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Sunday, March 12, 2006

La scelta fra due statalismi. La storia nuova possibile

Se per Luca Ricolfi quella del 9 aprile è una scelta fra «due sinistre», sabato su il Riformista, in soccorso del termine "sinistra", corre il senatore (ex) Franco Debenedetti, dicendo che no, lo scontro non è fra due sinistre, ma fra «due statalismi». Quello di Ricolfi, osserva acutamente, è «un sottile gioco semantico, lo scambio tra "sinistra" e "statalismo"... In tal modo si spoglia la parola "sinistra" della sua valenza simbolica, e la sua riduce alla concretezza di una prassi, che la sinistra o ha seguito o è stata tentata di seguire». La premessa cioè è escludere la possibilità di una sinistra liberale e non statalista. Allora, dice Debenedetti, chiamiamo le cose col loro nome. Denunciamo questa sinistra statalista, ma il termine "sinistra" non è sinonimo di statalismo.
«E' statalismo quello di Berlusconi che salva Alitalia dal fallimento, che concede generosi aumenti agli statali, che fa passare per privatizzazioni le cartolarizzazioni degli affitti delle sedi dei ministeri, che perde l'occasione di usare il Tfr per promuovere una previdenza integrativa basata su scelte individuali, che snatura il progetto di riduzione delle aliquote marginali incominciando dalle più alte, in interventi sostanzialmente redistributivi».
Gli statalismi di destra e di sinistra sono ovviamente diversi: quello della Casa delle Libertà «è la conseguenza del cedimento alle pressioni degli alleati di FI; quello dell'Unione è intrinseco al progetto. Uno è stato sperimentato nella passata legislatura, l'altro è proposto per la prossima. Statalismi diversi: populista quello di Berlusconi, sociale quello di Prodi. Ma entrambi hanno cura di mascherarlo». I nodi vengono al pettine quando di trattano i temi della precarietà del lavoro, delle privatizzazioni, del declino.

Che fare dello statalismo che c'è a sinistra? Biagio De Giovanni si chiede se la lista unica fra Margherita e Ds, «l'abbozzo» di partito democratico, sia un qualcosa cui aggiungere giusto «un'appendice», o ci sia la possibilità di riaprire il discorso con la cultura liberalsocialista.

Nella prima ipotesi lo statalismo continuerà a essere la cifra della sinistra, «mera alleanza di poteri corporati (intreccio perverso di poteri extrapolitici, economici, mediatici, di gestione, di perversa personalizzazione) che stanno diventando il vero cancro» del paese.
«L'assemblaggio di ciò che è non conduce da nessuna parte, se non a un gigantesco compromesso dove si può soltanto esaltare la potenza organizzata di blocchi di potere nelle cui maglie scompaiono i problemi dell'individuo moderno, che si ritrova sempre più solo, sempre più incapace di trovare un rapporto con la vita comune e le istituzioni della democrazia, con l'esercizio dei propri diritti e dei propri doveri».
Oggi tutti si dicono "riformisti", la parola "riformismo" rischia di essere solo un «alibi». Le «parole che scottano (liberalismo, socialismo e altro ancora) non per caso non vengono pronunciate». Ma «la storia nuova non nasce così», avverte De Giovanni.

1 comment:

Unknown said...

C'e' da ritenersi fortunati, in un certo senso: ricordo quando tutti si dicevano liberali, col risultato di screditare il termine ed espellere dalla scena politica i veri liberali, colpevoli diaver avuto , al solito, raiogne per mezzo secolo.