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Wednesday, April 22, 2009

Le critiche del Dalai Lama e la risposta del regime a Charta 08

In una conferenza stampa tenuta oggi a Tokyo, il Dalai Lama è tornato a criticare la Cina. Sfiduciato dall'assenza di risultati della sua ultradecennale politica della "Via di mezzo", negli ultimi tempi le sue critiche si sono fatte più dure ed esplicite, quasi a voler dimostrare ai tibetani in Tibet di tenere in considerazione la loro crescente frustrazione. Lo stallo nei colloqui con Pechino e l'inasprimento della repressione spingono sempre più tibetani a criticare la moderazione del Dalai Lama e a sostenere una linea d'azione più radicale.

Ma nelle sue più recenti critiche al governo cinese il Dalai Lama sembra anche concentrarsi più sulle violazioni dei diritti umani in tutta la Cina che solo sulla questione tibetana. «Una nazione così grande come la Cina si comporta come un bambino». Il governo arresta «regolarmente» chi è in dissenso verso la sua politica, ma «una grande nazione di oltre un miliardo di persone non deve avere paura» di ogni minimo dissenso, osserva il Dalai Lama. La Cina è «una potenza demografica, militare, ed economica. Ora la quarta condizione perché diventi una superpotenza è l'autorità morale. In questo è carente». E la chiave per guadagnarsi l'autorità morale è la «fiducia». «Una ragione di debolezza del governo cinese – spiega – è che non c'è trasparenza, dà sempre notizie distorte». Quello della trasparenza e della fiducia nelle comunicazioni del governo è in effetti un tasto al quale gli stessi cinesi stanno diventando molto sensibili.

Tra i paesi responsabili del maggior numero di violazioni dei diritti umani che nei giorni scorsi hanno partecipato alla conferenza dell'Onu sul razzismo c'era anche la Cina, che è riuscita ad ottenere l'esclusione dalla conferenza del Tibetan Centre for Human Rights and Democracy (Tchrd), ong ammessa al primo appuntamento di Durban nel 2001. All'agenzia di stampa Asianews il direttore del Centro ha denunciato l'esclusione e raccontato il «sistematico razzismo» praticato dalle autorità cinesi nei confronti dei tibetani.

Eppure, qualcosa sembra muoversi all'interno del regime cinese. All'inizio della settimana scorsa il Consiglio di Stato ha pubblicato il primo "Piano di azione nazionale per i diritti umani", nel quale in perfetto stile comunista vengono "pianificati" gli obiettivi del prossimo biennio nel campo dei diritti civili e sociali. Ne abbiamo parlato qualche post fa.

Al di là della sua attuazione - piuttosto improbabile - è importante l'ammissione implicita da parte del Partito dell'esistenza di diritti umani fondamentali diversi dal diritto del popolo alla mera sussistenza, in nome del quale Pechino ha sempre giustificato i suoi più orrendi crimini. Da sempre infatti Pechino afferma che i diritti umani come concepiti in occidente non siano applicabili alla diversa realtà cinese. Il Piano indica ancora come prioritaria «la protezione dei diritti del popolo alla sussistenza» (mangiare, abitare, vestirsi), ponendosi gli obiettivi di aumentare i redditi, creare 180 milioni di nuovi posti di lavoro, costruire case popolari, ma per la prima volta accanto ad essi compaiono diritti umani di diversa fattispecie. La stessa agenzia di stampa ufficiale Xinhua riferisce che «il governo ha ammesso che la Cina ha davanti una lunga strada nel tentativo di migliorare la situazione dei diritti umani».

Siamo di fronte ad un cambiamento di visione? Di certo una concessione, anche se solo formale, alla quale potranno appellarsi quanti si battono per i diritti umani in Cina e la comunità internazionale. E di certo, come osserva Enzo Reale su Laogai.it, «è significativo che questo programma d'azione arrivi solo pochi mesi dopo la diffusione della Charta 08, ovvero il più importante manifesto politico prodotto dalla società civile cinese nei sessant'anni di dittatura comunista. In un certo senso il Piano rappresenta la goffa risposta del governo cinese alla dichiarazione dei trecento e ne conferma involontariamente la rilevanza politica. I promotori e i firmatari della Charta 08 ottengono in questo modo una doppia vittoria: in primo luogo perché il documento è evidentemente riuscito a bucare le maglie della censura e del silenzio ufficiale, diventando un punto di riferimento anche per i suoi oppositori; ma soprattutto perché obbliga il Partito Comunista a misurarsi sul terreno dei diritti umani».

2 comments:

Jean Lafitte said...

non c'è alcun segnale di "inasprimento di repressione" da parte del governo cinese nei riguardi dei tibetani, perchè non c'è proprio nessuna repressione.
le chiacchiere di tenzin testa di cazzo, tali sono: chiacchiere.
i progressi nel campo dei c.d. "diritti umani" è riconosciuto da tutti gli studiosi di diritto cinese (almeno quelli che mi è capitato di leggere), ed è costante e dura da molto tempo. da noi invece è sempre peggio.
"l'agenzia di stampa" asianews, famosa per i suoi fake, è una buffonata tanto che è stata rinnegata persino dal vaticano. per tutta risposta il sempre lucido padre cervellera(il fondatore dell'agenzia) ha parlato di "lobby cinese in vaticano": da sbellicarsi dalle risate. non è certamente la Cina il primo paese che critica l'ideologia tutta occidentale dei diritti umani, ideologia che, come ha mirabilmente spiegato Michael Ignatieff, che anzi la chiama "idolatria" o "religione laica" non sta in piedi e che comunque non è rispettata neanche dai paesi occidentali che la professano, anzi soprattutto da loro.
il riconoscimento dei c.d. diritti umani in Cina non è comunque recente visto che c'è già nella costituzione che ha già 27 anni.

Jean Lafitte said...

ho dimenticato di dire una cosa.
La Cina è il paese più saggio e civilizzato dell'universo.