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Tuesday, January 26, 2010

Stavolta Bertolaso si sbaglia. E di grosso

Nel merito e nei rimedi. Le sue critiche fanno a pugni con la logica

Guido Bertolaso dovrebbe leggersi e rileggersi l'editoriale che oggi gli dedica Il Foglio:
«Forte della sua esperienza in Abruzzo, pensa di poter paragonare circostanze del tutto diverse a quelle che ha affrontato l'anno scorso, senza tenere conto delle differenze profondissime che intercorrono tra una situazione che, pur nella tremenda tragedia, poteva contare su un tessuto civile di tipo occidentale, e quella disastrata di Haiti.
(...)
Né l'America né l'Onu dispongono di un apparato sperimentato e definire i sistemi di comando in un Paese straniero nel quale l'autorità del governo locale non è riconosciuta da nessuno non è certo un compito semplice. Provocare l'irritazione del governo americano, espressa con sarcasmo dalla segretaria di stato Hillary Clinton ("Chiacchiere da bar sport"), non aiuta certamente a migliorare la collaborazione necessaria ad affrontare gli immani problemi causati da un sisma devastante che colpisce una società già devastata. Naturalmente è vero che i meccanismi di soccorso debbono essere perfezionati, ma anche che in una situazione dominata dallo sciacallaggio e dal linciaggio, una presenza militare efficace è la condizione preliminare per poter realizzare una qualsiasi opera di aiuto umanitario. Insomma, in Bertolaso ha prevalso un certo provincialismo, il che può rendere meno efficace la sua stessa critica, che potrebbe invece essere di grande utilità, per l'autorevolezza che gli è riconosciuta anche dalla stampa internazionale, se assumesse un carattere più costruttivo e meno arruffato».
Non è un problema di opportunità politica, di rapporti con gli Stati Uniti, né di toni. E' proprio nel merito che le critiche di Bertolaso appaiono superficiali e per molti versi scontate. Dopo 12 giorni la macchina dei soccorsi ad Haiti fa fatica, è nel caos? Vero, ma non potrebbe essere altrimenti, dal momento che non siamo a L'Aquila. Il terremoto che ha colpito Haiti è stato del 7° della scala Richter, enormemente più devastante di quello che ha colpito l'Abruzzo (6,3° Richter) e infatti morti e distruzione sono incomparabili. A partire dalla potenza del sisma e dalle cifre delle vittime si dovrebbe apprezzare la gravità e l'eccezionalità della sfida che la macchina dei soccorsi si trova ad affrontare: a fronte di 272 morti e 70mila sfollati a L'Aquila, le ultime stime parlano di 350 mila morti (ma non meno di 150 mila) e 1 milione (dico: 1 milione!) di sfollati ad Haiti.

Per capire di che ordine di grandezze stiamo parlando, mille volte il numero di vittime causate del terremoto abruzzese, e oltre dieci volte il numero dei senzatetto. Possiamo inoltre immaginarci la quantità di edifici e reti (strade, acqua, elettricità, comunicazioni) distrutti e la gravità delle condizioni igieniche. Né è secondario, ovviamente, il fatto che Haiti è un Paese del terzo mondo ed è stata colpita al cuore, nella capitale. Da dove potevano arrivare, e potevano essere coordinati i soccorsi, se proprio la capitale è stata distrutta, portando alla paralisi il già fragile governo? Haiti non ha potuto contare su una capitale come Roma a cento chilometri di distanza come retrovia.

Non poteva essere più calzante e meritata, quindi, la replica di Hillary Clinton: «Chiacchiere da bar sport». E' ovvio che tempestività, efficacia, coordinamento dei soccorsi possono essere migliorati. Ma che cosa propone Bertolaso? Di creare l'ennesima agenzia, l'ennesimo ufficio con sede all'Onu che dovrebbe coordinare i soccorsi in catastrofi come queste, nonostante la comprovata inefficienza e gli sprechi di queste strutture? No, io mi terrei l'esercito americano tutta la vita. L'esercito Usa come spina dorsale, fulcro e perno dei soccorsi, poi ben venga tutto il resto.

