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Thursday, September 08, 2011

Un Paese in-credibile

Stamattina nella trasmissione di Giannino su Radio24 ci si chiedeva se una "soluzione spagnola", cioè dimissioni del governo ed elezioni anticipate a novembre, non fosse aupicabile anche per l'Italia. In Spagna le dimissioni di Zapatero e il voto fissato a breve hanno accelerato l'approvazione delle riforme costituzionali e in una certa misura calmierato i mercati, che stanno concedendo una tregua a Madrid. Oscar Giannino ritiene che una simile soluzione possa produrre gli stessi benefici anche nel nostro Paese. A me pare, invece, che a prescindere dal giudizio su Berlusconi e sulle manovre, il paragone con la situazione politica spagnola non regga. Si può auspicare o meno che Berlusconi faccia un passo indietro, chiaro, ma difficilmente gli esiti sarebbero gli stessi dei cugini iberici.

In Spagna il sistema politico è molto più lineare e questo di per sé trasmette ottimismo (relativamente parlando, s'intende) ai mercati: dopo Zapatero la prospettiva più probabile è quella di un governo monocolore dei popolari di Rajoy. Da noi invece si tratterebbe di sicuro di un governo di coalizione, e l'opposizione è attualmente divisa, sulla leadership ma prima di tutto programmaticamente. E i principali partiti - Pd, Idv e Sel - erano in piazza con la Cgil, la forza sociale più conservativa e antimercato del Paese. I mercati si sentirebbero tranquillizzati da questa prospettiva come si sono sentiti in parte per le dimissioni di Zapatero? C'è quanto meno da dubitarne.

L'amara realtà è che Berlusconi è sì debolissimo oggi, il consenso in calo drammatico, incalzato dalle inchieste giudiziarie e dalle autorità di controllo e di garanzia (Quirinale, Bce, Banca d'Italia), ma anche che fa comodo un po' a tutti che sia lui in questo momento a metterci la faccia. Anche perché è vero, come quasi tutti predicano, che si potrebbero assumere decisioni di governo più lungimiranti e strutturali, ma sarebbero comunque altamente impopolari. Una vera riforma delle pensioni scontenterebbe cinquanta e sessantenni, e se non difesa con gli argomenti giusti anche le fasce d'età più giovani, e vere liberalizzazioni avrebbero contro tutte le corporazioni del Paese. Per non parlare della patrimoniale, che per essere efficace non potrà certo essere riservata ai "ricchissimi".

Non scordiamoci che votare entro la fine dell'anno significherebbe per il Pd dover assumere la guida del nuovo governo e dunque il fardello di altre misure impopolari, forse più di quelle assunte fino ad oggi, quando nel 2013 potrebbe trovarsi a vincere le elezioni a pareggio di bilancio centrato ma coi sacrifici tutti imputabili al centrodestra.

Anche l'ipotesi di un governo tecnico che duri almeno fino alla prossima primavera è difficilmente percorribile, perché escludendo Lega e Idv, che si tirerebbero fuori per lucrare consenso elettorale, dovrebbero essere Pdl e Pd ad accordarsi per garantirgli la maggioranza. Il che per entrambi i partiti significherebbe assumersi la responsabilità di scelte forse più utili al Paese di quelle attuali ma comunque impopolari. Impopolarità che il Pdl sta già pagando sulla sua pelle, quindi non ha nessun interesse nel continuare a pagarla però perdendo Palazzo Chigi; e che il Pd non ha interesse a condividere, rischiando di compromettere il vantaggio acquisito sugli avversari. L'impressione, dunque, è che l'agonia berlusconiana possa durare almeno finché le acque non si saranno calmate, se si calmeranno.

Insomma, la "soluzione spagnola" potrebbe funzionare anche in Italia se il problema di credibilità fosse limitato al governo. Invece soffriamo di un deficit di credibilità che non solo va oltre il governo in carica, travalica persino il mondo politico, riguarda l'intero sistema Paese. Basta guardare i presidenti di regione e i sindaci in rivolta per i tagli; i sindacati in piazza; il primo quotidiano italiano, espressione dell'alta borghesia, che si fa ricattare dalla Camusso; le corporazioni capaci di bloccare qualsiasi virgola; gli stessi cittadini che votano per l'«acqua pubblica», cioè in mano ai partiti.

Ecco, a me pare che un governo di centrodestra che non riesce a fare riforme di centrodestra (meno Stato, quindi meno tasse, e più mercato) sia doppiamente non-credibile, e doppiamente deprimente, agli occhi dei mercati. I quali disperano pure che quelle riforme possa farle un governo di sinistra come quello che si prospetta.

Non bastano più manovre "contabili". Oggi finalmente il Cdm ha varato una riforma strutturale (l'abolizione delle province) e una di principio (il vincolo costituzionale al pareggio di bilancio). Ora dipenderà dal Parlamento approvarle in tempi rapidi visto che tutti a parole si dichiarano favorevoli. Ma la natura stessa dei provvedimenti inseriti nelle due manovre dimostra che il governo non ha afferrato le tre lezioni fondamentali della crisi, di cui parla oggi Alesina sul Corriere: «Primo: aggiustamenti dal lato della spesa strutturale (cioè non tagli una tantum) sono gli unici che consentono una stabilizzazione e riduzioni durature del rapporto tra debito e Pil. Aumenti di imposte, invece, non fanno che rincorrere la spesa con i suoi incrementi automatici. Secondo: gli effetti recessivi di tagli alla spesa sono inferiori a quelli di aumenti di imposte. Terzo: le conseguenze negative sull'economia di riduzioni di spesa si possono contenere o persino evitare quasi del tutto con politiche strutturali di stimolo», come le liberalizzazioni.

