Se l'ipotesi dell'atomica iraniana spaventa più di tutti Israele, a rendere inquieti i governi arabi sono anche gli altri mezzi, molto convenzionali ma meno eclatanti, con i quali Teheran sta perseguendo i suoi disegni egemonici sull'intero Medio Oriente. «Potenze straniere cercano di sabotare l'Egitto attraverso movimenti islamici», è l'inequivocabile accusa lanciata ieri dal presidente egiziano Hosni Mubarak. Alcune settimane fa le autorità egiziane hanno sgominato una cellula di Hezbollah che stava progettando attentati contro mete turistiche frequentate da israeliani e altri occidentali e contro infrastrutture strategiche del paese. Tra le accuse a carico dei 49 arrestati (libanesi, palestinesi, egiziani e sudanesi, tutti legati a Hezbollah), «l'osservazione del movimento delle navi nel Canale di Suez e dei villagi turistici nel nord e nel sud del Sinai allo scopo di attaccarli»; «la diffusione di idee sciite in Egitto e l'incitamento degli egiziani contro il loro governo»; «la fornitura di armi e denaro ad Hamas».
Gli iraniani manovrano organizzazioni terroristiche loro alleate allo scopo di destabilizzare l'Egitto – l'unico vero ostacolo rimasto tra gli ayatollah e le loro ambizioni – economicamente, colpendo il turismo e il commercio, settori strategici per l'economia del paese dei faraoni, e politicamente, giocando le carte del risentimento filopalestinese e dell'integralismo islamico.
Anche altri stati arabi stanno reagendo: il Marocco ha bruscamente interrotto le relazioni diplomatiche con l'Iran, accusandolo apertamente di sostenere elementi sovversivi sciiti nel regno; il Bahrain ha protestato con forza contro le dichiarazioni di un funzionario iraniano, secondo cui lo stato arabo sarebbe la quattordicesima provincia iraniana; la Giordania ha lanciato un'ulteriore azione repressiva nei confronti di Hamas ed Hezbollah. Tutti segni dell'ansia crescente dei governi arabi, non solo per le attività iraniane, ma anche per l'inedita stagione di dialogo che Obama vuole aprire con Teheran.
Il Cairo sta mandando un segnale preciso a Washington: la questione nucleare non è l'unico aspetto – sebbene sia il più urgente – della minaccia iraniana. «La sfida iraniana allo status quo regionale si manifesta in molteplici modi», ha scritto Abdel Monem Said Aly, direttore del Centro di studi strategici "Al Ahram", sul Wall Street Journal. Il braccio di ferro a distanza tra Teheran e Il Cairo si gioca soprattutto sul tavolo di Hamas. L'Egitto cerca di convincere Hamas a riconciliarsi con Fatah e ad accettare di far parte di un governo di unità nazionale palestinese, minacciando l'organizzazione integralista di strangolarla, serrando i confini con la Striscia di Gaza e distruggendo i tunnel sotterranei per il contrabbando. Teheran rende vani i continui tentativi egiziani esercitando a sua volta pressioni su Hamas. Le prove dell'impegno iraniano nel sabotare gli sforzi egiziani per la stabilità regionale sono «inconfutabili», osserva Said Aly. Per esempio, fu l'Iran a istigare Hamas a rifiutarsi di rinnovare la tregua con Israele, causando indirettamente la guerra di Gaza del dicembre scorso. «L'Egitto ha dato e sta dando ai palestinesi più di quanto diate voi. Non li usa come merce di scambio e non partecipa nello spargere il loro sangue. Lavora duro per raggiungere la loro unità», ha rivendicato, sempre ieri, il presidente Mubarak.
L'Iran vede nell'Egitto il suo più grande rivale, forse l'ultimo, nella regione. Sabotare i suoi sforzi per la pace tra palestinesi, e tra palestinesi e israeliani, significa minarne l'autorità ed alimentare quel tipo di risentimenti anti-israeliani e anti-occidentali che avvicinano gli arabi sunniti a Teheran, a quell'ideologia che fa da «collante postmoderno – così l'ha definita Robert Kaplan sull'Atlantic – che tiene unita la grande sfera d'influenza iraniana». Un collante che appare persino più forte della storica divisione tra sciiti e sunniti. Sono milioni infatti gli arabi sunniti che, soprattutto in Egitto, si sentono più vicini ai mullah radicali sciiti che alla loro autocrazia sunnita, detestata perché compromessa con la politica di Usa e Israele. Temendo la penetrazione di tale ideologia, il governo egiziano monitora da tempo i legami di Teheran con Hezbollah, ma anche con movimenti integralisti sunniti come i Fratelli musulmani, particolarmente forti in Egitto, e Hamas.
La soluzione del conflitto israelo-palesinese sarebbe importante per frenare l'espansione dell'influenza iraniana nella regione, ma è altrettanto vero che difficilmente si faranno progressi reali finché l'Iran continuerà a sabotare ogni sforzo, proprio perché si rende conto di quanto sia fondamentale per le sue ambizioni che la tensione rimanga alta. Il presidente Obama «dovrebbe mandare un fermo messaggio a Teheran che l'America sta con l'Egitto dalla parte della pace e della stabilità», conclude Said Aly. «Gli Stati Uniti – suggeriscono gli analisti del Washington Institute for Near East Policy – dovrebbero agire in fretta per fornire un forte appoggio pubblico e una tangibile assistenza all'Egitto e agli altri governi arabi nei loro sforzi per contrastare le ambizioni egemoniche iraniane». Ma ora che ha aperto gli occhi sulla pericolosità degli alleati di Teheran dentro e fuori i suoi confini, Il Cairo dovrebbe decidersi ad annientare Hamas. Potrebbe farlo domani, se lo volesse, sigillando davvero i pochi km di confine con la Striscia di Gaza.
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