Ennesimo venerdì nero. Piazza affari perde un altro 3,43% e la tensione sulla Spagna è altissima: cds ai massimi (500 punti) e rendimenti al 6%. Il nostro spread è tornato nella scia di quello spagnolo e segue a 385 punti. L'economia mondiale volge al peggio, a indicarlo è il Pil cinese, che nel I trimestre 2012 è cresciuto "solo" dell'8,1% rispetto allo stesso periodo del 2011. Magari crescessimo noi a quel ritmo, peccato che per la Cina è un vistoso rallentamento (il livello più basso dal 7,9% del II trimestre 2009), dovuto soprattutto al calo della domanda internazionale.
Ma non sono neppure le peggiori notizie della giornata. La nostra produzione industriale infatti continua la sua caduta verticale (si è contratta di oltre 1/5 dall'aprile 2008). Il dato Istat di febbraio è un -0,7% rispetto a gennaio (-6,8% su base annua), il peggior dato dal novembre 2009, quando la produzione segnò un calo del 9,3%. Tutto questo potrebbe significare che stiamo entrando in una recessione molto simile, in termini di Pil, a quella del 2008-2009, con la differenza che questa volta viene dall'Eurozona.
In questo scenario, non c'è proprio modo in cui l'Italia possa immaginare di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, e onorare gli impegni di rientro dal debito previsti dal fiscal compact, senza tagliare in profondità la spesa pubblica e abbattere in modo diretto lo stock del debito pubblico.
Eppure il governo Monti pensa a tutt'altro: approva una riforma della Protezione civile (bene), che chiama «strutturale» non si sa su quali basi, reperendo risorse da un ulteriore aumento delle accise sulla benzina: 5 centesimi. Il fatto stesso che per un'attività - questa sì fondamentale - di cui deve occuparsi uno Stato, cioè la difesa e il soccorso dei suoi cittadini colpiti da catastrofi naturali, non bastano le tasse che già paghiamo (il 45% del Pil) ma bisogna aggiungerne di ulteriori, è la dimostrazione che la spesa pubblica è letteralmente impazzita. Come può nell'enorme montagna di spese statali non rientrarci la Protezione civile? Dov'è che buttiamo tutti quei soldi?
Invece di chiederselo, il presidente della Repubblica non trova di meglio che prendersela con evasori e speculatori, per tutti gli statalisti le vere e proprie streghe di questa crisi da basso impero, e scherzare con Monti su chi tra i due è «volontario» e chi «riservista» della Repubblica.
Incalzato dalla recessione e dalla paura del "contagio spagnolo", il premier Monti è anche sempre più nella morsa dei partiti. Per martedì prossimo è fissato un nuovo vertice con ABC sulla crescita, dove con ogni probabilità sarà costretto a riaprire il testo della riforma del lavoro, almeno al capitolo flessibilità in entrata. La pressione da parte del Pdl infatti aumenta. Ormai Monti dopo aver ceduto a Pd e Cgil sull'articolo 18 non riesce più a tenere il punto su nulla. Il partito di Alfano è attivissimo anche sul fronte fiscale: chiede che il pagamento dell'Imu in tre rate (soluzione che a dire dell'Anci sarebbe «devastante») e la sua abolizione nel 2013. Bersani non è certo rimasto a guardare il ritrovato protagonismo del Pdl e sta sul pezzo: anche il Pd ha delle «correzioni» da proporre sulla riforma del lavoro; e «alleggerire» l'Imu è possibile, basta «compensarla con una tassa personale sui grandi patrimoni immobiliari». Tagliare la spesa proprio no eh?!
Altro giro altra corsa per Monti, che appare sempre meno in grado di riprendere il cammino delle riforme. La lettera della Bce di agosto e gli impegni assunti con l'Ue restano per lo più inattuati. Il contesto economico peggiora, così come quello interno, e l'intervento del Fmi è tutt'altro che scongiurato.
Nel frattempo il "partito Grecia" oggi è sceso in piazza contro la
riforma delle pensioni e sindacati e Pd attaccano sul caos esodati,
chiedendo le dimissioni del presidente dell'Inps. A questo punto, forse,
alla Fornero sarebbe convenuto indire un censimento telefonico,
mettendo a disposizione un numero verde: "Siete tra gli esodati?
Chiamateci!".
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Friday, April 13, 2012
Thursday, February 09, 2012
Halftime Italia, il governo corre ai ripari
Mentre è ormai di gran moda, fa molto twit-star, sbeffeggiare con battute più o meno sceme Alemanno e Roma per qualsiasi decisione, senza nemmeno preoccuparsi di una minima attinenza ai fatti, qualcuno si è accorto del decreto firmato ieri in tutta fretta da Monti? Qualcuno si è accorto che i temi veri dell'emergenza sono diventati la "non operatività" della Protezione civile e i gestori - pubblici - dei servizi pubblici?
Qui non si vuole entrare nel merito delle inefficienze che sicuramente ci sono state, né della decisione del sindaco di Roma e del prefetto, sentita la Protezione civile, di chiudere nuovamente scuole e uffici pubblici, ma prima di abbandonarsi all'ilarità bisognerebbe accertarsi delle previsioni meteo. Non quelle dei siti internet, ma quelle che ha in mano Alemanno, che possono sempre rivelarsi errate ma che hanno il carattere dell'ufficialità, tanto da essere state citate stamani dal ministro degli interni in Senato e confermate dalla Protezione civile in un comunicato. Previsioni che parlano di «diffuse nevicate» e «significativi accumuli di neve al suolo» sulla capitale tra domani e dopodomani, cioè di un evento pari o superiore a quello di venerdì-sabato scorsi. E va considerato che una città come Roma è strutturalmente impreparata ad eventi del genere, che altrove possono far sorridere. Città impreparata vuol dire primi fra tutti i cittadini.
Ma no, continuiamo a ironizzare su Roma, per qualche ingorgo in più del normale, mentre nessuno si è accorto del decreto firmato ieri da Monti, nel quale implicitamente si riconoscono le gravi mancanze, e quindi responsabilità, a livello governativo e centrale per quanto accaduto su tutto il territorio del centro Italia, e si tenta di porre un primo rimedio alla «non operatività» della Protezione civile denunciata da Gabrielli in Commissione Lavori pubblici del Senato. Considerando «che le previsioni meteorologiche prospettano una situazione di ulteriore aggravamento con la ripetizione di nevicate di forte intensità...», il decreto attribuisce al capo del Dipartimento della Protezione civile «il coordinamento degli interventi e di tutte le iniziative per fronteggiare la situazione emergenziale» e «l'adozione di ogni indispensabile provvedimento su tutto il territorio nazionale interessato dalle eccezionali avversità atmosferiche per assicurare ogni forma di assistenza e di tutela degli interessi pubblici primari delle popolazioni interessate, nonché di ogni misura idonea per la salvaguardia delle vite umane, allo scopo autorizzando le Regioni al reperimento di beni, mezzi e materiali pubblici e privati necessari, anche attraverso i sindaci, ovvero attraverso i centri di coordinamento e soccorso istituiti a livello provinciale». Se c'è stato bisogno di un decreto, bisogna supporre che prima questo ruolo non era previsto, o non era chiaramente definito.
Non solo il decreto. A tal punto il governo si è accorto della «non operatività» della Protezione civile, che al termine di un vertice con gli enti locali «ha confermato l'intenzione di riesaminare la legge 10 del 2011» che l'ha rovinata, «al fine di rafforzarne l'efficacia per quanto riguarda l'operatività dell'intervento emergenziale». Un vertice tra governo ed enti locali che forse sarebbe stato utile anche alla vigilia della prima ondata di maltempo, la scorsa settimana. Di Protezione civile, di gas e di gestori dei servizi pubblici, si è parlato infine alla Camera, durante l'informativa del governo sull'emergenza maltempo, mentre sui romani e Alemanno si è esibito solo qualche pittoresco deputato leghista. Il Parlamento per una volta meno banale dei social network, dove troppo spesso i tentativi di ragionamento vengono travolti dal flusso del conformismo.
