Ieri, nel primo pomeriggio, una vecchia conoscenza, il "capò" Martin Schulz, piazzava una mossa furba, dichiarando alle agenzie di stampa che ormai il gruppo dei Socialisti e dei Democratici considerava «definitiva» l'indisponibilità di David Miliband, facendo così decollare le quotazioni di Massimo D'Alema per il posto di ministro degli Esteri Ue. Non era così, nel senso che il gruppo può pensarla come crede, ma Miliband non si era affatto ritirato dalla corsa. Forse non ci è ancora mai entrato, ma è tutt'altra cosa. In tarda serata arrivava infatti la doccia fredda. Il primo ministro britannico, Gordon Brown, durante la cena dei leader europei riuniti a Berlino per le celebrazioni del ventennale della caduta del Muro, fa il nome del suo ministro degli Esteri. Lo stesso Miliband, contraddicendo quanto diffuso poche ore prima da Schulz, avrebbe spiegato di non essersi mai ritirato ma di considerarsi in «stand-by».
In realtà, i nomi di Blair per la presidenza o, in alternativa, di Miliband per gli Esteri, rimangono ancora sul tavolo. Brown punta ancora su Tony Blair («il premier sostiene ancora al 100 per cento la candidatura di Blair», ha ribadito il suo portavoce), sostenendo, di fronte all'opposizione dei socialisti europei, che la scelta spetta ai governi e non ai partiti. La candidatura dell'ex premier britannico alla presidenza quindi non è ancora tramontata del tutto, ecco perché Miliband rimane al coperto. Berlusconi durante la cena ha sì sostenuto la candidatura di D'Alema, ma in seconda battuta, se tornasse l'ipotesi Blair per la presidenza, agli Esteri sarebbe pronto ad avanzare quella di Franco Frattini (in quota Ppe).
La mia sensazione/speranza - che appunto mi fa sperare ancora di non vedere D'Alema rappresentare la politica estera e di sicurezza dell'Ue - è che per una serie di ragioni uno tra presidente e ministro degli Esteri Ue debba essere un inglese. Non perché è Londra a pretenderlo, ma perché è l'Ue che non può permettersi un doppio schiaffo alla Gran Bretagna. A maggior ragione considerando scontata la vittoria dei conservatori alle elezioni della primavera prossima, ancor più euroscettici dei laburisti, a Bruxelles c'è bisogno di qualcuno che sappia trattare con Londra, che riesca a tenere dentro il sistema la Gran Bretagna.
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