Thursday, April 23, 2009

Soluzione liberale per il dopo-terremoto

Otto miliardi di euro complessivi ma senza un centesimo in più di tasse. Questa la cifra messa a disposizione dal Consiglio dei ministri per il dopo-terremoto in Abruzzo. Ma adesso, oltre ai soldi, servono idee per il dopo-terremoto. Qualche buona idea la suggerisce un "focus" pubblicato oggi dall'Istituto Bruno Leoni, dal titolo "Un contributo di idee per il dopo-terremoto". Secondo l'autore, Piercamillo Falasca, finanziare la ricostruzione «non significa affatto che lo Stato gestisca in prima persona la ricostruzione stessa. Un sistema di indennizzi commisurati ai danni subiti sarebbe assai migliore, in quanto più trasparente, utile alla popolazione, meglio al riparo da malversazioni».

L'idea del premier dei "cento cantieri" da suddividere tra le province italiane si scontra con i livelli di efficienza delle province, «troppo diversi tra loro». Per quanto riguarda la fonte del finanziamento, il governo ha già deciso di «evitare il ricorso ad una tassazione straordinaria», come suggerito dall'IBL. Ma è proprio inevitabile «che il settore pubblico debba gestire materialmente l'intera ricostruzione delle aree terremotate, pianificando ex ante cosa ricostruire e dove»? E la «ricostruzione» è davvero «l'unica forma possibile di risarcimento ai terremotati»? Falasca propone invece di affidare «ad ogni famiglia e ad ogni impresa» un «indennizzo monetario di importo parametrato al danno stimato, ma non vincolato alla ricostruzione dell'immobile».

Questa soluzione avrebbe numerosi vantaggi: si eviterebbe che i soggetti danneggiati siano «preda delle inefficienze, dei ritardi e degli sprechi delle macchine burocratiche e politiche»; quanti lo vorranno potranno optare per scelte diverse dalla ricostruzione («l'acquisto di un'abitazione già esistente in un luogo diverso; una diversa tipologia di abitazione; l'avvio di un'attività economica»); alleggerirebbe i compiti per lo Stato, che quindi «potrebbe investire le proprie risorse umane nel controllo degli standard di qualità di ciò che viene costruito o riparato».

Certo, Falasca è consapevole che «si condannerebbero alcuni borghi o quartieri a non essere ricostruiti o a perdere una parte degli abitanti», ma per quanto sia spiacevole ammetterlo, a volte «il ripristino dello status quo ante si scontra con la razionalità, l'efficienza economica e la libertà individuale, che non può essere sacrificata sull'altare di una visione romantica della conservazione». Affidando i soldi «direttamente nelle mani delle persone e non della burocrazia o della politica», «i tempi della normalizzazione si ridurrebbero e non si condannerebbero le persone ad una dipendenza di medio-lungo periodo dall'intervento pubblico».

A seguito del terremoto che ha colpito l'Abruzzo, si è aperto un dibattito sull'ipotesi, per il futuro, dell'introduzione di una polizza obbligatoria per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali. Secondo Falasca, il modello più efficace sarebbe quello neozelandese. In Nuova Zelanda «un ente pubblico assicura da sinistri fino a un tetto massimo (nel caso del paese oceanico, circa 100.000 dollari americani). Sopra quella soglia, sono le compagnie private in concorrenza tra loro ad offrire forme integrative di assicurazione».

Una soluzione simile avrebbe molti pregi. Innanzitutto, «sottrarrebbe all'arbitrio della politica le risorse accantonate (oggi il terremoto appare una priorità, ma tornerà a non esserlo), destinandole ad una bilancio separato». Inoltre, «con molto più zelo dello Stato, le assicurazioni private interverrebbero sul fronte della prevenzione, premendo – attraverso il valore dei premi assicurativi - perché siano rispettati gli standard di sicurezza rispetto ai terremoti... e alle altre tipologie di calamità».