L'impreparazione di Roma e l'inefficienza di Alemanno sono una miniera d'oro dal punto di vista comunicativo, cioè per garantirsi accessi e facili retwitt, ma questo non ha nulla a che fare con l'informazione, è satira. Ci vuole anche quella, basta che poi non si finisca per credere alle proprie battute e iperboli.
Qui non si vuole entrare nel merito delle inefficienze che sicuramente ci sono state, né della decisione del sindaco di Roma e del prefetto, sentita la Protezione civile, di chiudere nuovamente scuole e uffici pubblici, ma prima di abbandonarsi all'ilarità bisognerebbe accertarsi delle previsioni meteo. Non quelle dei siti internet, ma quelle che ha in mano Alemanno, che possono sempre rivelarsi errate ma che hanno il carattere dell'ufficialità, tanto da essere state citate stamani dal ministro degli interni in Senato e confermate dalla Protezione civile in un comunicato. Previsioni che parlano di «diffuse nevicate» e «significativi accumuli di neve al suolo» sulla capitale tra domani e dopodomani, cioè di un evento pari o superiore a quello di venerdì-sabato scorsi. E va considerato che una città come Roma è strutturalmente impreparata ad eventi del genere, che altrove possono far sorridere. Città impreparata vuol dire primi fra tutti i cittadini.
Ma no, continuiamo a ironizzare su Roma, per qualche ingorgo in più del normale, mentre nessuno si è accorto del decreto firmato ieri da Monti, nel quale implicitamente si riconoscono le gravi mancanze, e quindi responsabilità, a livello governativo e centrale per quanto accaduto su tutto il territorio del centro Italia, e si tenta di porre un primo rimedio alla «non operatività» della Protezione civile denunciata da Gabrielli in Commissione Lavori pubblici del Senato. Considerando «che le previsioni meteorologiche prospettano una situazione di ulteriore aggravamento con la ripetizione di nevicate di forte intensità...», il decreto attribuisce al capo del Dipartimento della Protezione civile «il coordinamento degli interventi e di tutte le iniziative per fronteggiare la situazione emergenziale» e «l'adozione di ogni indispensabile provvedimento su tutto il territorio nazionale interessato dalle eccezionali avversità atmosferiche per assicurare ogni forma di assistenza e di tutela degli interessi pubblici primari delle popolazioni interessate, nonché di ogni misura idonea per la salvaguardia delle vite umane, allo scopo autorizzando le Regioni al reperimento di beni, mezzi e materiali pubblici e privati necessari, anche attraverso i sindaci, ovvero attraverso i centri di coordinamento e soccorso istituiti a livello provinciale». Se c'è stato bisogno di un decreto, bisogna supporre che prima questo ruolo non era previsto, o non era chiaramente definito.
Non solo il decreto. A tal punto il governo si è accorto della «non operatività» della Protezione civile, che al termine di un vertice con gli enti locali «ha confermato l'intenzione di riesaminare la legge 10 del 2011» che l'ha rovinata, «al fine di rafforzarne l'efficacia per quanto riguarda l'operatività dell'intervento emergenziale». Un vertice tra governo ed enti locali che forse sarebbe stato utile anche alla vigilia della prima ondata di maltempo, la scorsa settimana. Di Protezione civile, di gas e di gestori dei servizi pubblici, si è parlato infine alla Camera, durante l'informativa del governo sull'emergenza maltempo, mentre sui romani e Alemanno si è esibito solo qualche pittoresco deputato leghista. Il Parlamento per una volta meno banale dei social network, dove troppo spesso i tentativi di ragionamento vengono travolti dal flusso del conformismo.
L'impreparazione di Roma e l'inefficienza di Alemanno sono una miniera d'oro dal punto di vista comunicativo, cioè per garantirsi accessi e facili retwitt, ma questo non ha nulla a che fare con l'informazione, è satira. Ci vuole anche quella, basta che poi non si finisca per credere alle proprie battute e iperboli.
Wednesday, February 08, 2012
Halftime Italia, faremo meglio nel secondo tempo?
Anche su Notapolitica
Sembra che il generale Inverno voglia concederci una seconda chance per dimostrare di essere in grado di far funzionare almeno qualcosa, dopo la debàcle complessiva delle reti (elettrica, ferroviaria e autostradale), l'impreparazione delle istituzioni locali, l'assenza del governo e la totale inoperatività della Protezione civile, di fronte alla prima ondata di gelo. E lo spot Chrysler durante l'intervallo del Superbowl offre un'immagine molto emblematica anche per l'Italia alle prese con la sfida maltempo: "It's halftime Italy. And, our second half is about to begin". Faremo meglio nel secondo tempo?
Tanto per cominciare, sembra voler scendere in campo il governo Monti, rimasto comodamente in panchina durante il disastroso primo tempo, anche se stampa e pubblico non se ne sono nemmeno accorti. Ieri il premier ha voluto fare un punto della situazione con il capo della Protezione civile e poi con i suoi ministri in Cdm, informandoli, come recita il comunicato ufficiale, «sulle misure emergenziali adottate e su quelle ancora da intraprendere, così come sulle azioni di carattere preventivo necessarie per fronteggiare la nuova perturbazione attesa per la fine di questa settimana», e «sensibilizzando tutti i ministri competenti ad assicurare l'impegno più incisivo da parte di tutte le strutture del governo del territorio e delle imprese di gestione dei pubblici servizi al fine di tutelare la pubblica e privata incolumità, nel quadro del coordinamento esercitato dal Dipartimento della Protezione civile». Laddove i soggetti richiamati alle proprie responsabilità sono i ministri, le istituzioni di governo del territorio, le imprese di gestione (pubbliche) dei servizi pubblici, la Protezione civile.
Siccome non ci risulta che qualcosa di simile sia stato discusso e sottolineato nei Cdm precedenti la prima ondata di maltempo, bisogna concludere che il Paese ha affrontato la buriana dello scorso fine settimana senza nessuno al volante, o quanto meno era parecchio distratto. Ma di un vero e proprio miracolo il governo dei tecnici è comunque artefice: mai come questa volta, credo, nella storia d'Italia, un governo è stato del tutto esente da critiche per la gestione di un'emergenza evidentemente di carattere nazionale. Non poche critiche, non deboli, ma zero critiche. Non si tratta della solita luna di miele dei media con il nuovo governo, ma di un vero e proprio accecamento volontario.
Ma la cosa più stupefacente passata quasi completamente inosservata è che dopo giorni di accuse (e di varie ilarità) all'indirizzo del sindaco di Roma Alemanno, che in preda a sindrome da accerchiamento ha osato polemizzare con la Protezione civile, ebbene in un'audizione al Senato è proprio il capo della Protezione civile Gabrielli a dare ragione, nel merito, ad Alemanno. Il quale aveva denunciato che la Protezione civile è ormai ridotta ad un ruolo meramente burocratico, da «passacarte». Apriti cielo! Ebbene, ieri Gabrielli ha spiegato alla Commissione che ha dovuto difendere l'onore dell'istituzione e dei suoi meteorologi, ma nel merito ha detto la stessa identica cosa: «Il 26 febbraio del 2011, la legge n. 10 ha reso di fatto, oggi, non operativa la Protezione Civile». Una sentenza senz'appello: oggi la Protezione civile non è operativa. E ha fornito un esempio «delle tante perversioni di questa legge»: «I governatori delle regioni interessate (Emilia Romagna, Abruzzo, Lazio, Molise, Marche) non hanno chiesto lo stato d'emergenza, non perché è Gabrielli che li consiglia di non farlo perché non si vuole prendere l'onere della gestione, ma perché sanno perfettamente che la richiesta dello stato d'emergenza equivarrebbe all'innalzamento delle accise regionali sulla benzina».
