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Monday, March 21, 2011

Se siamo costretti a inseguire la colpa è solo nostra

La spiacevole sensazione di trovarci trascinati obtorto collo in un conflitto che la nostra diplomazia aveva scommesso non ci sarebbe stato, e che avremmo volentieri evitato, è comprensibile, ma della nostra condizione dobbiamo incolpare solo noi stessi. Se oggi, come si legge sul Corriere della Sera, il premier si trova «nell'indesiderata e paradossale posizione di dover sperare nel successo pieno, sino alla destituzione di Gheddafi, di un'operazione che vive anche nel ruolo di vittima», è comodo ma miope prendersela con il cinico Sarkozy. Piuttosto, Berlusconi se la prenda con le "distrazioni" giudiziarie di cui è suo malgrado oggetto e con una Farnesina poco reattiva e malamente informata. Ricordiamo bene i giorni delle rivolte in Tunisia e in Egitto, quando i nostri servizi segreti, quelli che avrebbero dovuto saperne di più al mondo sulla situazione in Libia, assicuravano che il regime del Colonnello era saldo. Se non capiamo questo in fretta, sbaglieremo anche le prossime mosse. Come osserva Panebianco sul Corriere della Sera, stiamo facendo «la cosa giusta, l'unica possibile», partecipando con tutti i nostri mezzi a questa azione internazionale. Non potevamo tirarci indietro. Il classico "buon viso a cattivo gioco", insomma, con la differenza che il cattivo gioco se l'è autoinflitto l'Italia da sola, non comprendendo per tempo ciò che stava accadendo e che inevitabilmente sarebbe accaduto. Consapevoli di non avere la forza di impedire agli altri di "giocare" nel cortile davanti casa nostra, sarebbe stato più intelligente uscire di casa col pallone sotto braccio e organizzare noi per primi la partita.

Era del tutto evidente, infatti, fin dai primissimi giorni della rivolta in Libia e anche ad umilissimi blogger come il sottoscritto, che Gheddafi non sarebbe rimasto al potere se non ad un prezzo inaccettabile di vite umane, rendendo quindi impossibile un ritorno al "business as usual" e probabilmente inevitabile un intervento militare per cacciarlo, soprattutto dopo le impegnative parole di Obama e di Sarkozy. Insomma, il nostro comodo e privilegiato "posto al sole" in Libia era comunque perduto, tanto valeva prepararsi il prima possibile a rioccuparlo nella nuova Libia. Avremmo dovuto giocare d'anticipo e porci noi, dall'inizio, alla testa dei Paesi interventisti, invece abbiamo tentennato e ora ci troviamo costretti ad inseguire, ma sempre titubanti, il protagonismo altrui. Capisco che è un boccone amarissimo, ma dobbiamo mandarlo giù in fretta. L'esclusione della Nato è anch'essa un altro piccolo grande successo di Sarkozy, permesso dalla debolezza americana e italiana. Si potrebbe iniziare da qui per arginare il protagonismo francese.

Non sorprende che la Lega, per sua natura non pacifista ma isolazionista, sia refrattaria all'intervento. Sorprende che lo siano i principali giornali di centrodestra, con l'eccezione del Tempo di Mario Sechi, che in tempi non sospetti aveva colto tutti gli aspetti di ciò che stava montando. Questa guerra porterà solo altri immigrati sulle nostre coste e ci toglierà il petrolio e il gas libici, come temono i leghisti ed ampi settori del Pdl? Avrei capito le perplessità nei confronti del nostro intervento se ci fosse stato davvero uno status quo da difendere, ma al contrario ciò che ci ha fatto rimanere indietro rispetto ai nostri alleati è esattamente non aver compreso che tutto ciò che ci interessa in Libia - le nostre "piattaforme" energetiche e commerciali, il contenimento dell'immigrazione clandestina e dell'estremismo islamico, non avere alle nostre porte uno Stato fallito - per noi era già perduto in partenza, con l'innescarsi della crisi, e questa guerra, semmai, ci offre l'occasione di tentare di riprenderci in futuro ciò che altrimenti non avremmo avuto più. In ogni caso. Perché se Gheddafi fosse rimasto al potere, certo non sarebbe stato possibile tornare al "business as usual" e il raìs, ce lo ha brutalmente chiarito lui stesso alcuni giorni fa, ci avrebbe fatto pagare salatissimo il nostro mancato appoggio, avremmo dovuto ritrattare tutto; se invece la nuova Libia nascesse con un aiuto esterno ma senza il contributo italiano, perderemmo ogni possibilità d'influenza. Dunque, per uscire dal vicolo cieco occorreva fare esattamente ciò che sta facendo Sarkozy, solo prima che lo facesse lui. Adesso è tardi, non possiamo far altro che accodarci e riguadagnare pazientemente le posizioni perdute. Siamo in grado di farlo, perché trattiamo con i libici da quarant'anni e non abbiamo l'arroganza dei francesi.