Wednesday, April 15, 2009

Ci risiamo: nuova emergenza, nuova tassa

Tutti i governi, ma in particolare quelli italiani, amano praticare una bizzarra forma di solidarietà: una solidarietà "coatta". La solidarietà sembra essere obbligatoria. Anche il governo di centrodestra, guidato dallo stesso Berlusconi che aveva giurato che non avrebbe in nessun caso messo le mani nelle tasche degli italiani, pare si accinga ad alzare le tasse per far fronte alle spese di ricostruzione dopo il terremoto in Abruzzo.

Un prelievo aggiuntivo - un «contributo obbligatorio» - a carico di chi dichiara redditi superiori ai 130-140 mila euro l'anno. Ma siccome temono che i ricchi "normali" si siano stufati di essere sempre loro a pagare, questa volta li chiameranno i "super-ricchi". Non è ancora chiaro se si tratterà di una addizionale Irpef, se sarà permanente o sarà una una-tantum. Ma più si farà leva sul sentimento di invidia sociale nei confronti di quella razza di contribuenti in via d'estinzione, definendoli non a caso "super-ricchi", più l'aumento apparirà di buon senso.

L'idea non è particolarmente originale. Il nostro sistema tributario è pieno di tasse e balzelli "di scopo", misure quasi mai cancellate una volta passata l'emergenza. Stiamo ancora pagando per l'Irpinia, e sulla benzina paghiamo ancora le guerre coloniali in Africa. In altre occasioni, come la tassa per entrare nell'euro, i soldi non ci sono mai stati restituiti del tutto. Tra l'altro, è una soluzione particolarmente infelice in questo momento, perché a causa della crisi il gettito fiscale diminuirà comunque, con o senza una-tantum o aumenti dell'aliquota massima. I nostri politici ancora non hanno capito che a livelli estremamente alti di tassazione l'unico modo per incrementare il gettito è far crescere l'economia, non continuare a spremere sempre gli stessi limoni.

Wednesday, April 08, 2009

Previsioni no, ma almeno un'attenta valutazione del rischio

Lasciamo per un momento da parte Giuliani e il suo radon, perché mi pare che il parlarne ci distolga da un aspetto più importante in tutta questa tragica vicenda.

I terremoti sono imprevedibili, si è detto. Eppure, il 31 marzo si riuniva a L'Aquila la Commissione Grandi rischi, con i massimi esperti italiani di terremoti. Si riuniva per fare che cosa, esattamente, se comunque non è possibile "prevedere" un terremoto? Di logica sembrerebbe essercene poca. E' ovvio però che dalla Commissione Grandi rischi non ci si aspettava una "previsione" in senso stretto, tale da dar luogo ad una evacuazione, ma almeno - come dice il nome stesso - un'attenta e scientificamente informata valutazione del rischio, che in qualche modo è a sua volta una previsione, sia pure probabilistica.

Molti aquilani sopravvissuti al terremoto hanno lamentato il fatto che fino a quella maledetta notte tra il 5 e il 6 aprile gli sia stato ripetuto di restare «tranquilli». Il signor Giuliani sarà anche "solo" un perito elettronico, un «imbecille», un cialtrone, ma i tanti signor "restate tranquilli"?