Gabrielli si è detto quindi «preoccupato che questa istituzione sia rimessa nella condizione di operare», perché «oggi questa operatività non c'è». Non è la prima volta che lancia l'allarme, è dal febbraio scorso, con il precedente governo, che segnala le criticità della nuova legislazione, che si sono puntualmente verificate.
Altrettanto allarmanti le preoccupazioni espresse riguardo le operazioni di recupero del carburante e del relitto della nave Costa Concordia naufragata sulle coste dell'Isola del Giglio: «La capacità di intervento della Protezione civile - ammette Gabrielli - sono di pura astrazione. Mi sto augurando che Costa non fallisca, perché qualora avesse questa malaugurata vicenda, avremmo qualche problema. Dovrei fare le gare comunitarie, dovrei avere il concerto del Ministero dell'Economia per avere la disponibilità di somme che sono nell'ordine di centinaia di milioni, dovrei avere il visto preventivo della Corte dei Conti, i Tar che fanno le varie cose, quindi auguriamoci tutti che la procedura privata posta in essere, al meglio dell'interlocuzione possibile, si consolidi e si concluda». Ecco la vera privatizzazione della Protezione civile: auguriamoci che i privati ce la facciano.
Il sindaco di Roma ci ha messo senz'altro del suo nell'offrirsi come capro espiatorio di una gestione dell'emergenza a dir poco fallimentare a tutti i livelli, dei gestori – tutti pubblici – delle reti, degli enti locali e delle regioni, del governo e della Protezione civile. In molti però, politici e giornalisti, l'hanno usato come «parafulmine» ben sapendo di coprire in questo modo responsabilità ben più vaste e gravi, con la cassa di risonanza gentilmente offerta dalle varie twitt-star e dal gregge dei social network.
Onestà intellettuale vorrebbe di ammettere che, forse non nei modi, ma nel merito Alemanno aveva ragione a porre la questione della Protezione civile. Svuotata di qualsiasi operatività solo per fare un dispetto a Bertolaso e Berlusconi, che oggi tra l'altro non sono nemmeno più al comando. Bastava ridurre il campo di intervento in modo da escludere i cosiddetti "grandi eventi", e invece l'effetto della guerra senza quartiere che si è scatenata, da fuori ma anche all'interno della stessa compagine governativa di centrodestra, contro Bertolaso, è aver ridotto la Protezione civile a «passacarte».
Sembra che il generale Inverno voglia concederci una seconda chance per dimostrare di essere in grado di far funzionare almeno qualcosa, dopo la debàcle complessiva delle reti (elettrica, ferroviaria e autostradale), l'impreparazione delle istituzioni locali, l'assenza del governo e la totale inoperatività della Protezione civile, di fronte alla prima ondata di gelo. E lo spot Chrysler durante l'intervallo del Superbowl offre un'immagine molto emblematica anche per l'Italia alle prese con la sfida maltempo: "It's halftime Italy. And, our second half is about to begin". Faremo meglio nel secondo tempo?
Tanto per cominciare, sembra voler scendere in campo il governo Monti, rimasto comodamente in panchina durante il disastroso primo tempo, anche se stampa e pubblico non se ne sono nemmeno accorti. Ieri il premier ha voluto fare un punto della situazione con il capo della Protezione civile e poi con i suoi ministri in Cdm, informandoli, come recita il comunicato ufficiale, «sulle misure emergenziali adottate e su quelle ancora da intraprendere, così come sulle azioni di carattere preventivo necessarie per fronteggiare la nuova perturbazione attesa per la fine di questa settimana», e «sensibilizzando tutti i ministri competenti ad assicurare l'impegno più incisivo da parte di tutte le strutture del governo del territorio e delle imprese di gestione dei pubblici servizi al fine di tutelare la pubblica e privata incolumità, nel quadro del coordinamento esercitato dal Dipartimento della Protezione civile». Laddove i soggetti richiamati alle proprie responsabilità sono i ministri, le istituzioni di governo del territorio, le imprese di gestione (pubbliche) dei servizi pubblici, la Protezione civile.
Siccome non ci risulta che qualcosa di simile sia stato discusso e sottolineato nei Cdm precedenti la prima ondata di maltempo, bisogna concludere che il Paese ha affrontato la buriana dello scorso fine settimana senza nessuno al volante, o quanto meno era parecchio distratto. Ma di un vero e proprio miracolo il governo dei tecnici è comunque artefice: mai come questa volta, credo, nella storia d'Italia, un governo è stato del tutto esente da critiche per la gestione di un'emergenza evidentemente di carattere nazionale. Non poche critiche, non deboli, ma zero critiche. Non si tratta della solita luna di miele dei media con il nuovo governo, ma di un vero e proprio accecamento volontario.
Ma la cosa più stupefacente passata quasi completamente inosservata è che dopo giorni di accuse (e di varie ilarità) all'indirizzo del sindaco di Roma Alemanno, che in preda a sindrome da accerchiamento ha osato polemizzare con la Protezione civile, ebbene in un'audizione al Senato è proprio il capo della Protezione civile Gabrielli a dare ragione, nel merito, ad Alemanno. Il quale aveva denunciato che la Protezione civile è ormai ridotta ad un ruolo meramente burocratico, da «passacarte». Apriti cielo! Ebbene, ieri Gabrielli ha spiegato alla Commissione che ha dovuto difendere l'onore dell'istituzione e dei suoi meteorologi, ma nel merito ha detto la stessa identica cosa: «Il 26 febbraio del 2011, la legge n. 10 ha reso di fatto, oggi, non operativa la Protezione Civile». Una sentenza senz'appello: oggi la Protezione civile non è operativa. E ha fornito un esempio «delle tante perversioni di questa legge»: «I governatori delle regioni interessate (Emilia Romagna, Abruzzo, Lazio, Molise, Marche) non hanno chiesto lo stato d'emergenza, non perché è Gabrielli che li consiglia di non farlo perché non si vuole prendere l'onere della gestione, ma perché sanno perfettamente che la richiesta dello stato d'emergenza equivarrebbe all'innalzamento delle accise regionali sulla benzina».
Gabrielli si è detto quindi «preoccupato che questa istituzione sia rimessa nella condizione di operare», perché «oggi questa operatività non c'è». Non è la prima volta che lancia l'allarme, è dal febbraio scorso, con il precedente governo, che segnala le criticità della nuova legislazione, che si sono puntualmente verificate.
Altrettanto allarmanti le preoccupazioni espresse riguardo le operazioni di recupero del carburante e del relitto della nave Costa Concordia naufragata sulle coste dell'Isola del Giglio: «La capacità di intervento della Protezione civile - ammette Gabrielli - sono di pura astrazione. Mi sto augurando che Costa non fallisca, perché qualora avesse questa malaugurata vicenda, avremmo qualche problema. Dovrei fare le gare comunitarie, dovrei avere il concerto del Ministero dell'Economia per avere la disponibilità di somme che sono nell'ordine di centinaia di milioni, dovrei avere il visto preventivo della Corte dei Conti, i Tar che fanno le varie cose, quindi auguriamoci tutti che la procedura privata posta in essere, al meglio dell'interlocuzione possibile, si consolidi e si concluda». Ecco la vera privatizzazione della Protezione civile: auguriamoci che i privati ce la facciano.
Il sindaco di Roma ci ha messo senz'altro del suo nell'offrirsi come capro espiatorio di una gestione dell'emergenza a dir poco fallimentare a tutti i livelli, dei gestori – tutti pubblici – delle reti, degli enti locali e delle regioni, del governo e della Protezione civile. In molti però, politici e giornalisti, l'hanno usato come «parafulmine» ben sapendo di coprire in questo modo responsabilità ben più vaste e gravi, con la cassa di risonanza gentilmente offerta dalle varie twitt-star e dal gregge dei social network.
