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Wednesday, September 13, 2006

«Il socialismo è morto». Corso di recupero per partiti in ritardo con la storia

Capirete la piccola soddisfazione che mi sono tolto a leggere le considerazioni di Anthony Giddens (la Repubblica, 29 agosto), uno dei maggiori teorici del blairismo: «Il socialismo è morto. La data precisa del decesso è nota - il 1989 - ma già da tempo la sua salute era malferma».

Quella sentenza lapidaria («Il socialismo è morto») la ritrovate in articoli, lettere e post che vado scrivendo da un anno a questa parte, cercando di contribuire al dibattito sul nuovo soggetto politico che vede insieme Radicali e socialisti dello Sdi.

Nel settembre 2005 su L'Opinione, e su Notizie Radicali, scrivevo che «costruire un'"alternativa liberale" a sinistra significa innanzitutto essere consapevoli che se il socialismo reale è morto, ha fallito, anche la socialdemocrazia, che per anni ha rappresentato un modello di sviluppo e benessere per le società europee, ha esaurito ormai da anni il suo compito storico. Oggi non si può essere "di sinistra" senza dirsi con convinzione liberali e senza abbracciare pienamente il libero mercato. Certo, recuperando la memoria di quelle storie umane e politiche che rappresentano i pochi "frutti liberali" del socialismo italiano».

Dall'ottobre 2005, in questo post, e poi via via in lettere al Riformista e, più di recente, in questo articolo su LibMagazine, e ancora in «appunti di viaggio» per la Rosa nel Pugno, su Notizie Radicali, ampliavo il concetto:
«Caduto il Muro di Berlino, finito il socialismo reale in Europa, anche la socialdemocrazia ha esaurito il suo compito storico. Per anni ha assicurato sviluppo e benessere alle società europee, ma i costi del suo modello di welfare sono incompatibili con la crescita economica e la corporativizzazione dello stato sociale ha messo in discussione libertà individuali e conquiste fondamentali dello stato di diritto. Se nel secolo scorso il costruttivismo ha sequestrato la sinistra, casa naturale delle istanze di libertà, e le socialdemocrazie ne hanno occupato lo spazio politico nei parlamenti democratici, oggi si presenta un'occasione unica per ricondurre la cultura liberale nel suo alveo naturale: a sinistra rispetto a un polo conservatore. Innesto finora vissuto con successo solo dalla sinistra britannica. A liberali e socialisti però, nel non concedere spazio a rigurgiti statalisti e costruttivisti, sta l'onere della prova...»
A molti queste considerazioni suoneranno persino ovvie, ma per altri rappresentano un'utile doccia gelata per risvegliare gli intorpiditi "sensi della politica".

Il «socialismo rivoluzionario», quello "reale", osserva Giddens, «è scomparso quasi senza lasciare traccia». Non servono contorte analisi o alibi raffazzonati per farsene una ragione. «La stessa idea di un superamento del capitalismo attraverso una rivoluzione politica laica è quasi del tutto scomparsa... Perché l'idea centrale che ha fatto da propulsore al socialismo rivoluzionario, la nozione alla base della definizione stessa del socialismo - l'idea cioè che un'economia controllata e rispondente ai bisogni umani possa sostituirsi ai meccanismi dei prezzi e del profitto - una volta messa alla prova, è fallita dovunque». Semplice: non che fosse stata male applicata, «era un'idea sbagliata».

I più svegli se n'erano accorti leggendo von Mises in "Gemeinwirtschaft" e "Kritik des Interventismus" (1919) e poi Hayek negli anni '30.

Anche il «socialismo riformista», che «ha creduto in un'economia mista», ritenendo possibile «imbrigliare le irrazionalità del capitalismo riservando allo Stato un ruolo parziale nella vita economica» - "compromesso" che nel secondo dopoguerra «era sembrato in grado di funzionare» più grazie alla teoria economica di un liberale, John Maynard Keynes, che al socialismo - ebbene «anche questo tipo di socialismo [è] morto». Il socialismo è morto, dunque, senza eccezioni. «Il più delle volte, lo stato ha dimostrato la sua inadeguatezza nella conduzione diretta delle imprese. D'altra parte, la gestione della domanda in senso keynesiano ormai non è più efficace, e può anzi diventare controproducente nel contesto di un mercato globale».

«Cosa resta della sinistra?», si chiede allora Giddens. La sinistra è sopravvissuta, con i suoi valori, alla fine del socialismo. Tuttavia, oggi «non può più definirsi semplicemente negli stessi termini del socialismo d'un tempo, come la via per limitare i danni inflitti dai mercati alla vita sociale». I mercati hanno bisogno di regole che li facciano funzionare. Hanno bisogno di espandersi, di liberalizzazione del mercato del lavoro, le cui bardature corporative e stataliste oggi sono d'ostacolo alla causa della giustizia sociale.

