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Monday, September 04, 2006

Raggiungere quota 65. Subito!

Il ministro Padoa Schioppa con Romano ProdiCose che non mi sono perso/2

Lotta dura agli sprechi e ai privilegi

La polemica. Non ci siamo persi, naturalmente, l'aspra polemica tra il ministro dell'Economia Padoa Schioppa e Giavazzi, che in due editoriali, il 19 e il 23 agosto, accusava il governo, e in particolare il ministro dell'Economia, di essere reticente, incerto e troppo poco coraggioso «sul contenuto delle grandi riforme auspicate nel Dpef». «Per evitare che il rallentamento dell'economia americana e un dollaro più debole fermino anche noi c'è una sola via», scriveva Giavazzi: «Aiutare la domanda interna, e soprattutto gli investimenti, tagliando le tasse... Per ridurre le tasse senza far crescere il debito occorre evidentemente tagliare le spese... il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, non aiuta quando, come in un recente dibattito con il presidente di Confindustria, ripete "non voglio sentir parlare di tagli!"»

Ciò che manca a questo governo è la determinazione a tagliare la spesa, anche se un giorno sì e l'altro pure ricorda a noi - che lo sappiamo benissimo - l'esigenza di farlo. All'indomani delle elezioni avevamo individuato in Padoa Schioppa l'unico barlume di serietà e responsabilità che poteva indurre a votare la fiducia a questo governo. Trascorsi cento giorni dobbiamo constatare che finora proprio Padoa Schioppa, il cui compito era quello di dimostrarsi ministro decisionista e intransigente, ci ha delusi, come quel campione capace di infiammare i tifosi durante il calciomercato ma che dopo le prime partite è ancora a secco di gol. Il ministro è debole e incerto, politicamente nullo. Si contraddice, spesso nello stesso intervento pubblico.

«Un'analisi condivisibile», definì un rapporto della Corte dei Conti che individuava nella spesa corrente delle pubbliche amministrazioni e in particolare negli stipendi dei dipendenti pubblici la parte più consistente del problema. Come poteva, poco dopo, dire "Niente tagli"?

«Bisogna fermare questa dinamica di spesa. Intervenire è possibile, esistono margini tecnici. Magari non ci sono margini politici». Bella dichiarazione d'impotenza e subalternità.

Anche sulle pensioni, la coppia Prodi-Schioppa insiste sulla necessità di proseguire nelle riforme, ma il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, vorrebbe invece ridurre a 58 anni l'età minima di pensionamento.

Ha ragione da vendere Giavazzi, quando lamenta che a meno di un mese dalla presentazione della Legge finanziaria «sul contenuto delle grandi riforme auspicate nel Dpef ancor nulla si sa». E chiede: «E' lecito esprimere perplessità e auspicare una iniziativa politica più risoluta ed incisiva? E' lecito esprimere il dubbio che il ministro dell'Economia non abbia un programma forte e che i tempi lunghi che egli auspica non siano compatibili con l'urgenza che egli stesso ha dichiarato? E' lecito pensare che, oltre alle riforme strutturali, vi siano nel bilancio dello Stato spese inutili, non giustificate e sprechi consolidati da anni sui quali bisogna intervenire?»

Il pubblico impiego. Siamo dell'idea che per ridurre la spesa occorra partire dai dipendenti pubblici. Dunque, non tagli ai servizi e agli investimenti pubblici - per ora - ma razionalizzazione della burocrazia. Crediamo, insomma, che Pietro Ichino abbia individuato l'obiettivo: smaltire i fannulloni. Dai sondaggi d'opinione pare che gli italiani siano in ampia maggioranza d'accordo.

Tuttavia, mi sembra che Ichino attribuisca un carattere emergenziale alla sua proposta. Sbagliato. Parla di commissioni indipendenti per individuare i nullafacenti. Per quanto mi riguarda, invece, parlerei di libertà di licenziamento, da introdurre innanzitutto nel pubblico impiego. E' un principio basilare di moralità politica a suggerircelo: laddove è il denaro della comunità a essere speso, e le tasse anche dei ceti meno abbienti, gli sprechi devono essere minimizzati. Dunque, i dipendenti pubblici devono rispondere ai massimi criteri di efficienza.

Questo significa che occorre trasformare completamente l'organizzazione della pubblica amministrazione. La catena di responsabilità dal più alto all'ultimo dei dirigenti dev'essere ben definita. Ciascuno responsabile dell'efficienza del suo settore e ciascuno libero di licenziare e passibile di essere licenziato.

Tasse. Occorre però sapere che il vero colpo alla spesa pubblica lo darebbe un'altra riforma, che - bisogna dargliene atto - Pannella con le sue proposte referendarie propone da decenni: l'abolizione del sostituto d'imposta. Far cessare la discriminazione tuttora vigente tra il contribuente-lavoratore autonomo e il contribuente-lavoratore dipendente. La riforma avrebbe un duplice effetto. Da una parte quello di «affamare la bestia», cioè lo Stato si vedrebbe costretto a ridurre le spese non potendo più fare automatico affidamento su una somma certa di entrate nelle sue casse; dall'altra, anche i lavoratori dipendenti avrebbero la netta percezione, nelle loro tasche, di quanto lo Stato e i servizi che offre costano, rendendoli più consapevoli della necessità di ridurre la spesa e riformare le pensioni.