Ebbene, il dibattito sulla scientificità, o sulla semplice attendibilità, del modello predittivo di Giuliani sta nascondendo il fatto che Barberi, Boschi e gli altri sismologi "ufficiali" non hanno saputo effettuare una corretta valutazione del rischio con gli elementi in loro possesso. Prim'ancora che per non aver dato ascolto a Giuliani, hanno fallito perché non hanno saputo utilizzare al meglio i loro strumenti e le loro conoscenze: era in corso da tre mesi uno sciame sismico piuttosto anomalo, vista la grande quantità di scosse avvertite dalla popolazione negli ultimi giorni; lo sciame interessava una zona sismica considerata - non da Giuliani, ma dall'Ingv - tra le più a rischio, se non la più a rischio, d'Italia; e per di più, si poteva notare (a cavallo tra marzo e aprile) una tendenza all'aumento della frequenza e dell'intensità delle scosse (come provano la scossa di Sulmona di magnitudo 4 e le due ravvicinate a L'Aquila poche ore prima quella tremenda delle 3.32). Forse da quella riunione non si poteva proprio uscire ripetendo alla popolazione di restare «tranquilla».

Sbaglia chi critica Bertolaso. Il quale, a ben vedere, non ha del tutto ignorato l'allarme lanciato da Giuliani, come può far pensare la reazione scomposta nei suoi confronti, l'avergli dato dell'«imbecille», e poi persino la denuncia per procurato allarme. Proprio a seguito del perdurante sciame sismico, dell'allarme di Giuliani e della scossa del 29 marzo a Sulmona, Bertolaso decideva molto saggiamente di cautelarsi mettendo comunque in preallarme la Protezione civile e convocando a L'Aquila la Commissione Grandi rischi. Non potendo certo lanciare l'allarme catastrofe sulla base di una rilevazione non fondata dal punto di vista scientifico, almeno non sottovalutava la situazione e chiamava ad esprimersi i maggiori sismologi italiani.

Sono questi, gli scienziati "ufficiali", che hanno fallito e di cui troppo poco si parla in queste ore, anzi quasi per niente. Qui Giuliani non c'entra nulla. Hanno fallito non perché non hanno dato retta a Giuliani, o perché hanno sbagliato la "previsione" - che sappiamo essere impossibile allo stato delle conoscenze scientifiche attuali - ma perché non hanno effettuato una corretta valutazione del rischio, che era possibile con i dati di cui disponevano. A che serve una Commissione Grandi rischi se poi nessuno si assume la responsabilità del suo operato? Nel caso di Barberi, poi, siamo di fronte a un recidivo. Fu sempre lui, da capo della Protezione civile, a tranquillizzare tutti la mattina dopo la prima scossa del terremoto di Assisi nel 1997, dicendo che sarebbero seguite solo scosse di assestamento, minori rispetto all'evento della notte, mentre alle 11.42 una seconda e più devastante scossa fece crollare la volta della Basilica. Com'è che sono sempre le stesse facce da oltre dieci anni?

Monday, April 06, 2009

Terremoti ancora imprevedibili, ma la scienza "ufficiale" non è senza macchia

La domanda che si fa particolarmente angosciante in queste ore è se il terremoto che ha devastato l'Abruzzo ieri notte era prevedibile. L'opinione diffusa è che i terremoti non siano prevedibili in modo tale da allertare le popolazioni interessate. Ma questa convinzione è messa in forte dubbio in queste stesse ore da un ricercatore, Giampaolo Giuliani, che in seguito allo sciame sismico che stava interessando l'Abruzzo da più di un mese aveva lanciato l'allarme sulla possibilità che si verificasse un terremoto "disastroso".

Non gli hanno creduto e lo hanno persino denunciato per procurato allarme. Cerchiamo di guardare ai fatti. La previsione di Giuliani non si è dimostrata di un'accuratezza tale da poter salvare delle vite, perché annunciava un terremoto "disastroso" domenica 29 marzo con epicentro a Sulmona. Se fossero stati evacuati i cittadini di Sulmona e delle zone limitrofe, trascorsa una settimana sarebbero rientrati nelle loro case giusto in tempo per venire colpiti dal terremoto che si è effettivamente verificato. E' un fatto anche che allo stato attuale nessuna ricerca sui cosiddetti "precursori sismici", in nessuna parte del mondo (neanche in Giappone o in California, dove di terremoti se ne intendono) ha fornito un'attendibilità tale da giustificare l'evacuazione delle popolazioni.

