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Thursday, November 26, 2009

Se il tremontismo seppellisce il berlusconismo

Quelli che non si bevono la balla di una spesa pubblica "incomprimibile". Risulta letteralmente incredibile che non si possa ridurre una spesa di 830 miliardi l'anno e che corrisponde a circa il 50% del Pil. Tremonti è uscito vincitore su tutta la linea dalla riunione della consulta del Pdl sulla Finanziaria, sprezzante nei confronti di chi aveva avanzato proposte concrete, e ben coperte, di tagli sia alle tasse che alle spese. E' vero che il partito della spesa è vasto e multiforme e sempre in agguato, e che Tremonti durante la crisi ci ha risparmiato grandi manovre in stile prodiano, i soldi «veri e freschi» di cui ha ancora fame Bersani, ma il ministro oppone strumentalmente l'esigenza del rigore anche a chiunque per finanziare tagli alle tasse proponga tagli alla spesa, sostenendo che sia "incomprimibile". Un falso ideologico.

Niente tagli a Irap o Irpef nel 2010, dunque, solo il rinvio a giugno prossimo, che era stato già deciso due settimane fa dal governo con un decreto ad hoc, di una parte dell'acconto Irpef di novembre. Per quanto riguarda i soldi "una tantum" dello scudo, circa 4 miliardi, andranno via in Cig, 5 per mille, nuove carceri, libri di testo, ospedali e altre spese sociali. Non proprio una scelta di rigore. E un rigore che non riesca ad agire sul denominatore del rapporto deficit/pil è un rigore destinato a fallire.
Il nostro ministro dell'Economia ci ha risparmiato un ulteriore saccheggio della finanza pubblica stringendo i cordoni della borsa. Questo perché le nostre banche hanno retto meglio alla crisi finanziaria; e lo Stato - malgrado l'elevata pressione fiscale - non può permettersi spese ulteriori. Ma restano i problemi, strutturali, che risalgono a prima della crisi, agli inizi degli anni Duemila: bassa crescita della produttività, poca internazionalizzazione. I costi che le aziende devono sostenere - di produzione, nelle reciproche transazioni e burocratici - sono elevati e non più compensati dal basso costo del lavoro (per la concorrenza dei Paesi emergenti) e dalle svalutazioni competitive (per i vincoli europei).
Così Piero Ostellino, oggi sul Corriere della Sera, che si appella direttamente a Berlusconi esortandolo a contraddire il suo ministro dell'Economia per alcune riforme "a costo zero": semplificazione amministrativa e normativa, maggiore produttività della giustizia civile, il modello danese per il welfare, «una Maastricht previdenziale». Poi ci sarebbero gli sprechi, che «non si contano» nella sanità, nella pubblica amministrazione, nella scuola, nella giustizia, e soprattutto al Sud. Per non parlare dell'insopportabile pressione fiscale.

Come ricorda oggi Maurizio Belpietro, su Libero, «la riduzione del peso del Fisco nelle tasche degli italiani è da sempre il pilastro centrale della proposta di centrodestra», così come lo è «l'idea di uno Stato snello, il quale non grava sulle nostre spalle, elimina gli sprechi e le incrostazioni degli apparati». Non c'è solo questo, nel programma e nell'identità del centrodestra, ma è questo che «ha scaldato gli animi». In questi primi due anni di governo, nel mezzo della crisi, «nessuno ha reclamato il rispetto del patto stipulato il giorno del voto», ma «ora che qualche segnale di ripresa si intravede, non mantenere la promessa è un errore grave», sottolinea Belpietro.

Un errore grave perché non solo la politica economica immobilista di Tremonti, dove sembra che spesa pubblica e pressione fiscale elevate siano variabili indipendenti, rischia di non assicurarci una ripresa sostenuta e durevole, ma anche perché rischia di ridefinire l'identità politica del centrodestra, demolendo quelli che erano i pilastri del berlusconismo. Ma gli elettori hanno votato il berlusconismo, non il tremontismo. Se ne dovrebbe ricordare primo tra tutti il premier. A tempo debito gli elettori se ne ricorderanno senz'altro.

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