Onestà intellettuale vorrebbe di ammettere che, forse non nei modi, ma nel merito Alemanno aveva ragione a porre la questione della Protezione civile. Svuotata di qualsiasi operatività solo per fare un dispetto a Bertolaso e Berlusconi, che oggi tra l'altro non sono nemmeno più al comando. Bastava ridurre il campo di intervento in modo da escludere i cosiddetti "grandi eventi", e invece l'effetto della guerra senza quartiere che si è scatenata, da fuori ma anche all'interno della stessa compagine governativa di centrodestra, contro Bertolaso, è aver ridotto la Protezione civile a «passacarte».
Tuesday, February 07, 2012
L'importante è che sia retwittable
Mentre media e politici erano affaccendati a spalare neve addosso ad Alemanno, continuavano a giungere storie di morti assiderati, comuni ancora isolati, pendolari intrappolati. Non a Roma. In provincia, nel Lazio, e nel resto del centro Italia. Tanto che il direttore di Europa, su twitter, verso le 19, ammetteva: «Se Alemanno non si fosse offerto come parafulmine ce ne sarebbero di responsabilità da chiarire». «Parafulmine» è la parola usata anche da un noto blogger di centrodestra, come Daw-blog, per giustificare l'attenzione mediatica su Roma e il suo sindaco. «Ce ne sarebbero»? Ma siccome Alemanno, certo anche per la sua incapacità, in questo caso soprattutto comunicativa, s'è offerto come «parafulmine», allora è giusto chiudere gli occhi, rinunciare a chiarire ed evidenziare le molte altre responsabilità nella cattiva gestione dell'emergenza neve in tutto il centro Italia?
Probabilmente Alemanno sta perdendo la sua occasione di governare bene Roma e l'ho più volte sottolineato, per esempio quando la città è andata in tilt per le prime piogge autunnali, al contrario della neve un evento annuale e puntuale a Roma. E tra i primi ho segnalato la sua tendenza ad apparire troppo sui temi e dibattiti politici nazionali piuttosto che sui problemi della città. Penso si sia capito che non muoio dalla voglia di difendere Alemanno, che sento molto distante da me politicamente, ma per amore di verità ritengo che crocifiggerlo per l'emergenza neve sia sproporzionato, sia rispetto a quanto accaduto a Roma, sia considerando che non ci si poteva aspettare di meglio, dal momento che la città e suoi abitanti sono strutturalmente impreparati alla neve. Ed è fisiologico che sia così, perché non si può spendere come Milano o Torino per un fenomeno che si verifica si e no ogni trent'anni.
Sparare su Roma e su Alemanno, che non poteva fare molto di più stavolta, e che preso dall'ansia da prestazione insieme al suo staff ha solo comunicato male come al solito, era troppo facile. La città è andata in tilt, nella provincia e nel Lazio è ancora peggio, e ora da parte di tutti gli amministratori, scottati - anzi, raggelati - dagli eventi c'è un eccesso di prudenza. Oggi scuole ancora chiuse, nonostante l'ultimo bollettino prevedesse al massimo nevicate «deboli» (ma anche quello per venerdì prevedeva "pioggia misto neve", eppure sappiamo com'è andata). E giù altra ilarità, a colpi di hashtag, dai social network, quando sarebbe forse più utile parlare di responsabilità ben più gravi, come quelle di Enel, Anas e Trenitalia. A Roma per fortuna alla fine non è accaduto nulla di grave, ma vogliamo parlare dei gestori - pubblici - delle reti, veri responsabili del collasso? Ancora morti e comuni isolati, ma possibile che nessun sindaco abbia chiesto aiuto alla Protezione civile, che tutti #nonhobisognodinulla come Alemanno? O vogliamo dirlo che al di là di Roma, che non ne aveva nemmeno bisogno, la Protezione civile de-bertolasizzata ha fatto cilecca totale e che è quanto meno fondato supporre che per paura ora si sia burocratizzata?!
No, non si può, perché il brutto dei social network è che la battuta va di moda più dell'analisi, e tanto più se fa da cassa di risonanza, non da controinformazione, al flusso dei mainstream media. Intendiamoci, le battute ben vengano, il problema è quando si finisce per crederci e a farne uno strumento di lettura della realtà. Nessuno si pone nemmeno il dubbio che aprire un profilo falso di qualcuno per sbeffeggiarlo, per di più nel bel mezzo di un'emergenza, sia un abuso deplorevole, un furto di identità. Tutti a ridere e a rilanciarne le sciocchezze, una tira l'altra. Né più né meno che nella vita reale anche in quella virtuale è l'istinto a farsi gregge a prevalere. L'importante è coniare l'hashtag più cool. Non è importante ciò che si dice, l'importante è che sia retwittable.
Probabilmente Alemanno sta perdendo la sua occasione di governare bene Roma e l'ho più volte sottolineato, per esempio quando la città è andata in tilt per le prime piogge autunnali, al contrario della neve un evento annuale e puntuale a Roma. E tra i primi ho segnalato la sua tendenza ad apparire troppo sui temi e dibattiti politici nazionali piuttosto che sui problemi della città. Penso si sia capito che non muoio dalla voglia di difendere Alemanno, che sento molto distante da me politicamente, ma per amore di verità ritengo che crocifiggerlo per l'emergenza neve sia sproporzionato, sia rispetto a quanto accaduto a Roma, sia considerando che non ci si poteva aspettare di meglio, dal momento che la città e suoi abitanti sono strutturalmente impreparati alla neve. Ed è fisiologico che sia così, perché non si può spendere come Milano o Torino per un fenomeno che si verifica si e no ogni trent'anni.
Sparare su Roma e su Alemanno, che non poteva fare molto di più stavolta, e che preso dall'ansia da prestazione insieme al suo staff ha solo comunicato male come al solito, era troppo facile. La città è andata in tilt, nella provincia e nel Lazio è ancora peggio, e ora da parte di tutti gli amministratori, scottati - anzi, raggelati - dagli eventi c'è un eccesso di prudenza. Oggi scuole ancora chiuse, nonostante l'ultimo bollettino prevedesse al massimo nevicate «deboli» (ma anche quello per venerdì prevedeva "pioggia misto neve", eppure sappiamo com'è andata). E giù altra ilarità, a colpi di hashtag, dai social network, quando sarebbe forse più utile parlare di responsabilità ben più gravi, come quelle di Enel, Anas e Trenitalia. A Roma per fortuna alla fine non è accaduto nulla di grave, ma vogliamo parlare dei gestori - pubblici - delle reti, veri responsabili del collasso? Ancora morti e comuni isolati, ma possibile che nessun sindaco abbia chiesto aiuto alla Protezione civile, che tutti #nonhobisognodinulla come Alemanno? O vogliamo dirlo che al di là di Roma, che non ne aveva nemmeno bisogno, la Protezione civile de-bertolasizzata ha fatto cilecca totale e che è quanto meno fondato supporre che per paura ora si sia burocratizzata?!
No, non si può, perché il brutto dei social network è che la battuta va di moda più dell'analisi, e tanto più se fa da cassa di risonanza, non da controinformazione, al flusso dei mainstream media. Intendiamoci, le battute ben vengano, il problema è quando si finisce per crederci e a farne uno strumento di lettura della realtà. Nessuno si pone nemmeno il dubbio che aprire un profilo falso di qualcuno per sbeffeggiarlo, per di più nel bel mezzo di un'emergenza, sia un abuso deplorevole, un furto di identità. Tutti a ridere e a rilanciarne le sciocchezze, una tira l'altra. Né più né meno che nella vita reale anche in quella virtuale è l'istinto a farsi gregge a prevalere. L'importante è coniare l'hashtag più cool. Non è importante ciò che si dice, l'importante è che sia retwittable.