La sinistra «non può più definirsi in contrapposizione alle riforme del welfare». Dalla logica assistenzialista deve passare a quella dell'investimento: «In un'era di libertà individuali e di aspirazioni sempre maggiori, dobbiamo investire nelle persone per aiutarle ad aiutarsi da sé».

Tutta una serie di tabù deve essere superata: «Non è di destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale rappresentano un grave problema» per i cittadini, soprattutto i meno abbienti; «non è di destra sostenere che l'immigrazione dovrebbe essere controllata, o chiedere agli immigrati di farsi carico di una serie di responsabilità civili»; «non è di destra cercare di dare risposte efficaci al terrorismo». Le nuove minacce «non sono paragonabili» a quelle delle Brigate rosse, dell'IRA o dell'ETA. Il terrorismo islamista è «potenzialmente di gran lunga più letale» e «il diritto di sentirsi al sicuro dalla violenza terroristica è di per sé una libertà importante, che va ponderata rispetto alle altre».

La Repubblica ha pubblicato l'articolo di Giddens come provocazione diretta ai riottosi, tra i Ds, all'idea del partito democratico, innescando in realtà sui giornali - ed è significativo - un dibattito sul socialismo, dove non sono mancate voci sarcastiche che hanno inteso snobbare gli argomenti di Giddens, come se fossero ormai dati scontati della realtà della sinistra italiana.

Credo che invece la sinistra, a cominciare dai Ds e dallo Sdi di Boselli, per non parlare della sinistra vetero-comunista e reazionaria, non abbia ancora metabolizzato che, appunto, «il socialismo è morto». A rivelarlo sono le policies dei diversi partiti chiamati a raccogliere l'eredità socialista o, meglio, le loro arretratezze e inadeguatezze culturali. Le difficoltà nell'accettare autentiche politiche di liberalizzazione in economia. Gli ostinati pregiudizi verso riforme che introducano merito e concorrenza nella scuola e nell'università. La conservazione di assetti statalisti, e onerosi per le casse dello Stato, in settori quali il pubblico impiego, la sanità e le pensioni. Le ambiguità su temi come la sicurezza e la guerra al terrorismo. L'approccio, in politica estera, verso gli Stati Uniti e Israele.

Dunque, anche se a qualcuno può sembrare stucchevole, a oltre 15 anni dal decesso, annunciare la morte del socialismo ha ancora un senso per una sinistra italiana affetta dall'incorreggibile vizio di apprendere con decenni di ritardo le lezioni della storia.

7 comments:

Anonymous said...

(Quasi) tutto vero quello che dici, Jim. Il problema è che il centrosinistra italiano è molto più "socialista reale" di quanto non sia liberale. E la parola "molto" è un eufemismo....
La mentalità degl eletti, che francamente rispecchia quella degli elettori di sinistra, è profondamente comunistoide: assistenzialismo, pacifismo idiota, antiamericansimo, antimercatismo, anticapitalismo, invidia sociale, sono fra i tratti caratteristici della persona di sinistra in Italia.
La persona di centrodestra, nella maggior parte dei casi più avanti degli eletti del cdx, è l'esatto opposto, in misura fortemente simile a quanto auspichi tu per la sinistra. Insomma, per farla breve, la mentalità liberale, occidentale, capitalista fa parte del bagaglio del centrodestra. Ecco perchè io (e penso come me tanti altri) non riesco ancora a capire l'ostinazione nel volersi trovare d'accordo con chi non lo sarà mai.

Anonymous said...

una delle cose divertenti di quel dibattito è che ha fatto uscire fuori un "orgoglio socialista" e mentre vecchiettini da anni facenti parti dell'elité danzavano su macabre marce , appassionati senza potere sotto i trent'anni difendevano il socialismo e la sua ragione di vita.

se il socialismo è morto , è morto nei cuori e nelle mente di quelle persone al potere e i risultati si vedono.


ma è morto il socialismo?

qualcuno ha visto il cadevere?

a me pare che oggi più che mai vi sia bisogno di un 'attività politica che si presenti come area sociale delle democrazie liberali (quindi come redistribuzione di ricchezza all'interno del Sistema) e dall'altro che tenda a superare i limiti di questo Sistema , che inutile dirlo, segrega milioni di persone in condizioni indicibili (moltissime nei Paesi sottosviluppati, sempre di più nei Paesi sviluppati)

w il socialismo

Anonymous said...

La mia domanda è solo questa: il nostro Paese ha il tempo materiale per aspettare che le sinistre nostrane si rendano conto che il "socialism" è morto? Ed ha il tempo materiale perchè le nostre destre si rendano conto che il liberalismo è l'unica strada e non ammette deviazioni?

Anonymous said...

Camillo lo scrive già da anni:

"Christian Rocca

La Sinistra. Che pena.

