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Friday, April 24, 2009

Per fortuna Silvio c'è, ma manca il dibattito delle idee

Altro che Santoro. La Rai del centrodestra è capace di operazioni di mistificazione ideologica ben più sofisticate e rivestite di rispettabilità. Mentre tutta la vis polemica è concentrata sui soliti noti, ricicciano personaggi della Prima Repubblica con le loro interviste in ginocchio, e piano piano, senza dare nell'occhio, dalla notte inoltrata risalgono le fasce orarie. A Minoli sono bastati pochi minuti. Per chi non avesse visto l'ultima puntata de "La Storia siamo noi", in onda su Raidue tra le unidici e mezzanotte di mercoledì scorso, il video dovrebbe essere disponibile on line tra qualche giorno.

Con l'uso delle tecniche audiovisive e del linguaggio tipico del documentario, Minoli ha offerto ai telespettatori una tesi - legittima ma pur sempre partigiana e ideologica - sulle cause dell'attuale crisi economica, come se fosse una indiscutibile verità storica. Partendo dalla ricostruzione dei trionfi delle coppie Thatcher-Hayek e Reagan-Friedman negli anni '80 e passando direttamente al 2007, come se nel frattempo nulla fosse avvenuto e nessuno avesse avuto responsabilità di governo, gli sono bastati pochi minuti infarciti di luoghi comuni per addossare le colpe della crisi all'«ultra-liberismo» e al «capitalismo selvaggio», lanciando un attacco suggestivo ma privo di qualsiasi argomentazione al mito thatcheriano e al mito reaganiano.

Lo ripeto. Non è la tesi - ovviamente legittima - ma il metodo che mi scandalizza. Le tecniche del racconto documentaristico sono state usate per attribuire ad una delle tante analisi sulle cause lontane della crisi i toni perentori di una pagina di storia. Possibile che il centrodestra, oggi al governo, debba lasciare ai Minoli la politica culturale della tv di stato? Possibile che non sia in grado di veicolare una sua politica culturale, in senso alto, non certo eliminando gli avversari? Perché, per esempio, non rispondere con un ciclo di interviste agli economisti dalle cui considerazioni è tratto il libro "La crisi ha ucciso il libero mercato?"

Infine - a conferma della natura politica e non storica dell'operazione - l'intervista in ginocchio all'ex presidente del Consiglio Romano Prodi, solenne ed esultante per il ritorno del primato dello stato sul mercato, dell'etica e della giustizia sociale sull'avidità, dell'industria sulla finanza, nonché compiaciuto della evidente sintonia emersa sempre più negli ultimi mesi tra lui e il ministro Tremonti.

D'accordo con Tremonti sugli "Eurobond" («Li avevo proposti sul Financial Times parecchio tempo fa»); Tremonti ha «completamente ragione» anche sul fatto che bisogna tornare a leggera la Bibbia invece di troppi libri di economia. «Ma la cosa non riguarda solo l'oggi. Se avessimo letto un po' più di Bibbia anche negli anni in cui il libero mercato trionfava, oggi non saremmo nella crisi in cui siamo. L'etica era necessaria per i politici, per i finanzieri e lo è anche oggi».
E infine, Prodi spiega che dopo la crisi «tutto sarà diverso, a partire dal potere. Ci saranno nuovi Stati potentissimi e vecchi più deboli. Non ci sarà più questo comando senza controllo della finanza, ci sarà più peso della produzione reale dell'industria e anche più spazio per una maggiore giustizia sociale».

Oggi Prodi è columnist domenicale del quotidiano Il Messaggero. Molti, nei suoi editoriali degli ultimi mesi, i riconoscimenti impliciti alla politica economica di Tremonti. Su tutti quello di metà febbraio scorso sulla necessità di «una nuova Bretton Woods», la «globalizzazione delle regole» oltre che dei mercati. Editoriale che tanti complimenti ha ricevuto da parte dello stesso Tremonti, che il giorno successivo dava atto all'ex premier di aver scritto «un articolo che esprime la cifra della grande politica».