Monday, February 06, 2012
Non sparate su Alemanno (stavolta)
Anche su Notapolitica
I romani hanno molti validi motivi per cui dolersi dell'amministrazione Alemanno: dall'inefficienza degli uffici allo scandalo assunzioni all'Atac, per non parlare degli infortuni comunicativi. Ma soprattutto per la tendenza del sindaco ad apparire sui temi e nei dibattiti politici nazionali piuttosto che concentrato sui problemi della città. In generale, della sua gestione si può dire quanto si poteva dire di quelle Rutelli e Veltroni: l'ansia di vivere il Campidoglio come trampolino di lancio per la politica nazionale. Il fallimento più clamoroso di Alemanno, come dei suoi predecessori, sta nei pesanti disservizi causati da un evento che, al contrario della neve, nella capitale si presenta puntuale all'appello ogni anno: le prime forti piogge autunnali. Nel caso delle nevicate di venerdì e sabato, invece, Alemanno è stato oggetto di una valanga di biasimo e accuse davvero sproporzionata rispetto ai disagi, molto più pericolosi per la vita stessa dei cittadini, che si stanno verificando altrove nel Paese, al di là del grande raccordo anulare e in altre Regioni del centro.
Lasciando da parte Roma, dove stando alla vulgata il sindaco avrebbe rifiutato l'aiuto della Protezione civile, non saprei dire di chi sia la responsabilità, ma le decine di comuni e frazioni rimasti isolati, le decine di migliaia di utenze senza elettricità, gli automobilisti bloccati nelle autostrade e i passeggeri sui treni, non hanno certo ricevuto soccorsi e assistenza rapidi ed efficienti. Al contrario, dalle immagini dei telegiornali si ha la netta sensazione del totale abbandono. Non mi sento quindi di crocifiggere Alemanno più dell'Anas, dell'Enel, di Trenitalia e della stessa Protezione civile, né più di altre amministrazioni (in provincia e nel Lazio la situazione è anche peggiore, ma critiche a Zingaretti e Polverini non pervenute). E il governo dei tecnici? Nonostante un'emergenza di carattere evidentemente nazionale, è rimasto al calduccio, se si esclude un generico commento di Monti sulla necessità di una maggiore «prevenzione» e un appello del ministro degli interni a «non uscire» di casa, entrambi a cose fatte, nel tardo pomeriggio di sabato.
L'impressione, insomma, è che si sia concentrata su Roma l'attenzione mediatica, anche perché era più comodo per tutti i media verificare la situazione, ma è stata la debàcle complessiva delle reti (elettrica, ferroviaria e autostradale) a metterci in ginocchio – rilanciando il tema dell'efficienza dei gestori, per lo più pubblici – mentre persino la Protezione civile, in passato modello di efficienza, questa volta sembra aver fatto cilecca.
L'impreparazione di Roma alla neve, nonostante le previsioni indicassero l'alta probabilità di un evento straordinario, è in larga misura fisiologica per una città mediterranea dove così tanta se ne vede ogni trent'anni (ma forse nemmeno nell'85 il fenomeno fu di tali proporzioni). C'è da chiedersi innanzitutto se a Roma convenga, sia ragionevole in termini di costi/benefici, essere preparata come Torino e Milano per un paio di giorni di mobilità ridotta (e di passeggiate in centro a scattare foto) ogni trent'anni. Che cosa, concretamente, si può rimproverare al sindaco? Sicuramente si poteva far meglio nella mobilità di superficie. Ma ammesso che gli autobus fossero dotati tutti di gomme invernali, quanti autisti sarebbero in grado di raggiungere il posto di lavoro con i treni regionali bloccati, il raccordo bloccato (che si blocca tutto l'anno anche per un tamponamento) e non dotati a loro volta di gomme e catene sui mezzi propri? Sarebbero state comunque troppo poche le linee attive. E altrettanto si potrebbe dire degli altri servizi pubblici. Ciò per dire che l'impreparazione del Comune alla neve è l'impreparazione dei romani stessi, in pochi sufficientemente equipaggiati e abituati a guidare in simili condizioni.
Roma è una città enorme, forse gli altri italiani non si rendono conto della sua estensione territoriale. Il Municipio XII, per capirci quello dell'Eur, è un territorio vasto quasi quanto Milano, ed è solo la zona più a sud della capitale. Con una tale estensione non si possono certo pretendere spalatori e salatori capillari, spetta ad ogni condominio e/o esercizio commerciale pulire il tratto di propria competenza. Inoltre, meteorologicamente parlando le città a Roma sono almeno 3/4. Per esperienza diretta a Roma sud e in centro già sabato a pranzo si poteva circolare tranquillamente nelle vie principali, senza alcun bisogno di catene o gomme invernali, e molti dei rami abbattuti sotto il peso della neve si erano staccati da alberi regolarmente potati. Molto diversa la situazione nella periferia nord ed est della città, e nell'interland, spesso collinare, dove sono caduti ben più di 35 centimetri di neve. Il blocco dei treni regionali, essenziali per la mobilità dei pendolari che giungono nella capitale dai comuni limitrofi, ma anche dei romani stessi, e il blocco del raccordo anulare e delle vie consolari hanno mandato in tilt la città, ma in questi casi le responsabilità maggiori sono di Ferrovie e Anas, cui spettano sia la manutenzione che i soccorsi.
Non mi stupirei se gli accanimenti politici e mediatici di queste settimane contro Formigoni e Alemanno (il quale è stato pure vittima di un deplorevole furto di identità su twitter) fossero condizionati dalla volontà di alcuni di frenare le loro chance di succedere a Berlusconi nella leadership del centrodestra.
I romani hanno molti validi motivi per cui dolersi dell'amministrazione Alemanno: dall'inefficienza degli uffici allo scandalo assunzioni all'Atac, per non parlare degli infortuni comunicativi. Ma soprattutto per la tendenza del sindaco ad apparire sui temi e nei dibattiti politici nazionali piuttosto che concentrato sui problemi della città. In generale, della sua gestione si può dire quanto si poteva dire di quelle Rutelli e Veltroni: l'ansia di vivere il Campidoglio come trampolino di lancio per la politica nazionale. Il fallimento più clamoroso di Alemanno, come dei suoi predecessori, sta nei pesanti disservizi causati da un evento che, al contrario della neve, nella capitale si presenta puntuale all'appello ogni anno: le prime forti piogge autunnali. Nel caso delle nevicate di venerdì e sabato, invece, Alemanno è stato oggetto di una valanga di biasimo e accuse davvero sproporzionata rispetto ai disagi, molto più pericolosi per la vita stessa dei cittadini, che si stanno verificando altrove nel Paese, al di là del grande raccordo anulare e in altre Regioni del centro.
Lasciando da parte Roma, dove stando alla vulgata il sindaco avrebbe rifiutato l'aiuto della Protezione civile, non saprei dire di chi sia la responsabilità, ma le decine di comuni e frazioni rimasti isolati, le decine di migliaia di utenze senza elettricità, gli automobilisti bloccati nelle autostrade e i passeggeri sui treni, non hanno certo ricevuto soccorsi e assistenza rapidi ed efficienti. Al contrario, dalle immagini dei telegiornali si ha la netta sensazione del totale abbandono. Non mi sento quindi di crocifiggere Alemanno più dell'Anas, dell'Enel, di Trenitalia e della stessa Protezione civile, né più di altre amministrazioni (in provincia e nel Lazio la situazione è anche peggiore, ma critiche a Zingaretti e Polverini non pervenute). E il governo dei tecnici? Nonostante un'emergenza di carattere evidentemente nazionale, è rimasto al calduccio, se si esclude un generico commento di Monti sulla necessità di una maggiore «prevenzione» e un appello del ministro degli interni a «non uscire» di casa, entrambi a cose fatte, nel tardo pomeriggio di sabato.