Come filosofia di fondo le due manovre approvate vanno nella direzione esattamente opposta: più aumenti di entrate che tagli; nessuna vera riforma strutturale su voci di spesa come pensioni e sanità; privatizzazioni non pervenute; quasi impercettibili le riforme a costo zero per la crescita. E il guaio è che anche la stragrande maggioranza dell'opposizione - politica e sociale - alle manovre del governo è di segno opposto a quelle tre lezioni: no ai tagli (a rischio i servizi!); no all'articolo 8; sì alla patrimoniale; fare i vaghi sulle liberalizzazioni.

Trovo purtroppo altamente probabile la previsione di Alesina: chiunque sarà al governo (destra, sinistra o "tecnici") il prossimo passo sarà una patrimoniale, ma nel frattempo la spesa «continuerà a viaggiare sempre più verso la metà del Pil», la crescita si avvicinerà allo zero piuttosto che all'1%, e fra 4 o 5 anni, se va bene, «saremo da capo»: debito ben oltre il 100% del Pil, quindi un altro «contributo di solidarietà», un rinnovato impegno di «lotta all'evasione», un aumento di Iva o magari, perché no, una seconda patrimoniale. «E il ciclo ricomincia».

4 comments:

Cachorro Quente said...

a) non so perchè ma penso che se Berlusconi si ritirasse a vita privata in un eremo in Sardegna e cedesse tutte le sue sostanze in beneficienza i mercati un pallido sorriso almeno ce lo regalerebbero.

b) che il nostro "sistema Paese" sia tanto peggio di quello spagnolo (l'ex paese più povero d'Europa o quasi, uscito tipo l'altro ieri dalla dittatura) non è un pensiero rassicurante. Se questo fosse vero, considerato che anche in Spagna ci sono sindacati battaglieri, sinistra radicale e politici locali con la possibilità di ricattare il governo, direi che il grosso vantaggio loro su di noi è non aver avuto Berlusconi tra le palle per 17 anni. E con questo torno al punto a).

Anonymous said...

Estimado cachorro quente,
che il sistema politico spagnolo sia in condizioni assai migliori del nostro lo dicono alcuni dati: i) soltanto tre partiti di dimensione nazionale e scarso peso nazionale dei partiti regional-nazionalisti; ii) sistema regionale molto meno sprecone di quello italiano: i bilanci delle regioni spagnole sono contenuti (meno della metà di quelli delle nostre Regioni, tenuto conto della popolazione); iii) classe politica meno ladrona e sprecona (indennità parlamentare intorno ai € 6000, cioé un terzo o meno di quella italiana; e i politici delle comunità autonome guadagnano molto meno); iv) peso modesto delle imprese in mano pubblica, dovuto alle privatizzazioni attuate negli anni '70 (dall'élite che succedette a Franco); v) burocrazia pubblica molto più moderna e competente di quella italiana (anche questa una riforma attuata negli anni '70/80). Infine, la Spagna ha un sistema di protezione dei disoccupati moderno, sullo schema francese o britannico, e non il sistema paternalistico dell'Italia (che spreca migliaia di miliardi in favore di falsi braccianti e riserva il resto all'industria attraverso la cassa integrazione). Per questo, anche se attualmente la Spagna ha più disoccupati di noi (20% circa), ma anche un livello di debito/PIL inferiore al nostro, appare probabile che riuscirà a riassorbire la crisi molto prima dell'Italia.
Cordialmente
Marcantonio

Cachorro Quente said...

"soltanto tre partiti di dimensione nazionale e scarso peso nazionale dei partiti regional-nazionalisti"

Su questo ho qualche dubbio: o meglio, è sicuramente vero, ma il problema sono gli atteggiamenti regionalisti dei politici locali dei partiti nazionali (vedi il partito socialista catalano).

A parte questo, mica ho nulla contro la Spagna. Il mio pensiero è che se ciò che dici è vero, visto che la Spagna non ha quelle mistiche e intangibili "qualità civiche" che attribuiamo al Nord Europa ma è storicamente un nostro cugino povero, sarebbe bastato poco per l'Italia essere un paese molto migliore (riforme come quelle spagnole del post-Franco?). Per questo dico che non è un pensiero che rallegra.
Effettivamente ciò che ho detto sul Berlusconi che ci differenzia dalla Spagna è un esagerazione (mentre plausibilmente ci differenzia la classe politica degli anni '80; Craxi e Forlani ci hanno fottuto più di Silvio, credo). Però...

Collateralmente, ma questa forse è una sterile polemica antiberlusconiana da parte mia, mi diverte sentire dire che la Spagna ha un "sistema paese" migliore quando durante lo scoppio della bolla migliore non si risparmiavano ironie sul precedente boom spagnolo in rapporto alla più saggia Italia.

Anonymous said...

beh, dire che siccome il governo non ha la stima di nessuno fuori dai patri confini, allora non ce l'ha manco il resto del paese, è una forzatura poco accettabile.

ed anche dire che "finalmente" il cdm ha messo in manovra l'abolizione delle province ed il vincolo in costituzione del pareggio in bilancio, è una bautade discreta.

il nostro principale problema è legato all'inettitudine ed agli interessi del nostro presidente del consiglio.
prima se ne va e prima potremmo provare a fare qualcosa per tirare fuori il paese da questa melma.

giuseppe