Anche perché se parliamo di misure così estreme come un'evacuazione, oltre ai costi esiste una seria questione di credibilità dell'allarme stesso. Se infatti l'evento non si verifica, l'allarme rischia di perdere credibilità presso la stessa popolazione. I falsi allarme rischiano di rendere sempre meno credibili gli allarmi successivi. Mi pare quindi che Bertolaso abbia agito per il meglio, secondo le informazioni in suo possesso. Ha denunciato gli allarmismi di Giuliani, ma nel contempo ha riunito la Commissione Grandi rischi con i più autorevoli sismologi italiani, mettendo in preallarme le strutture della Protezione civile, che a quanto sembra hanno prestato un soccorso tempestivo e di proporzioni adeguate alle dimensioni della tragedia.

D'altra parte però bisogna riconoscere che effettivamente lo sciame sismico che stava interessando l'Abruzzo era anomalo, perché se è vero che di solito questi sciami passano senza eventi rilevanti, questa volta molte scosse erano state avvertite dalla popolazione, e una di queste il 31 marzo aveva raggiunto una più che allarmante magnitudo 4. Uno sciame anomalo che forse avrebbe dovuto destare maggiori preoccupazioni nei nostri sismologi "ufficiali", visto anche che l'Abruzzo risulta dalle loro mappe tra le regioni a più elevato grado di pericolosità sismica. E' vero poi che Franco Barberi, vicepresidente della Commissione Grandi rischi, è lo stesso Barberi che da capo della Protezione civile la mattina dopo la prima scossa del terremoto di Assisi nel 1997 disse che sarebbero seguite solo scosse di assestamento minori rispetto all'evento della notte, mentre alle 11.42 una seconda e più devastante scossa colpì la zona, facendo crollare la volta della Basilica.

Se i terremoti non sono prevedibili, come ci dicono dall'Ingv, perché così spesso dopo un terremoto di una certa intensità ci assicurano che seguiranno solo scosse minori? Come fanno a saperlo? Non lo sanno affatto: una cosa che i terremoti dell'Umbria del 1997 e di ieri ci hanno dimostrato è che un forte terremoto non sempre e comunque è seguito solo da scosse di assestamento, ma a volte anche da scosse di potenza maggiore.

E' vero inoltre che dal punto di vista scientifico è discutibile non aspettare che le proprie teorie ricevano una verifica da parte della comunità scientifica prima di basare su di esse allarmi rivolti ai sindaci e alla stampa, alla quale ci si rivolge di regola solo dopo una pubblicazione. E' anche vero però che spesso le scoperte più importanti sono merito di personaggi al di fuori, o addirittura estromessi dalla scienza "ufficiale", e che la nostra comunità scientifica è particolarmente chiusa, asfittica e oligarchica, ed è difficile che le risorse seguano il merito. E' vero che la sensazionale "scoperta" di Giuliani non è stata pubblicata su nessuna rivista scientifica, ma è anche vero che non è facile pubblicare se non si ricevono i fondi adeguati e se non si fa parte delle conventicole giuste.

Insomma, non sarebbe stato prudente dare credito all'allarme di Giuliani, che tra l'altro non avrebbe salvato alcuna vita. Tuttavia, sarà solo un «perito elettronico», può essere stato solo un caso, ma siccome innegabilmente è andato molto, molto vicino alla previsione che avrebbe fatto la differenza, piuttosto che dargli dell'«imbecille», rinnegarlo come dipendente, come ha fatto l'Infn, o screditarlo (è solo un «tecnico, non un ricercatore», che lavora sui terremoti «a scopo personale») come ha fatto l'Inaf, Bertolaso, Boschi e i nostri istituti nazionali dovrebbero spiegare pacatamente all'opinione pubblica che non siamo ancora in grado di giustificare un'evacuazione su basi scientifiche, ma che allo stesso tempo alle ricerche di Giuliani verrà dato tutto lo spazio, l'attenzione e le risorse che meritano, e che verrà coinvolto in quelle che sono in corso.