L'impressione, insomma, è che si sia concentrata su Roma l'attenzione mediatica, anche perché era più comodo per tutti i media verificare la situazione, ma è stata la debàcle complessiva delle reti (elettrica, ferroviaria e autostradale) a metterci in ginocchio – rilanciando il tema dell'efficienza dei gestori, per lo più pubblici – mentre persino la Protezione civile, in passato modello di efficienza, questa volta sembra aver fatto cilecca.
L'impreparazione di Roma alla neve, nonostante le previsioni indicassero l'alta probabilità di un evento straordinario, è in larga misura fisiologica per una città mediterranea dove così tanta se ne vede ogni trent'anni (ma forse nemmeno nell'85 il fenomeno fu di tali proporzioni). C'è da chiedersi innanzitutto se a Roma convenga, sia ragionevole in termini di costi/benefici, essere preparata come Torino e Milano per un paio di giorni di mobilità ridotta (e di passeggiate in centro a scattare foto) ogni trent'anni. Che cosa, concretamente, si può rimproverare al sindaco? Sicuramente si poteva far meglio nella mobilità di superficie. Ma ammesso che gli autobus fossero dotati tutti di gomme invernali, quanti autisti sarebbero in grado di raggiungere il posto di lavoro con i treni regionali bloccati, il raccordo bloccato (che si blocca tutto l'anno anche per un tamponamento) e non dotati a loro volta di gomme e catene sui mezzi propri? Sarebbero state comunque troppo poche le linee attive. E altrettanto si potrebbe dire degli altri servizi pubblici. Ciò per dire che l'impreparazione del Comune alla neve è l'impreparazione dei romani stessi, in pochi sufficientemente equipaggiati e abituati a guidare in simili condizioni.
Roma è una città enorme, forse gli altri italiani non si rendono conto della sua estensione territoriale. Il Municipio XII, per capirci quello dell'Eur, è un territorio vasto quasi quanto Milano, ed è solo la zona più a sud della capitale. Con una tale estensione non si possono certo pretendere spalatori e salatori capillari, spetta ad ogni condominio e/o esercizio commerciale pulire il tratto di propria competenza. Inoltre, meteorologicamente parlando le città a Roma sono almeno 3/4. Per esperienza diretta a Roma sud e in centro già sabato a pranzo si poteva circolare tranquillamente nelle vie principali, senza alcun bisogno di catene o gomme invernali, e molti dei rami abbattuti sotto il peso della neve si erano staccati da alberi regolarmente potati. Molto diversa la situazione nella periferia nord ed est della città, e nell'interland, spesso collinare, dove sono caduti ben più di 35 centimetri di neve. Il blocco dei treni regionali, essenziali per la mobilità dei pendolari che giungono nella capitale dai comuni limitrofi, ma anche dei romani stessi, e il blocco del raccordo anulare e delle vie consolari hanno mandato in tilt la città, ma in questi casi le responsabilità maggiori sono di Ferrovie e Anas, cui spettano sia la manutenzione che i soccorsi.
Non mi stupirei se gli accanimenti politici e mediatici di queste settimane contro Formigoni e Alemanno (il quale è stato pure vittima di un deplorevole furto di identità su twitter) fossero condizionati dalla volontà di alcuni di frenare le loro chance di succedere a Berlusconi nella leadership del centrodestra.
Friday, February 19, 2010
Dov'è l'imbroglio
Il «sottobosco paraistituzionale», come lo definisce oggi Massimo Franco sul Corriere, o il sistema «gelatinoso», espressione coniata dall'architetto Paolo Desideri e raccolta in una intercettazione del 2007, esiste, a prescindere dal consumarsi o meno di fatti penalmente rilevanti. Si tratta di comportamenti politicamente disdicevoli, che però sono quasi sempre trasversali, come provano le stesse figure di Balducci & soci, funzionari apprezzati da governi e amministrazioni locali in modo bipartisan.
E' un contesto tipico italiano, quello delle commistioni tra politica e affari quando ci sono "torte" da spartire. La politica "maneggia" e crea "vie gelatinose", corsie privilegiate per permettere alle imprese "amiche" di aggiudicarsi succulenti appalti. Non è detto che in tutto questo si violino in modo dimostrabile le procedure o si prendano delle mazzette, perché il compenso reciproco di una rete clientelare va ben oltre qualche migliaio di euro, che al contrario sarebbe una pistola fumante pericolosamente vistosa.
Dov'è allora il problema? Che per colpire politicamente Berlusconi, finora rivelatosi immune agli attacchi frontali diretti contro la sua persona, si prendono di mira i suoi più stretti collaboratori, non si esita a sfregiare due innegabili successi della sua "politica del fare" - ma in realtà, per una volta, successi dello Stato - facendo credere alla gente che questo sistema «gelatinoso» può essere circoscritto alle emergenze gestite dalla Protezione civile - o può addirittura esserne il frutto - e non riguarda, invece, anche la normalità degli appalti pubblici in Italia. Un'operazione o ingenua, a voler pensar bene, o in malafede. Almeno per dovere di cronaca, ogni volta che si scrive o si parla di sistema «gelatinoso» bisognerebbe ricordare che si fa riferimento a un'espressione nata durante le conversazioni intercettate tra alcuni architetti e imprenditori convinti di aver partecipato a gare d'appalto pilotate da Veltroni e Rutelli. Non dico che ciò sia vero, dico solo che giornalisticamente è lì che nasce quel termine e andrebbe ricordato ogni volta che si pretende di associarlo a Bertolaso.
Credo che difficilmente si troveranno mazzette, ma il sistema esiste e chi vive e lavora a Roma sa bene come, *grazie a chi*, si lavora nell'ambito delle commesse pubbliche o dell'edilizia. E questo nella normalità, non nelle emergenze o nei cosiddetti "Grandi Eventi". Quindi, finiamola, per colpire Bertolaso - e tramite lui Berlusconi - di dire che la "gelatina" la producono le norme e procedure eccezionali di protezione civile, o il superego del suo capo.
Laddove si gestiscono torte enormi di denaro pubblico, guarda un po', si riescono a far lavorare le ditte amiche. In modi legali o ai limiti della legalità. Lo sanno tutti, facciamocene una ragione. Come tutelare la cittadinanza? Bisogna riconoscere - laicamente - che c'è un solo modo. Che non è quello di appesantire le procedure, nell'illusione che fatta la legge più severa non si trovi l'inganno. Anzi, più sono astruse e farraginose, più garantiscono ai malintenzionati spazi di manovra coperti. E rimane il problema di chi è chiamato da noi cittadini a "fare", a farle per davvero le cose utilizzando i soldi pubblici.
Si potrebbe cominciare intanto per diminuire drasticamente l'enorme torta che mettiamo nelle mani dello Stato, la spesa pubblica. E poi, semplificare prima, per concentrare più risorse ed energie a controllare - e a punire - successivamente. L'interesse pubblico è che l'opera sia effettivamente realizzata, in tempi e costi ragionevoli. Ma che sia realizzata, che ci sia qualcosa di tangibile. Quindi, si *deve* poter fare, rispettando poche e semplici regole, responsabilizzanti. Perché in questo modo, non appesantendo di costi il processo, possiamo investire più soldi in controlli a tappeto e più efficaci.
E' un contesto tipico italiano, quello delle commistioni tra politica e affari quando ci sono "torte" da spartire. La politica "maneggia" e crea "vie gelatinose", corsie privilegiate per permettere alle imprese "amiche" di aggiudicarsi succulenti appalti. Non è detto che in tutto questo si violino in modo dimostrabile le procedure o si prendano delle mazzette, perché il compenso reciproco di una rete clientelare va ben oltre qualche migliaio di euro, che al contrario sarebbe una pistola fumante pericolosamente vistosa.