Si credono i Migliori, superiori antropologicamente, ma sono il peggio di questo paese, peggiori degli incapaci al governo.
Sono sempre stati dalla parte sbagliata, hanno sostenuto i carri armati sovietici, gli sgozzatori vietcong, i genocidi Khmer rossi, le rivoluzioni culturali cinesi, le esecuzioni castriste, i terroristi palestinesi, i terzomondisti assassini, gli affamatori dei popoli. Erano contrari alla Nato, all'Europa, all'America, finanche alle autostrade e alla tv a colori, credevano che il divorzio fosse una sovrastruttura borghese.
Sono stati il fattore di conservazione della società italiana, dalle loro idee è nato il partito armato rivoluzionario che ha insanguinato l'Italia negli anni Settanta e Ottanta e Novanta e fino a Biagi e D'Antona.
Hanno creato, con la Dc, il debito pubblico italiano (l'80 per cento delle leggi di spesa italiane ha avuto il voto del Pci).
Hanno sempre sostenuto le leggi speciali di polizia, i teoremi giudiziari, le manette e il carcere come strumenti di lotta politica, a Padova, come a Palermo, come a Milano.
Non ne hanno mai azzeccata una, non dicono"beh, forse in quell'occasione ci siamo sbagliati", piuttosto cancellano, rimuovono e, contemporaneamente, rivendicano quella tradizione.
(C'è un'eccezione: Fassino, di recente, ha riconosciuto, venti anni dopo, che Berlinguer aveva torto - ma allora non lo disse).
La cosa grave è che c'è ancora qualcuno che li segue, che crede siano seri, che ci casca, che cade vittima della loro arrogante sicumera di essere, nonostante tutte le balle e gli orrori che hanno propagandato, i Migliori. Maddeche?

La regola dei venti anni.

L'anno scorso Piero Fassino, a distanza di venti anni, riconobbe che tra Craxi e Berlinguer aveva ragione Craxi. Ora tocca a D'Alema.
Nel suo nuovo libro svela che tra loro comunisti, ai tempi, ne dicevano di cotte e di crude del comunismo, e dei sovietici tutto il male possibile. Chissà perché se lo tenevano per loro e alle masse popolari non dicevano niente... Bah. Se avessero creduto alle idiozie che propagandavano sarebbe stato meno grave. Invece non ci credevano e prendevano in giro i militonti.
D'Alema ricorda che Berlinguer gli diceva che i dirigenti del comunismo reale "mentono, sempre, anche quando non sarebbe necessario". Nel comunismo all'italiana, invece, dicono la verità soltanto venti anni dopo. Aspettiamo con ansia le prossime pubblicazioni:
a) un libro di Violante che riabilita Sciascia e la polemica sull'antimafia (uscita prevista 2007);
b) un libro di Achille Occhetto sul 1993 "in realtà Di Pietro e io eravamo alleati" (libro + lista alle europee nel 2013);
c) un libro di Veltroni su "sbagliammo a votare no alla prima guerra del golfo, ora lo dicono anche Kerry Kennedy e Keith Jarrett" (uscita prevista 2011);
d) un saggio di D'Alema su "Mediaset, in realtà, era una risorsa della democrazia" (no, questa l'ha già fatta);
e) un libro di Folena su "i resistenti iracheni erano una sòla" (uscita prevista 2024);
f) un libro della Melandri su "Tremonti aveva ragione, non voleva affamare gli italiani ma riformare l'ingiusto sistema pensionistico" (uscita prevista 2016);
f) un altro libro di Veltroni dal titolo "Io, patrizio" su quell'insopportabile aristocratico e riccastro, un patrizio appunto, di John Kerry" (uscita 2024)."

Anonymous said...

L'hai sentito De Mita intervistato da Polito?
"La politica è il governo intelligente degli eventi".
"Invece di esportare l'Inghilterra qui da noi, perchè non vi chiedete le ragioni storiche e sociali della frammentazione politica italiana?"

ecc... ecc...

Anonymous said...

"... La Repubblica ha pubblicato l'articolo di Giddens come provocazione diretta ai riottosi, tra i Ds, all'idea del partito democratico..."

riottosi tra i Ds... qualche riferimento al neodirettore del tg1?

e questa sarebbe la sinistra dell'innovazione blairiana?

Anonymous said...

Troppo troppo facile questa analisi sulla morte del socialismo. C'è il rischio, attuale, che sotto questo postulato si celi comunque l'intervento dello Stato. Possiamo anche cambiare nome al Socialismo per ragioni di marketing e propaganda, ma rimane sempre un'entità che si oppone al liberalismo: lo statalismo/assistenzialismo.
Se rileggi la teoria socialista e anche quella comunista troverai tante istanze di libertà individuali, giustizia sociale e altri temi cari ai liberali. Ma come questi si sono tradotti? Lo sappiamo bene.
Che, poi, il fatto che il Socialismo o il post socialismo siano morti in Italia cozza con l'attualità: vedi caso Telecom ad esempio.
Certo, il liberalismo ha vinto e ha trasformato la società, ma c'è ancora tanto da fare, soprattutto nel nostro paese.
Se vuoi che la sinistra abbracci le idee liberali, va benissimo. Sarà l'ennesima vittoria dei liberali.