Tuesday, December 16, 2008

Il prevedibile, e previsto, crollo del Pd

Un "cappotto" umiliante e un quasi sorpasso in casa. Il Pd non solo perde l'Abruzzo ma rispetto alle politiche arretra di ben 14 punti, scendendo dal 33,7% al 19,6%, a beneficio invece dell'Italia dei valori, che triplica toccando il 15% dal 4,3 di aprile. Un quinto degli elettori del Pd, il 20%, si sarebbe spostato verso l'IdV, secondo quanto rileva l'Swg per Affaritaliani.it. Un voto «locale e parziale», non semplice da «riprodurre» sull'intero territorio nazionale. Comunque, visto l'esito delle urne, al momento in termini percentuali «il Pd non va oltre il 26-27 per cento, circa 6,5 punti percentuali in meno rispetto alle politiche di aprile. L'Italia dei valori cresce e si attesta tra l'8 e il 9 per cento».

Siamo stati in molti, appena fu sancita l'alleanza tra Pd e Di Pietro per le politiche del 13 aprile, a capire che si trattava di un autentico suicidio, di un errore di quelli blu, incomprensibile e imperdonabile, da parte di un politico che si riteneva esperto e furbo come Veltroni. Il crollo del Pd in Abruzzo, ampiamente previsto da tutti i sondaggi, è il frutto inevitabile di quella scelta funesta, che ha impedito, e ancora impedisce, al Pd di assumere un profilo riformista credibile.

Tutta l'analisi del voto è racchiusa nel giudizio semplice e conciso di Berlusconi: Veltroni «ha consegnato la sinistra ai modi eversivi di far politica del signor Di Pietro». E' il fallimento della politica ambigua dell'"andiamo da soli ma anche no", e della scelta proprio di Di Pietro come unico alleato, tra tutti i possibili compagni di viaggio (i socialisti, i radicali). Come se non bastasse, scelta ancora più incomprensibile, per le elezioni abruzzesi, quella di candidare proprio un volto dell'Idv alla presidenza della regione.

Pur nella sconfitta del suo candidato, Di Pietro esulta perché ha sotto i piedi le macerie del Pd. Il dalemiano Latorre scopre l'acqua calda, «che Di Pietro sta erodendo elettorato più a noi che ai nostri avversari». In realtà i dalemiani l'hanno sempre saputo, ma si sono guardati bene dal contrastare da subito apertamente, alla luce del sole, la scelta del segretario. Ma cos'altro ci vuole per rendere finalmente contendibile, sul serio, la leadership del Pd?

E il PdL da parte sua ha trovato il nuovo avversario dalle uova d'oro: finché Pd e Idv rimarranno alleati, Di Pietro è la migliore garanzia - com'era Bertinotti - che non ci sarà mai un rilevante travaso di voti di centrodestra verso il Pd.

«È ora di rompere questa alleanza fasulla e suicida: subito e per sempre», chiede oggi Menichini, direttore di Europa, arrivando anche lui con ingiustificabile ritardo.
«Ora Veltroni dev'essere conseguente con la lezione appresa: continuare a trascinare l'alleanza con Di Pietro, a ogni livello, è per il Pd un puro suicidio. Come hanno capito tutti coloro che nel tempo si sono illusi di addomesticare l'ex pm, e ce ne sono di illustri e di abili: da D'Alema a Rutelli, da Parisi a Prodi, Di Pietro ha come unica stella polare se stesso, come unica fedeltà quella alla propria avventura. Non c'è da stupirsi, ma da trarre le conseguenze».
Ma se ci hanno messo quasi vent'anni per rompere con la sinistra comunista, quanti ce ne metteranno per rompere con l'ala giustizialista?