Dov'è allora il problema? Che per colpire politicamente Berlusconi, finora rivelatosi immune agli attacchi frontali diretti contro la sua persona, si prendono di mira i suoi più stretti collaboratori, non si esita a sfregiare due innegabili successi della sua "politica del fare" - ma in realtà, per una volta, successi dello Stato - facendo credere alla gente che questo sistema «gelatinoso» può essere circoscritto alle emergenze gestite dalla Protezione civile - o può addirittura esserne il frutto - e non riguarda, invece, anche la normalità degli appalti pubblici in Italia. Un'operazione o ingenua, a voler pensar bene, o in malafede. Almeno per dovere di cronaca, ogni volta che si scrive o si parla di sistema «gelatinoso» bisognerebbe ricordare che si fa riferimento a un'espressione nata durante le conversazioni intercettate tra alcuni architetti e imprenditori convinti di aver partecipato a gare d'appalto pilotate da Veltroni e Rutelli. Non dico che ciò sia vero, dico solo che giornalisticamente è lì che nasce quel termine e andrebbe ricordato ogni volta che si pretende di associarlo a Bertolaso.
Credo che difficilmente si troveranno mazzette, ma il sistema esiste e chi vive e lavora a Roma sa bene come, *grazie a chi*, si lavora nell'ambito delle commesse pubbliche o dell'edilizia. E questo nella normalità, non nelle emergenze o nei cosiddetti "Grandi Eventi". Quindi, finiamola, per colpire Bertolaso - e tramite lui Berlusconi - di dire che la "gelatina" la producono le norme e procedure eccezionali di protezione civile, o il superego del suo capo.
Laddove si gestiscono torte enormi di denaro pubblico, guarda un po', si riescono a far lavorare le ditte amiche. In modi legali o ai limiti della legalità. Lo sanno tutti, facciamocene una ragione. Come tutelare la cittadinanza? Bisogna riconoscere - laicamente - che c'è un solo modo. Che non è quello di appesantire le procedure, nell'illusione che fatta la legge più severa non si trovi l'inganno. Anzi, più sono astruse e farraginose, più garantiscono ai malintenzionati spazi di manovra coperti. E rimane il problema di chi è chiamato da noi cittadini a "fare", a farle per davvero le cose utilizzando i soldi pubblici.
Si potrebbe cominciare intanto per diminuire drasticamente l'enorme torta che mettiamo nelle mani dello Stato, la spesa pubblica. E poi, semplificare prima, per concentrare più risorse ed energie a controllare - e a punire - successivamente. L'interesse pubblico è che l'opera sia effettivamente realizzata, in tempi e costi ragionevoli. Ma che sia realizzata, che ci sia qualcosa di tangibile. Quindi, si *deve* poter fare, rispettando poche e semplici regole, responsabilizzanti. Perché in questo modo, non appesantendo di costi il processo, possiamo investire più soldi in controlli a tappeto e più efficaci.
Tuesday, February 16, 2010
Uno tsunami di mistificazioni
Par condicio, «sistema gelatinoso», Protezione civile Spa, una mistificazione al giorno e centrodestra all'angolo
Più o meno mi pare sia andata così: un'inchiesta nata a Firenze tre anni fa su magagne fiorentine, versante Pd, di intercettazione in intercettazione (con il solito, discutibile metodo dello "strascico" o "a cascata", per cui finiscono intercettati i conoscenti dei conoscenti dei conoscenti, e così via, dell'intercettato iniziale) arriva a sfiorare Bertolaso, a torto o a ragione l'eroe, il simbolo di quel "governo del fare" tanto caro a Berlusconi, che può vantare tra i pochi successi fino ad ora interamente o quasi a lui ascrivibili le pronte risposte alle emergenze dell'Aquila e dei rifiuti in Campania, proprio grazie a Bertolaso. Visto che con il premier le hanno tentate tutte, senza scalfire il consenso di cui gode, provano a macchiare l'immagine di Bertolaso e della Protezione civile, "monumenti" viventi della "politica del fare" e del decisionismo di matrice berlusconiana.
Sui quattro arrestati in effetti c'è qualche indizio pesante, ma la sensazione è che Bertolaso sia stato tirato in mezzo letteralmente per i capelli, per dare in pasto all'opinione pubblica una figura di spicco, così da colpire il governo alla vigilia delle elezioni regionali, perché da soli gli arresti di Balducci e De Santis, uomini di Rutelli o al più trasversali, sarebbero passati quasi inosservati.
Tanto ci siamo assuefatti a questa giustizia politica e ad orologeria che un paio di particolari rischiano di sfuggirci. Prima di tutto, rimango convinto che non sia normale, e comunque non rassicurante sotto il profilo delle garanzie, che una procura proceda con arresti e avvisi di garanzia pur sapendo di essere territorialmente incompetente, tanto che il giorno dopo trasmette gli atti ad un'altra. Non so - e neanche il diretto interessato pare saperlo - se la parte di inchiesta riguardante Bertolaso rimarrà a Firenze o andrà a Perugia. Mentre lor signori si decidono, una conseguenza certa è che passerà del tempo - prezioso sia politicamente che personalmente - prima che Bertolaso possa vedere un giudice per provare a scrollarsi un po' di fango di dosso, come implora in questi giorni («Voglio essere sentito al più presto dai magistrati per chiarire e dimostrare la mia estraneità alle accuse. Il problema, però, è che ancora non si sa qual è la procura competente»).
Incredibile inoltre come i magistrati di Firenze, in collaborazione con i soliti gruppi editoriali e l'accoppiata Pd-IdV, il gatto e la volpe, siano riusciti a mettere in conto a Bertolaso e alla Protezione civile espressioni-chiave dell'inchiesta, come «sistema gelatinoso» e «cricca», che abbiamo letto sui giornali e sentito in tv a ripetizione in questi giorni. Ebbene, quanti sanno che tali espressioni emergono per la prima volta nelle intercettazioni a disposizione della procura di Firenze dal 2007, e che non si riferiscono a Bertolaso, né alla Protezione civile, ma a Veltroni e a Rutelli? Magari gli intercettati vaneggiavano, ma perché la «ripassata» con Francesca e il bikini di Monica escono subito sui giornali, e le intercettazioni in cui si parla degli appalti acchittati da Veltroni e Rutelli rimangono sepolte per quasi tre anni? E perché, quando escono, il «sistema gelatinoso» e la «cricca» diventano quelli di Bertolaso?
L'impressione è che anche stavolta l'ondata mediatico-giudiziaria si ritorcerà contro chi l'ha aizzata e cavalcata. Certo, forse riusciranno a mobilitare il popolo arrabbiato e frustrato della sinistra, ma otterranno anche l'effetto uguale e contrario, cioè di mobilitare il ben più compassato popolo di centrodestra, che com'è noto è solito snobbare le elezioni regionali e amministrative, a meno di una forte politicizzazione nazionale e una polarizzazione su Berlusconi.
Un altro effetto, più immediato, dell'attacco a Bertolaso è lo stralcio dal decreto emergenze della "Protezione civile servizi Spa", su cui governo e maggioranza hanno ceduto principalmente per le divisioni emerse al loro interno. Ma anche qui è andata in scena una gigantesca mistificazione che il centrodestra non ha saputo arginare sul piano della comunicazione. C'è voluto lo stesso Bertolaso, infatti, per spiegare che non si trattava di "privatizzare" la Protezione civile, come in malafede sostenevano le opposizioni e la solita stampa (di qualche ora fa l'ennesimo sondaggio), ma di affiancarle una struttura «aggiuntiva», «di servizio» appunto, «per rendere la Protezione civile, quella vera, più agile, più funzionale e più concentrata sulle vere attività di propria competenza».
