quella: sarebbe stato per i Tories ciò che Blair è stato per il Labour. Diciamo che ha ancora buone carte da giocare, ma che per il momento l'inizio del nuovo ciclo è rimandato da un incidente di percorso. Sono sempre stato convinto che Cameron, in quanto vincitore delle elezioni, non poteva sottrarsi alla sfida del governo, sia pure in coalizione, e quindi ben venga l'accordo con i lib-dem, ma a che prezzo... (qui i punti-chiave)

Adesso le domande sono: quanto durerà? E chi ci rimetterà? Innanzitutto, c'è da chiedersi come mai ieri, dopo le dimissioni di Brown, sembrava essersi riaperta la prospettiva di un accordo Lib-Lab? E come mai si è così velocemente richiusa? Non è da escludere neanche un intervento indiretto della Regina, che potrebbe aver fatto trapelare la propria impazienza e la propria contrarietà rispetto ad una coalizione degli sconfitti. Ma forse è una speculazione troppo italian-style. Più probabile che da una parte Clegg non abbia potuto fare a meno di mostrare ai suoi di averci provato anche con i laburisti, anche solo per strappare qualche strapuntino in più ai Tories; e che dall'altra, tolto di mezzo Brown, nessun leader emergente tra i laburisti avrebbe avuto interesse a "bruciarsi" in una impopolare e numericamente fragile coalizione di sconfitti.

Quanto durerà, dunque, e chi ci rimetterà? Ovvio che Cameron e Clegg mostrino ottimismo, garantendo addirittura cinque anni di governo «forte e stabile», mosso dai principi di «libertà, equità e responsabilità». C'è stata una breve esperienza di governo di coalizione dopo il secondo Dopoguerra in Gran Bretagna. Un accordo Lib-Lab che ha retto solo un anno, dal 1977 al 1978, ricorda Philip Johnston sul Telegraph, che si è concluso con una profonda spaccatura all'interno dei Liberal. Da una parte, i lib-dem se vogliono dimostrare di essere un partito credibile, maturo, "di governo", e quindi se vogliono "vendere" ai cittadini una riforma elettorale proporzionale, devono dimostrare nei fatti che un governo di coalizione non produce instabilità. Almeno per questo dovrebbero essere motivati.

Con un sistema proporzionale, osserva Johnston, il «mercato delle vacche che abbiamo visto (o non visto perché nascosto) nei giorni scorsi diventerà la regola dopo ogni elezione. Invece di un chiaro risultato, seguito da un governo che realizza il programma per il quale è stato eletto, gli accordi saranno fatti dietro le quinte; politiche amate verranno accantonate e quelle denunciate durante la campagna elettorale adottate». E il governo «potrebbe divenire meno dominante perché le decisioni chiave tenderebbero ad essere prese in incontri ristretti tra i leader di partito».

Convincere gli elettori che i governi di coalizione non portino a tutto questo sarà dura, ma molto dipenderà da questa esperienza di governo. Se fallisce, i Tories portanno comunque presentarsi agli elettori chiedendo la maggioranza assoluta e scaricando sui lib-dem la responsabilità di scelte sbagliate o impopolari, e delle promesse non mantenute; i lib-dem (nonostante in questa fase Clegg si sia dimostrato forse più abile di Cameron, strappando il massimo delle concessioni) si saranno sporcati le mani, scontentando parecchi loro elettori "di sinistra", non riuscendo nemmeno a dimostrare la fattibilità e la stabilità dei governi di coalizione.

Se, quindi, per i Tories l'esperienza dovesse farsi troppo costosa, ecco che potrebbero chiamare nuove elezioni. Forse nel frattempo il Labour sarà resuscitato, guidato da un nuovo leader giovane e fresco, e potrà sfruttare a proprio vantaggio i fallimenti del governo Lib-Con, ma di certo sarebbero i lib-dem a pagare il prezzo più alto, come prevede Simon Heffer, anche lui sul Telegraph, che ricorda come i liberali si siano già spaccati nel 1886 sull'Irlanda, nel 1918 e anche sul finire degli anni '80, quando diventarono liberal-democratici. «Ora sono per lo più di sinistra» e quando si tornerà al voto verranno «sanzionati» duramente dal loro elettorato, a vantaggio di laburisti e verdi, secondo Heffer: «E la riforma elettorale? Ci crederemo quando la vedremo». D'altra parte, non è certo avvertita come priorità nell'opinione pubblica, soprattutto in tempi di crisi, e sarebbe costoso per i lib-dem rompere su di essa.

Oltre al referendum sulla riforma elettorale in senso proporzionale, un'altra minaccia alla tenuta del premierato britannico contenuta nel programma di governo Lib-Con è la durata fissa della legislatura, per cui il premier non potrebbe più chiedere alla Regina di sciogliere il Parlamento e convocare elezioni generali, ma l'eventuale scioglimento anticipato dovrebbe essere votato dal 55% dei deputati. «Se avessimo già approvato» una riforma del genere, osserva Heffer, «cosa accadrebbe se nessuno avesse la fiducia dei Comuni e non si potessero convocare nuove elezioni per risolvere il problema?».

2 comments:

Anonymous said...

Come si dice discontinuità in inglese?

Anonymous said...

"Con un sistema proporzionale, osserva Johnston, il «mercato delle vacche che abbiamo visto (o non visto perché nascosto) nei giorni scorsi diventerà la regola dopo ogni elezione."

meglio dopo, dovendo tener conto del volere degli elettori, che prima, lasciando totale libertà alla partitocrazia.

al contrario di quanto dici poi mi sembra che la maggioranza dell'opinione pubblica sia favorevole a una riforma proporzionale.

JL