Pensioni e conflitto generazionale. La crisi del sistema pensionistico è emblematica del carattere generazionale della questione sociale che oggi attraversa il nostro paese: la mancanza di ricambio e del merito nelle università, nel lavoro, nelle professioni, nella politica. La responsabilità politica – ed è il caso di dirlo, morale – della nostra vecchia classe dirigente è delle più gravi. Non ha assolto uno dei principali compiti della leadership di un paese: immaginare, programmare, non ipotecare il futuro dei suoi figli. Invece, attingendo a piene mani alla spesa pubblica, ha garantito per sé un tenore di vita al di sopra delle possibilità reali, scaricando sulle spalle delle generazioni future l'onere dei debiti contratti.

Lotta dura alle rendite, dunque. Sì, perché oggi percepire una pensione a sessant'anni è una rendita. I 4,9 milioni di pensionati tra i 40 e i 64 anni, sugli oltre 16 milioni totali, sono a tutti gli effetti dei titolari di rendite. Subito abolizione della pensione d'anzianità (con l'eccezione dei lavori usuranti) ed età minima a 65 anni.

Mesi fa, Tito Boeri affrontava su La Stampa il tema del «conflitto intergenerazionale», lanciando un allarme: «La posizione relativa dei giovani nella distribuzione dei redditi in Italia sta peggiorando».
«La povertà tra chi è senza lavoro parla sempre più giovane ed è nelle classi di età più basse che è concentrato il fenomeno dei working poor. Hanno oggi una volatilità dei loro redditi fino a 5 o 6 volte superiore a quella delle generazioni che li hanno preceduti quando avevano la loro età. Non pochi dei giovani lavoratori di oggi potranno, dopo aver lavorato 40 anni, ricevere pensioni di poco più di 400 euro al mese, al di sotto della linea della povertà assoluta».
Questo perché «il nostro sistema è notoriamente squilibrato a favore di chi oggi riceve una pensione (due terzi della spesa sociale sono destinati a questa funzione), magari a 57 anni e con l'aspettativa di vivere per altri 25-30 anni».

Tremonti. Per inciso, diciamo che il centrodestra non promette di meglio. L'involuzione, anche in politica economica, è sempre più marcata. In campagna elettorale l'unica proposta di politica sociale, da entrambe le parti, è stata quella di aumentare le pensioni. Oggi, la critica all'operato del governo è affidata all'anti-mercatista Tremonti, che invece di sfidare il governo sul campo del coraggio riformatore fa terrorismo sulle pensioni. Insomma, ci si insegue nel cercare di conquistare il partito dei pensionati.

Enabling State. Gli obiettivi di crescita economica, mobilità sociale, e servizi di qualità, richiedono l'approccio liberale e blairiano dell'Enabling State. Lo Stato che abilita, accresce le facoltà e le opportunità degli individui secondo l'inscindibile binomio libertà/responsabilità e rende i cittadini capaci di scegliere e decidere in proprio, senza padrini né tutori. «Possiamo creare delle opportunità, ma non possiamo gestire le vite o gli affari delle persone», dice Tony Blair.

E' necessario e salutare dunque lo scontro con le corporazioni e con i sindacati più conservatori, lo scontro tra una sinistra liberale e l'«ultrasinistra» corporativa, che su il Riformista, mesi fa, Biagio De Giovanni non ha esitato a definire «reazionaria». E' necessario che si formi in Parlamento, nella maggioranza, un gruppo numericamente consistente di parlamentari disposti a far cadere il governo se entro la fine dell'anno non saranno centrati i più importanti obiettivi di riforma.

Un'intera generazione non può più aspettare. Se non verranno per tempo introdotte le riforme e le liberalizzazioni necessarie, in grado di valorizzare il talento individuale, la generazione fra i 30 e i 40 anni d'età rischia di sparire in un enorme buco nero.

3 comments:

Anonymous said...

Ma la politica nostrana è ridotta da almeno trentacinque anni alla sola "cinica ricerca del consenso per conquistare e conservare il potere".
Ci sono solo avventurieri, cialtroni e conservatori. Ed a ben guardare meglio questa gentaglia rispetto agli estremisti ed ai fondamentalisti ideologici di tutti i tipi.

Che cosa si può sperare ed attendere da una classe politica di tal fatta figlia e specchio di un Paese in cui la libertà individuale è assolutamente priva di responsabilità individuale?

Anonymous said...

Erano 35. Poi sono diventati 30, oggi 27. Sono i giapponesi radicali che restano con Prodi...

Anonymous said...

Ma ciò che hai scritto... con quali forze politiche credi che si potrebbe mettere in pratica se l'analisi del paese reale è quella di uno specchio fedelissimo della sua classe politica?
Ma non l'hai capito ancora che questo paesecadavere già puzza da lontano e che tutto il mondo economico internazionale se ne è già reso conto da anni?
Ormai è solo questione di capire se il giorno del crollo della Borsa prossdimo venturo sarà di mercoledì o di venerdì! O se la nostra crisi argentina capiterà di lunedì, quando i soliti ben informati avranno fatto in tempo a mettersene al riparo.