In questi ultimi due decenni abbiamo preso parte a costose missioni estere in cui il nostro interesse a partecipare era solo indiretto: contribuire alla lotta contro il terrorismo islamico e accrescere il nostro status sulla scena internazionale. Paradossalmente è proprio nella crisi libica che non abbiamo saputo cogliere l'occasione più unica che rara di un intervento nelle cui ragioni confluivano la nobile causa della difesa delle popolazioni civili da una brutale dittatura, l'interesse strategico ad accrescere il nostro status guidando una coalizione internazionale nel Mediterraneo (almeno formalmente sarebbe stato possibile vista la refrattarietà degli Usa di Obama) e - per una volta - la tutela di interessi concretissimi (energetici e commerciali) nell'unico Paese che si trova, se così possiamo definirla, nella nostra "sfera d'influenza". Sarkozy invece - con l'arroganza tipica dei francesi e un pizzico di avventurismo (la scommessa su una campagna breve, dal minimo sforzo e trionfale è comunque un azzardo) - ha colto al volo l'occasione di riempire questo vuoto lasciato dalle incertezze di Washington e dall'imbarazzo italiano. Per la Francia l'occasione di sostituirsi a noi come primo partner energetico e commerciale della nuova Libia e di lanciarsi così alla conquista del nostro "spazio naturale": il Mediterraneo. Per Sarkozy, accusato in patria di aver subito in modo troppo passivo le crisi in Tunisia ed Egitto, anche una ghiottissima occasione per riaffermare la "grandeur" francese e risollevare così le sue sorti personali. Per gli Stati Uniti non solo la difesa della propria influenza in Medio Oriente, e l'interesse strategico a sintonizzarsi con le masse arabe che si sono rivoltate contro i loro oppressori imprimendo alla storia della regione un nuovo corso, ma anche un modo per penetrare in Africa (dopo il tragico fallimento in Somalia) e contrastare le ambizioni imperialiste della Cina (come abbiamo visto presente in forze nella Libia di Gheddafi).

E' «la guerra di Sarkozy», come osserva Lucio Caracciolo su la Repubblica, o non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze ed è «tutta americana», come sostiene Lucia Annunziata su La Stampa? In effetti, quello francese potrebbe rivelarsi un colpo di coda della "grandeur" perduta, mentre dietro l'intervento "umanitario" per gli Stati Uniti si concretizza la possibilità di segnare un punto a favore nella serrata competizione che li vede in svantaggio rispetto alla Cina per l'influenza in Africa.

L'azione in corso presenta non pochi rischi, è vero. L'obiettivo dichiarato è far cadere Gheddafi. Questo nella risoluzione dell'Onu che autorizza gli attacchi non c'è scritto, ma tutti lo sanno. Ebbene, uno dei rischi di quest'azione, poiché tardiva e priva fino ad ora di una leadership forte, è che salvi gli insorti dalla controffensiva del raìs, ma che non riesca a rianimare le loro capacità militari e quindi a provocare in tempi ragionevoli la caduta del dittatore. All'inizio c'è stato un momento, durante l'avanzata dei ribelli, durato circa una settimana, in cui sembrava che una no-fly zone, alcuni bombardamenti mirati, potessero assestare l'ultima spallata a Gheddafi. Oggi è tutto molto più problematico, perché i raid sono iniziati quando al Colonnello mancava solo Bengasi per riprendersi il controllo del Paese intero. Il rischio quindi è una situazione di stallo: la Cirenaica in mano ai ribelli, la Tripolitania a Gheddafi e il Fezzan senza governo. Purtroppo sull'efficacia dell'intervento pesa anche l'irresolutezza e la mancanza di leadership degli Stati Uniti. Molti vi hanno visto l'intenzione di lasciare per una volta all'Europa la guida politica di una crisi alle porte del vecchio continente. Purtroppo, bisogna riconoscere che le oscillazioni della Casa Bianca sono dipese solo dalle incertezze di Obama, a loro volta dovute in parte all'inesperienza ma soprattutto alla totale mancanza di visione politica del presidente Usa.

Non si capisce, poi, se Obama si nasconda spudoratamente o sia un totale idiota, quando sottolinea che l'intervento punta a «proteggere civili» e non a «rovesciare un regime» (se così fosse, sarebbe un irresponsabile), e che gli Usa «partecipano» a una coalizione «che non guidano» (non credo gli americani siano contenti di sapere che le loro forze armate sono sotto il comando di Sarkozy). Per altro, anche la «solida legittimazione internazionale» fornita dalla risoluzione dell'Onu mostra le prime crepe, con le prese di distanza di Russia e Lega araba, mettendo a nudo un lavoro diplomatico non proprio perfetto come si vorrebbe far credere.

3 comments:

Anonymous said...

... in egitto hanno vinto i fratelli mussulmani e non è un buon auspicio per il futuro ... secondo la mia opinione, la tua certezza su cosa si debba fare è assolutamente infondata.

Panka

JimMomo said...

La mia certezza è esserci e non fuggire. Se non ci sei, il peggio è diventa una certezza, non un rischio.

Anonymous said...

esserci dove .. in un iraq alle porte di casa?

panka