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Tuesday, October 16, 2012

L'effetto annuncio per mascherare la nuova stangata

Date a Mario quel che è di Mario. Bisogna riconoscere al premier Monti di essere un politico abile, persino un filino spregiudicato, altro che un tecnico. Grazie ad una stampa mainstream più che compiacente, è riuscito ad assicurare alla legge di stabilità uno "spin" più che favorevole, cioè a presentarla sotto una luce positiva, almeno per quanto riguarda la parte fiscale. Le cortine fumogene non durano, prima o poi si diradano, ma dal punto di vista mediatico spesso è il primo impatto a definire il mood complessivo della narrazione. Il governo è stato furbo a incrociare tagli e aumenti di imposte, ma ora che la polvere alzata si sta depositando, cominciano a distinguersi i contorni di una vera e propria beffa. Depurata dai trucchetti contabili, la relazione tecnica conferma il sospetto che tra aumento dell'Iva, riduzione Irpef, taglio delle agevolazioni fiscali e nuove tasse, il saldo netto non sia zero, ma addirittura positivo per il governo e negativo per i contribuenti.

L'effetto delle misure fiscali nel 2013 sarebbe di minori entrate per 9 miliardi a fronte di circa 6 miliardi di prelievo aggiuntivo. Qualcosina si è tagliato, si direbbe. E invece no, perché per darcela a bere il governo ricorre ad un trucco contabile piuttoso maldestro, per usare un eufemismo: siccome l'incremento di 2 punti delle aliquote Iva era già previsto, considera l'aumento di un solo punto una riduzione delle tasse, quindi iscrive a bilancio un -3,3 miliardi (il secondo punto in più di Iva che manca). Ma sottraendo questi 3,3 dai 9 miliardi di presunte minori entrate e sommando i 3,3 miliardi del punto di Iva che scatterà da luglio ai 6 di prelievo aggiuntivo, ecco che il rapporto si inverte: dovremmo avere, quindi, meno tasse per 5,7 miliardi e più tasse per 9,3, con un aggravio di quasi 4 miliardi.

Ricapitolando, a fronte di una riduzione delle aliquote Irpef di circa 6 miliardi (4,15 nel 2013, 6,5 nel 2014 e 5,85 nel 2015) e di una detassazione dei salari di produttività per 1,2 miliardi nel 2013 (ma di soli 400 milioni negli anni successivi), pagheremo 3,3 miliardi in più di Iva (6,6 a regime dal 2014), a cui vanno aggiunti 1,15 miliardi dalle minori detrazioni e deduzioni fiscali, 1,1 miliardi dall'imposta di bollo sulle transazioni finanziarie (l'anticipo della Tobin Tax), 500 milioni dalla minore deducibilità delle auto aziendali, 400 milioni dalle assicurazioni (indovinate su chi scaricheranno i costi?), 150 milioni dall'aumento dell'Iva (dal 4 all'11%) sui servizi delle cooperative sociali, 175 milioni dal bollo sui certificati penali, 250 milioni dall'Irpef sulle pensioni di invalidità e di guerra, fino ad oggi esenti, e infine 50 milioni dalla stretta sui permessi della legge 104. Totale: meno tasse 5,4 miliardi e più tasse 7 miliardi. Il rapporto si aggrava negli anni successivi, perché se dal taglio delle aliquote Irpef arriveranno 2 miliardi in più, la detassazione sui salari di produttività si ridurrà da 1,2 miliardi a 400 milioni e avremo sulle spalle l'aumento del punto di Iva su 12 mesi e non solo 6, quindi altri 3,3 miliardi. Totale: meno tasse circa 6,6 miliardi e più tasse circa 10 miliardi.

L'aspettativa non era certo una riduzione della pressione fiscale, ma che restasse almeno invariata, cioè che il governo riuscisse a scongiurare l'aumento di 2 punti dell'Iva già previsto a partire dal luglio 2013. Anziché presentarsi dinanzi all'opinione pubblica dovendo semplicemente ammettere che "no, non ci siamo riusciti e di un punto abbiamo dovuto alzarla", una prospettiva piuttosto deprimente rispetto alle attese, il governo ha preferito mischiare le carte in tavola e attribuirsi il merito di avere almeno iniziato ad abbassare le tasse sul reddito personale.

«Un punto di svolta» che ieri, su la Repubblica, il ministro Grilli ha avuto la faccia tosta di tornare a rivendicare. Che il governo abbia voluto «lanciare un forte segnale al Paese» ci sono pochi dubbi, certamente per «cambiare le aspettative», «ridare speranza», direi puntando al consenso; è sulla corrispondenza tra il messaggio, tra le parole e i fatti che i dubbi abbondano: quando Grilli dice che «il rigore sta dando i suoi frutti, e questi frutti possiamo cominciare a restituirli ai cittadini, avviando un percorso di riduzione della pressione fiscale», dice una cosa che non c'è nella manovra. C'è sì un piccolo taglio dell'Irpef, ma più che compensato da nuovi prelievi. E' vero che ad alcuni cittadini andrà meglio, e ad altri peggio, ma nel complesso il carico fiscale non diminuisce, aumenta. Se c'è «una scossa forte al Paese», è ancora una volta nel senso di più tasse.

Dunque, Monti ha messo in atto esattamente lo stesso trucco comunicativo, l'effetto annuncio, che veniva rimproverato all'ex premier Berlusconi, con la differenza che quest'ultimo, avendo la stampa contro, veniva subito smascherato. E così i media anziché annunciare un fallimento ("Monti non riesce a scongiurare l'aumento dell'Iva"), stanno ancora barcamenandosi per capire se con la legge di stabilità il governo ha davvero diminuito le tasse, se sono rimaste invariate o se le ha aumentate di nuovo.

Nel frattempo Alesina e Giavazzi, sul Corriere, ricordano che storicamente, stando alle manovre di correzione attuate negli ultimi 30 anni nei Paesi industrializzati, la composizione opposta - tagli di spesa e minori aggravi fiscali - comporta minori effetti recessivi e riduce più rapidamente il debito. Evidenza confermata anche dal caso italiano: «Le manovre per lo più costruite su tagli di spesa (le poche che sono state fatte) hanno inciso sull'economia in misura trascurabile», mentre «quelle attuate per lo più aumentando le imposte hanno avuto un "moltiplicatore" pari a circa 1,5: cioè per ogni punto di Pil di correzione dei conti l'economia si è contratta, nel giro di un paio d'anni, di un punto e mezzo».

Per questo, superata l'emergenza, i due economisti insistono nel proporre una «fase due» di tagli alla spesa in misura sufficiente (sarebbe possibile risparmiare 80 miliardi senza tagliare la spesa sociale, certo non raschiando qualche milione qua e là, ma ripensando il perimetro dello Stato) a ridurre la pressione fiscale di 10 punti, mentre debbono constatare che «a un anno di distanza non si è neppure riusciti ad evitare un aumento dell'Iva che annullerà i benefici del timido taglio delle aliquote Irpef».

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