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Friday, April 03, 2009

Le regole del gioco sono cambiate anche per la Cina

La proposta "shock" lanciata la settimana scorsa dal presidente della Banca centrale cinese, di sostituire in futuro il dollaro come valuta di riserva internazionale con una moneta unica mondiale gestita dal FMI, rappresenta sì una sfida alla centralità degli Stati Uniti nell'ordine economico internazionale, ma rivela anche la preoccupazione e la fragilità di Pechino, come fa notare Paul Krugman: «Il discorso di Mr. Zhou è in realtà un'ammissione di debolezza. In effetti sta dicendo che la Cina è caduta da sola in una sorta di "trappola del dollaro", e che non può né uscirne da sola, né cambiare le politiche che ce l'hanno fatta finire».

Grazie al loro surplus commerciale, e tenendo il valore dello yuan più o meno fisso rispetto al dollaro, i cinesi hanno potuto accumulare miliardi di dollari in Buoni del Tesoro Usa, titoli tra i più sicuri ma anche poco redditizi. Non c'è stata una strategia dietro, secondo Krugman, ma ora i leader cinesi hanno realizzato di avere un problema. «Circa il 70% dei loro asset sono valutati in dollari, quindi ogni futura caduta del valore del dollaro significherebbe una grossa perdita di capitale per la Cina».

Gli "Special Drawing Rights" (SDR), che i cinesi vorrebbero come moneta unica mondiale di riserva al posto del dollaro, sono legati al valore di un "paniere" di monete reali: dollari, euro, sterline e yen. E nulla impedisce ai cinesi di diversificare le loro riserve in modo simile alla composizione degli SDR, se non il fatto che ora, avendo così tanti dollari, non possono venderli senza far cadere il valore del dollaro determinando le perdite che temono.

I leader cinesi, osserva Krugman, non hanno afferrato che le regole del gioco sono cambiate. «Due anni fa vivevamo in un mondo nel quale la Cina poteva risparmiare molto più di quanto investiva... Quel mondo non c'è più». Lasciando Krugman, che è convinto che la crisi durerà ancora anni perché né cinesi, né americani, né europei, né giapponesi hanno ancora capito i terribili cambiamenti che questa crisi globale ci costringe ad affrontare, torniamo alla Cina.

Le regole sono cambiate non solo per l'America e l'occidente, ma anche per la Cina. Ed è probabile che se la crisi pone una sfida all'egemonia americana e occidentale, alla centralità degli Usa nel sistema finanziario internazionale, getta le basi anche per una sfida all'emergente superpotenza cinese. Non è detto che il suo modello di sviluppo, capitalismo senza libertà e democrazia, che secondo alcuni dovrebbe soppiantare quello americano, uscirà indenne - anzi, vincitore e dominante - dalla crisi.

Le regole del gioco sono cambiate anche per la Cina, scrive Krugman. I suoi leader non vogliono che sia democratica perché non riuscirebbero più a governare un modello di sviluppo capitalistico finora basato sul dumping sociale. Peccato che per riequilibrare il sistema che ha portato la Cina nella "trappola del dollaro" di cui parla Krugman (e che in definitiva ci ha portati in questa crisi), Pechino non potrà più permettersi di giocare solo sull'export e sul dumping sociale, ma dovrà accettare le nuove regole del gioco e fare qualcosa che guarda caso ha cercato fino ad oggi di ritardare.

Qualcosa che il presidente della Banca mondiale Zoellick ha descritto molto bene ai leader cinesi: la Cina dovrebbe attuare riforme per «aumentare le protezioni sociali, i salari, l'efficienza del settore dei servizi», in modo da «accrescere i consumi e le importazioni». In particolare, «dovrebbe promuovere il settore bancario locale per servire in modo migliore le piccole e medie imprese». Lo scarso accesso al credito di cui usufruiscono ad oggi le imprese più piccole, infatti, «ritarda la crescita, limita l'occupazione ed esercita una pressione verso il basso sui salari». In poche parole, la Cina deve espandere la sua domanda interna, adottare politiche che mettano i suoi cittadini nelle condizioni di acquistare più prodotti e servizi occidentali, promuovere la libertà di piccola e media impresa.

Non mi pare una sfida da poco per il Partito comunista di Pechino: si tratta di promuovere la libertà economica, di consumi e di impresa, non più solo a beneficio di una cerchia relativamente stretta di uomini d'affari e di establishment, che rimarrebbero sempre grati al regime.

E c'è già chi dall'interno del regime invita la leadership a non commettere il grave errore di concentrarsi solo sui problemi economici accantonando il dibattito per una maggior democrazia. Si tratta dell'opinione di Yu Keping, alto funzionario del Partito comunista e vicedirettore del Central Compilation and Transition Bureau, importante organo di indirizzo del Pc, pubblicata su China Comment, bisettimanale dell'agenzia ufficiale Xinhua. Yu, riporta Asianews, «non contesta la centralità del Pc, né la necessità di ordine, obbedienza e centralizzazione a favore del potere centrale, ma ritiene necessario "un incremento della democrazia con l'introduzione di alcune riforme radicali"». Siamo solo all'inizio.

1 comment:

adriano said...

Signori e signore, ecco a voi il nuovo Iraq 'liberato'
http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/iraq-129/iraq-129/iraq-129.html

Ogni commento, soprattutto da parte di Tzunami, è superfluo