Anzi, dirò di più. Proprio alla luce del rischio corruzione, che molti hanno evocato anche nella maggioranza per affondare la Spa, una società privata di servizi di cui la Protezione civile avrebbe potuto avvalersi come "general contractor" avrebbe offerto maggiori garanzie. Più agevole, infatti, tenere sotto controllo i costi avendo a che fare con un unico interlocutore e non con una miriade di gare pubbliche e ditte appaltatrici. Ma la possibilità di un dibattito nel merito è stata del tutto travolta dall'inchiesta e dalla malafede del circo politico-mediatico-giudiziario, esattamente come avvenuto sul regolamento della Vigilanza che ha esteso la par condicio ai talk show politici, e non li ha soppressi, come invece è stato ripetuto per giorni a reti unificate. Ma di questo ho già parlato.
Abbiamo assistito quindi, in questi giorni, oltre che alla solita giustizia politicizzata, al trionfo dell'ipocrisia e dell'arroganza: prima sulla par condicio; poi sulla Protezione civile. Si è approfittato dell'inchiesta che con tempismo perfetto ha coinvolto Bertolaso, e si è fatto leva demagogicamente su singoli episodi di corruzione, per scaricare la propria invidia politica contro quel poco che bene o male ha funzionato. Pur di ergersi a campioni di moralità pubblica quali non si è, ci si tiene aggrappati a procedure burocratiche a danno dell'efficienza e della rapidità d'azione (e in definitiva anche della trasparenza) che pure all'occasione si esigono eccome dalla Protezione civile e dal governo. D'altronde, per esempio, trattare come emergenze i "Grandi Eventi", per consentire alla Protezione civile di realizzare opere in tempi brevi, è stata una politica anche del governo Prodi, e dell'allora ministro Bersani, che oggi si finge scandalizzato.
Più o meno mi pare sia andata così: un'inchiesta nata a Firenze tre anni fa su magagne fiorentine, versante Pd, di intercettazione in intercettazione (con il solito, discutibile metodo dello "strascico" o "a cascata", per cui finiscono intercettati i conoscenti dei conoscenti dei conoscenti, e così via, dell'intercettato iniziale) arriva a sfiorare Bertolaso, a torto o a ragione l'eroe, il simbolo di quel "governo del fare" tanto caro a Berlusconi, che può vantare tra i pochi successi fino ad ora interamente o quasi a lui ascrivibili le pronte risposte alle emergenze dell'Aquila e dei rifiuti in Campania, proprio grazie a Bertolaso. Visto che con il premier le hanno tentate tutte, senza scalfire il consenso di cui gode, provano a macchiare l'immagine di Bertolaso e della Protezione civile, "monumenti" viventi della "politica del fare" e del decisionismo di matrice berlusconiana.
Sui quattro arrestati in effetti c'è qualche indizio pesante, ma la sensazione è che Bertolaso sia stato tirato in mezzo letteralmente per i capelli, per dare in pasto all'opinione pubblica una figura di spicco, così da colpire il governo alla vigilia delle elezioni regionali, perché da soli gli arresti di Balducci e De Santis, uomini di Rutelli o al più trasversali, sarebbero passati quasi inosservati.
Tanto ci siamo assuefatti a questa giustizia politica e ad orologeria che un paio di particolari rischiano di sfuggirci. Prima di tutto, rimango convinto che non sia normale, e comunque non rassicurante sotto il profilo delle garanzie, che una procura proceda con arresti e avvisi di garanzia pur sapendo di essere territorialmente incompetente, tanto che il giorno dopo trasmette gli atti ad un'altra. Non so - e neanche il diretto interessato pare saperlo - se la parte di inchiesta riguardante Bertolaso rimarrà a Firenze o andrà a Perugia. Mentre lor signori si decidono, una conseguenza certa è che passerà del tempo - prezioso sia politicamente che personalmente - prima che Bertolaso possa vedere un giudice per provare a scrollarsi un po' di fango di dosso, come implora in questi giorni («Voglio essere sentito al più presto dai magistrati per chiarire e dimostrare la mia estraneità alle accuse. Il problema, però, è che ancora non si sa qual è la procura competente»).
Incredibile inoltre come i magistrati di Firenze, in collaborazione con i soliti gruppi editoriali e l'accoppiata Pd-IdV, il gatto e la volpe, siano riusciti a mettere in conto a Bertolaso e alla Protezione civile espressioni-chiave dell'inchiesta, come «sistema gelatinoso» e «cricca», che abbiamo letto sui giornali e sentito in tv a ripetizione in questi giorni. Ebbene, quanti sanno che tali espressioni emergono per la prima volta nelle intercettazioni a disposizione della procura di Firenze dal 2007, e che non si riferiscono a Bertolaso, né alla Protezione civile, ma a Veltroni e a Rutelli? Magari gli intercettati vaneggiavano, ma perché la «ripassata» con Francesca e il bikini di Monica escono subito sui giornali, e le intercettazioni in cui si parla degli appalti acchittati da Veltroni e Rutelli rimangono sepolte per quasi tre anni? E perché, quando escono, il «sistema gelatinoso» e la «cricca» diventano quelli di Bertolaso?
L'impressione è che anche stavolta l'ondata mediatico-giudiziaria si ritorcerà contro chi l'ha aizzata e cavalcata. Certo, forse riusciranno a mobilitare il popolo arrabbiato e frustrato della sinistra, ma otterranno anche l'effetto uguale e contrario, cioè di mobilitare il ben più compassato popolo di centrodestra, che com'è noto è solito snobbare le elezioni regionali e amministrative, a meno di una forte politicizzazione nazionale e una polarizzazione su Berlusconi.
Un altro effetto, più immediato, dell'attacco a Bertolaso è lo stralcio dal decreto emergenze della "Protezione civile servizi Spa", su cui governo e maggioranza hanno ceduto principalmente per le divisioni emerse al loro interno. Ma anche qui è andata in scena una gigantesca mistificazione che il centrodestra non ha saputo arginare sul piano della comunicazione. C'è voluto lo stesso Bertolaso, infatti, per spiegare che non si trattava di "privatizzare" la Protezione civile, come in malafede sostenevano le opposizioni e la solita stampa (di qualche ora fa l'ennesimo sondaggio), ma di affiancarle una struttura «aggiuntiva», «di servizio» appunto, «per rendere la Protezione civile, quella vera, più agile, più funzionale e più concentrata sulle vere attività di propria competenza».
Anzi, dirò di più. Proprio alla luce del rischio corruzione, che molti hanno evocato anche nella maggioranza per affondare la Spa, una società privata di servizi di cui la Protezione civile avrebbe potuto avvalersi come "general contractor" avrebbe offerto maggiori garanzie. Più agevole, infatti, tenere sotto controllo i costi avendo a che fare con un unico interlocutore e non con una miriade di gare pubbliche e ditte appaltatrici. Ma la possibilità di un dibattito nel merito è stata del tutto travolta dall'inchiesta e dalla malafede del circo politico-mediatico-giudiziario, esattamente come avvenuto sul regolamento della Vigilanza che ha esteso la par condicio ai talk show politici, e non li ha soppressi, come invece è stato ripetuto per giorni a reti unificate. Ma di questo ho già parlato.
Abbiamo assistito quindi, in questi giorni, oltre che alla solita giustizia politicizzata, al trionfo dell'ipocrisia e dell'arroganza: prima sulla par condicio; poi sulla Protezione civile. Si è approfittato dell'inchiesta che con tempismo perfetto ha coinvolto Bertolaso, e si è fatto leva demagogicamente su singoli episodi di corruzione, per scaricare la propria invidia politica contro quel poco che bene o male ha funzionato. Pur di ergersi a campioni di moralità pubblica quali non si è, ci si tiene aggrappati a procedure burocratiche a danno dell'efficienza e della rapidità d'azione (e in definitiva anche della trasparenza) che pure all'occasione si esigono eccome dalla Protezione civile e dal governo. D'altronde, per esempio, trattare come emergenze i "Grandi Eventi", per consentire alla Protezione civile di realizzare opere in tempi brevi, è stata una politica anche del governo Prodi, e dell'allora ministro Bersani, che oggi si finge scandalizzato.
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