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Tuesday, November 10, 2009

Obama come un disco rotto con l'Iran

Come un disco rotto la Casa Bianca continua a chiedere a Teheran una risposta in tempi brevi (nel frattempo sono passate quasi due settimane) alla bozza di accordo preparata dall'Aiea per l'arricchimento dell'uranio iraniano all'estero. L'aspetto surreale, e un po' patetico, della vicenda è che una risposta, anche se negativa, gli iraniani l'hanno già data, a tutti i livelli, ma da quest'altra parte fanno finta di non aver sentito/capito. Può non piacere, ma la risposta è un "no". Più precisamente, l'Iran offre controproposte che nella sostanza rifiutano di concedere ciò che l'Occidente sperava di ottenere con la proposta dell'arricchimento all'estero: privare Teheran della quantità di uranio a basso arricchimento necessaria per, se ulteriormente arricchito, fabbricare una bomba atomica. Si trattava di prendersi un anno di tempo per cercare, poi, un accordo complessivo. Questo retroscena del New York Times descrive piuttosto lo stato di negazione che impedisce all'amministrazione Obama di prendere la risposta iraniana per quella che è.

Il "no" iraniano ha sorpreso anche me. L'accordo non mi sembrava molto sconveniente per Teheran, visto che in un anno si sarebbero visti riconsegnare uranio arricchito gratis al 19,75%, che fa sempre comodo, potendo tranquillamente riprodurre le stesse quantità spedite all'estero per tornare al livello di scorte pre-accordo e per di più scongiurando ulteriori sanzioni. Evidentemente, ci devono essere ragioni di opportunità politica interne al regime che suggeriscono a Khamenei e Ahmadinejad di declinare comunque l'offerta. Forse il regime per sopravvivere non può permettersi di dialogare, neanche per finta, con il "Grande Satana", la cui minaccia è ingrediente fondamentale del collante ideologico che tiene insieme il sistema.

Alcuni autorevoli giornali ancora incantati dal fascino di Obama, come il New York Times e il Washington Post, hanno provato a sostenere, in realtà in modo poco convincente, che per lo meno l'apertura Usa e l'offerta dell'Aiea hanno creato un dibattito e persino delle divisioni all'interno della leadership iraniana. Un'ipotesi che un attento osservatore come Meir Javedanfar smentisce agilmente.

Di certo l'Iran sta dimostrando di non essere affatto disponibile a dialogare seriamente sul nucleare, come molti - soprattutto tra i cosiddetti "realisti" - pensavano. Si è perso un anno per soddisfare la curiosità di Obama, il quale adesso però può ancora volgere a suo vantaggio questa perdita di tempo, dimostrando alla comunità internazionale di aver dato una chance concreta alla diplomazia ma che ora è giunto il momento di agire. Certo, dovrà riconoscere che i suoi poteri da ammaliatore non hanno funzionato, ma speriamo che non pecchi d'orgoglio e che sia così pragmatico da cambiare strategia. In fretta, possibilmente.

Purtroppo, le sue ultime dichiarazioni inquietano, perché sembra che ritenga di poter aspettare ancora chissà quanto tempo: «Ci vorrà tempo, e parte dei problemi che dobbiamo affrontare consiste nel fatto che né Corea del Nord, né Iran sembrano politicamente pronti ad assumere decisioni rapide» sui rispettivi programmi nucleari. Il presidente francese Sarkozy e quello russo Medvedev sono sembrati più fermi, ricordando a Teheran che «la pazienza della comunità internazionale non è infinita». E i due leader, anche quello russo, «non hanno escluso» la possibilità di ulteriori sanzioni.

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