Se la politica cauta di Tremonti in questi frangenti di crisi può a ragione essere definita «immobilismo virtuoso», la sintonia tra i due ci fa tornare in mente i due statalismi nella cui morsa è stretta la politica italiana e nei cui confronti, dall'interno del centrodestra, tranne lodevoli ma minoritarie eccezioni, non si levano voci in difesa del libero mercato. Siamo messi male, insomma, come osservava su Corriere Magazine della settimana scorsa Angelo Panebianco:
Sono tempi grami per i difensori del mercato... particolarmente in Italia: Paese in cui le culture politiche dominanti hanno sempre diffidato del mercato. Che poi questa storica diffidenza sia accompagnata a una forte avversione popolare per i politici, per l'uso che essi fanno delle risorse pubbliche, non implica l'esistenza di una contraddizione. Perché l'avversione per i politici non è quasi mai tradotta nella richiesta generalizzata di meno Stato e di più spazio all'iniziativa privata... In Italia, oggi, non viviamo una fase di "ritorno dello Stato" a causa della crisi, dal momento che lo Stato non se ne è mai davvero andato. Viviamo piuttosto un momento di rivalutazione culturale del suo ruolo... Non c'è dubbio: alla politica (alle sue possibilità di controllo sulla società) conviene che tante persone si convincano che il mercato non è, in tanti campi, una buona soluzione. La maggiore sicurezza che la politica è in grado di offrire nel breve termine si paga poi, in genere, nel medio termine, con meno libertà e meno benessere.
Ma come osservava tempo fa Alberto Mingardi, «il problema di Tremonti è quello di tutto il centro destra. La sua stella brilla solo perché il cielo è sgombro. Se va reso merito all'ostinazione con cui ha frenato l'espansione della spesa, entusiasmarsi per il Tremonti-pensiero è difficile. L'immobilismo virtuoso va bene come risposta di breve periodo. Già nel medio, bisogna avere un progetto». Non basta il «curioso minestrone» tremontiano «in cui "legale" e "morale" si rincorrono». Ma per ora quasi tutti nel centrodestra se lo bevono.

5 comments:

gabbianourlante said...

scusa come fai a fare pressioni su un minoli? editto bulgaro pure per lui? sarebbe un'altro santo sulla via crucis!

e fintanto che resterà, si presterà con gioia a dire che il mercato è crollato per COLPA del liberismo... è il massimo che può fare....

peccato per chi lo ascolta....

Alexis said...

Sono d'accordo sulla necessità di organizzare un dibattito culturale pro-liberista in Rai, ma l'attuale centro-destra non mi sembra interessato viste le attuali posizioni in materia economica...

Anonymous said...

La Rai del centrodestra ...
beh mi sembra un linguaggio "ottocentesco" e poi definire Minoli, rai del centrodestra che mistifica, mi sembra una mistificazione :-)
darmix

Anonymous said...

Ma scusi, lei dormiva mentre seguiva la trasmissione? Si è messo in evidenza, con tutta chiarezza, che le cause della crisi del 2008 sono soprattutto nella scollatura tra finanza e imprenditoria. Che la tesi sia vaga ed abusata, d'accordo; ma non ho proprio visto nella trasmissione -- né nel dialogo con Prodi, che ha difeso privatizzazioni ecc. -- una lapidazione del libero mercato. Forse la differenza tra il mio modo di ascoltare e il suo è che io cercavo motivi di riflessione, non pretesti per tirare cannonate.

JimMomo said...

Ogni tanto sarebbe interessante sapere con chi si ha il piacere di parlare. Ma c'è qualcuno che può negare che la trasmissione stabiliva un collegamento ardito e del tutto privo di argomentazioni tra Reagan-Thatcher e la crisi? Prodi ha difeso le privatizzazioni (non liberalizzazioni) che ha fatto lui (e male). Non mi pare una gran difesa del libero mercato.