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Friday, June 01, 2007

Ritorsione del Governo. Radicali? Non pervenuti

«Non ci crederete, ma i radicali sono al governo. Non la sinistra radicale che ha perlomeno il merito di farsi sovente nominare: dico i radicali del fu Marco Pannella, il leader che può sopravvivere a tutto fuorché a se stesso. I radicali sono rientrati in Parlamento dopo dieci anni, e sono al governo per la prima volta dopo trenta: ma non lo sa nessuno. Pannella ha deciso che affidabilità verso Prodi significhi paresi politica, subalternità a un governo che dei diritti civili se ne sbatte altamente...»

Neanche aveva finito, Filippo Facci, di scrivere queste parole, che stamattina si svolgeva un vertice dell'Unione sul caso Visco-Guardia di Finanza. Presenti, si leggeva nelle cronache, tutti i segretari di partito e, comunque, tutti i partiti rappresentati. E invece no, nessuno ha convocato la segretaria dei Radicali italiani, né qualche altro esponente radicale.

E' andato Boselli, ma per lo Sdi o per la Rosa nel Pugno? Anche se fosse per la Rosa nel Pugno sarebbe grave, perché il soggetto non ha vita democratica e nessuno ha eletto Boselli segretario.

Questi sono i problemi, che tanti radicali avvertono e che Pannella elude nella sua lettera «a, su» e contro Capezzone. Sei mesi di lotta nonviolenta per la moratoria Onu sulla pena di morte. Ok, benissimo, ma fingendo di non far parte della maggioranza e di non essere al governo, appartenenza di cui però gli elettori chiederanno conto. Una condotta subalterna che ha prodotto i risultati di stamattina: neanche convocati al vertice di maggioranza.

Un vertice in cui viene presa una decisione gravissima, ratificata nel pomeriggio dal Consiglio dei Ministri, in cui siede anche Emma Bonino, di cui, però, non c'è traccia. Dopo il clamore suscitato dalle accuse mosse a Visco da un generale della Guardia di Finanza, per aver esercitato pressioni su di lui allo scopo di proteggere Unipol, il viceministro oggi ha rimesso la delega sulla Guardia di Finanza. Ma allo stesso tempo, puntuale è scattata la vera e propria ritorsione del Governo, che ha rimosso dal comando della GdF il suo principale accusatore, il generale Roberto Speciale, spedito alla Corte dei Conti. Al suo posto, il generale Cosimo D'Arrigo.

Sunday, April 15, 2007

Il pantano strategico dei Radicali

La vignetta di Vincino che ritrae a braccetto Boselli e Mussi e la gelosia di Pannella (Il Foglio, 14 aprile)«Oggi la Rosa nel Pugno continua a vivere come gruppo parlamentare, con la sua presenza al governo con il ministro Emma Bonino, con il viceministro Ugo Intini, e altri compagni». La Rosa nel Pugno è stata un cartello elettorale che non è riuscito a divenire partito, perché «le differenze nel modo di fare politica hanno prevalso sulle convergenze». Tuttavia, «non siamo qui per chiudere la Rosa nel Pugno ma per aprire un cantiere più grande. Non c'è contrasto con quello che abbiamo fatto ma continuità». E con i radicali «abbiamo tante battaglie da fare ancora assieme: da quelle sulla laicità e sui diritti civili all'ultima, quella per una moratoria della pena di morte alle Nazioni Unite».

In queste parole, pronunciate da Enrico Boselli aprendo il V Congresso dello Sdi, sta tutto l'attuale pantano strategico in cui si trovano i radicali.

La mia è un'amarezza sincera e ragionata. All'inizio dell'esperienza della Rosa nel Pugno non avrei mai creduto che una vecchia volpe come Pannella si facesse fregare da due come Boselli e Villetti. Né che, una volta evidente quale fosse, dall'inizio, il loro disegno, continuasse a rincorrere, in quel "dramma della gelosia" che il tratto di Vincino ha così ben rappresentato ieri su Il Foglio. Eppure è ciò che è accaduto e mi è tornato in mente qualche vecchio dibattito di Direzione (dell'estate scorsa), in cui avevo cercato di accenare qualcosa dello schema che si andava delineando, in modo che si potessero studiare per tempo delle contromosse.

Entrare in Parlamento era per i radicali l'obiettivo minimo che chiedevano all'esperienza della Rosa nel Pugno. Per lo Sdi era l'unico. L'ennesima bicicletta da riportare in cantina alla domenica sera. Il loro disegno è riuscito in pieno, quello di Pannella è fallito. Oltre al danno, la beffa. Ad oggi la Rosa nel Pugno esiste solo in Parlamento e lo Sdi ne ha il pieno controllo. Il Gruppo è guidato da Villetti, che prende posizione anche per nome e per conto dei radicali, senza che il soggetto politico abbia una vita propria e democratica.

Intanto, lo Sdi ha mani libere di muoversi, progettare costituenti e ricostituenti, vagheggiare un improbabile partito con Mussi e Angius alla sinistra dei Ds, ma molto più prosaicamente accontentandosi - e sarebbe già molto - di una fragile unità socialista da esporre per alzare il prezzo dell'entrata differita nel Partito democratico. Mentre i radicali hanno mani e piedi legati a quel cartello elettorale ormai asfittico con il quale sono stati accettati, seppur malvolentieri, nell'Unione e al ministero che ne hanno ottenuto.

Ma le parole di Boselli non solo rivelano il compimento di quello che fin dall'inizio, da dopo le amministrative della primavera scorsa, era l'assetto cui mirava lo Sdi.

A questo punto Boselli completa l'operazione di normalizzazione dei radicali: le uniche battaglie da fare insieme sono quelle sui diritti civili. Sul resto guai a toccar palla. Uno schema classico, sempre usato dai comunisti negli anni '70, ripreso dal centrosinistra di oggi, per neutralizzare i radicali. Aprono il corral dei diritti civili e i radicali ci si ficcano ben contenti, credendo tramite quelli di entrare in sintonia con il popolo della sinistra e di instaurare un rapporto finalmente costruttivo con i suoi vertici, mentre quelli continuano indisturbati a mettere a sacco lo Stato e a rafforzare il regime partitocratico attraverso lo schema tasse-spesa pubblica.

Dopo di che, arriva un Bertinotti a riconoscere, rispondendo a Paolo Mieli durante la presentazione del suo libro, "La città degli uomini", che dai radicali «abbiamo imparato», «siamo andati avanti a rubargli sempre qualche cosa», la nonviolenza, i diritti civili e, infine, anche il nome: sinistra radicale, appunto.

C'è molto poco di cui essere soddisfatti per i radicali. Si tratta, infatti, di un'appropriazione puramente nominalistica, non di una vittoria culturale. La nonviolenza bertinottiana è semplicemente, sul piano degli strumenti di lotta del suo partito, rifiuto della violenza nelle manifestazioni, e su quello della politica estera, nient'altro che ambiguo pacifismo. Non c'è alcuna cultura liberale del rispetto della legalità e dello stato di diritto. L'aggettivo "radicale" accostato alla sinistra bertinottiana e neocomunista è ritornato ad essere sinonimo di estremo, se non estremista. Un fenomeno mediatico non so fino a che punto pianificato, quanto piuttosto sintomo dell'irrilevanza e dello svuotamento di significato del radicalismo liberale.