Otto miliardi di euro complessivi ma senza un centesimo in più di tasse. Questa la cifra messa a disposizione dal Consiglio dei ministri per il dopo-terremoto in Abruzzo. Ma adesso, oltre ai soldi, servono idee per il dopo-terremoto. Qualche buona idea la suggerisce un "focus" pubblicato oggi dall'Istituto Bruno Leoni, dal titolo "Un contributo di idee per il dopo-terremoto". Secondo l'autore, Piercamillo Falasca, finanziare la ricostruzione «non significa affatto che lo Stato gestisca in prima persona la ricostruzione stessa. Un sistema di indennizzi commisurati ai danni subiti sarebbe assai migliore, in quanto più trasparente, utile alla popolazione, meglio al riparo da malversazioni».
L'idea del premier dei "cento cantieri" da suddividere tra le province italiane si scontra con i livelli di efficienza delle province, «troppo diversi tra loro». Per quanto riguarda la fonte del finanziamento, il governo ha già deciso di «evitare il ricorso ad una tassazione straordinaria», come suggerito dall'IBL. Ma è proprio inevitabile «che il settore pubblico debba gestire materialmente l'intera ricostruzione delle aree terremotate, pianificando ex ante cosa ricostruire e dove»? E la «ricostruzione» è davvero «l'unica forma possibile di risarcimento ai terremotati»? Falasca propone invece di affidare «ad ogni famiglia e ad ogni impresa» un «indennizzo monetario di importo parametrato al danno stimato, ma non vincolato alla ricostruzione dell'immobile».
Questa soluzione avrebbe numerosi vantaggi: si eviterebbe che i soggetti danneggiati siano «preda delle inefficienze, dei ritardi e degli sprechi delle macchine burocratiche e politiche»; quanti lo vorranno potranno optare per scelte diverse dalla ricostruzione («l'acquisto di un'abitazione già esistente in un luogo diverso; una diversa tipologia di abitazione; l'avvio di un'attività economica»); alleggerirebbe i compiti per lo Stato, che quindi «potrebbe investire le proprie risorse umane nel controllo degli standard di qualità di ciò che viene costruito o riparato».
Certo, Falasca è consapevole che «si condannerebbero alcuni borghi o quartieri a non essere ricostruiti o a perdere una parte degli abitanti», ma per quanto sia spiacevole ammetterlo, a volte «il ripristino dello status quo ante si scontra con la razionalità, l'efficienza economica e la libertà individuale, che non può essere sacrificata sull'altare di una visione romantica della conservazione». Affidando i soldi «direttamente nelle mani delle persone e non della burocrazia o della politica», «i tempi della normalizzazione si ridurrebbero e non si condannerebbero le persone ad una dipendenza di medio-lungo periodo dall'intervento pubblico».
A seguito del terremoto che ha colpito l'Abruzzo, si è aperto un dibattito sull'ipotesi, per il futuro, dell'introduzione di una polizza obbligatoria per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali. Secondo Falasca, il modello più efficace sarebbe quello neozelandese. In Nuova Zelanda «un ente pubblico assicura da sinistri fino a un tetto massimo (nel caso del paese oceanico, circa 100.000 dollari americani). Sopra quella soglia, sono le compagnie private in concorrenza tra loro ad offrire forme integrative di assicurazione».
Una soluzione simile avrebbe molti pregi. Innanzitutto, «sottrarrebbe all'arbitrio della politica le risorse accantonate (oggi il terremoto appare una priorità, ma tornerà a non esserlo), destinandole ad una bilancio separato». Inoltre, «con molto più zelo dello Stato, le assicurazioni private interverrebbero sul fronte della prevenzione, premendo – attraverso il valore dei premi assicurativi - perché siano rispettati gli standard di sicurezza rispetto ai terremoti... e alle altre tipologie di calamità».
1 comment:
"e le assicurazioni private interverrebbero sul fronte della prevenzione, premendo – attraverso il valore dei premi assicurativi - perché siano rispettati gli standard di sicurezza rispetto ai terremoti... e alle altre tipologie di calamità»."
Parole sante.
Post a Comment