Il nuovo numero di LibMagazine è on line. Si tratta di una "Summer Edition". Un numero ricco prima della sospensione delle pubblicazioni per l'intero mese di agosto. In apertura l'importante contributo di Emanuele Ottolenghi sul Medio Oriente (in lingua inglese): "Arab freedom can be delayed, not denied".
Irriverente la letterina di Carlo Menegante: «Caro Direttore, il sito dei Radicali Italiani riportava la seguente nota: "La Bonino ha spiegato che renderà note domani le motivazione della sua discesa in campo: il ministro non vuol sentire parlare di ticket o di tandem e ha chiesto ai radicali di trovare una formula innovativa". Io la vedrei bene nel ruolo di badante».
Di seguito, invece, il mio articolo:
Francesco Rutelli, sulle pagine del Corriere della Sera, si chiede se la sinistra massimalista voglia «concorrere a governare il Paese», oppure preferisca «sventolare le sue bandiere». La domanda è mal posta, perché i massimalisti hanno già risposto: vogliono concorrere a governare, ovviamente, ma deviando l'azione di governo nel loro solco ideologico. A questo punto spetta ai cosiddetti "riformisti", ai promotori del Partito democratico, dare una risposta e agire di conseguenza: quale modello di società hanno in mente per il futuro del nostro Paese? E' il medesimo al quale si rifanno i massimalisti? Le divergenze riguardano solo il gradualismo, i tempi e i modi di realizzazione, oppure la meta, e quindi la direzione di marcia, sono diverse, alternative incompatibili?
Consapevole che «la rendita anti-Berlusconi è finita», Rutelli avverte che il Pd «non può essere una sorta di "piccola Unione", né un campionario delle culture "ex"» (Dc e Pci). E «che facciamo a fare il Partito democratico», si chiede, se dovrà subire i «ricatti delle minoranze»? Il vicepremier parla quindi di «alleanze di nuovo conio»: alleati e alleanze d'ora in poi «li scegliamo noi». Rutelli sembra intenzionato a voler mettere finalmente in discussione il tabù del patto politico-elettorale con l'estrema sinistra (Rifondazione, Pdci, forse Verdi), delineando la prospettiva di un Partito democratico che si presenti davanti agli elettori come forza capace di assumere autonomamente le responsabilità del governo.
Chissà cosa ne pensa Walter Veltroni, che lo stesso Rutelli appoggia come candidato leader del Pd. Nel suo discorso di candidatura il sindaco di Roma aveva attribuito al nascente partito «un'ambizione, al tempo stesso, non autosufficiente ma maggioritaria». Non autosufficiente e maggioritario, all'interno del centrosinistra, è già l'Ulivo e ne sperimentiamo giorno dopo giorno i disastrosi risultati.
Su LibMagazine lo avevamo scritto (3 luglio 2007): a due condizioni il Partito democratico può rappresentare davvero una novità nel sistema politico italiano. Innanzitutto, serve una legge elettorale che assecondi la naturale «vocazione maggioritaria» del Pd. Tuttavia, né la candidatura di Veltroni, con la sua «democrazia che decide», né il rutelliano "manifesto dei coraggiosi", né i buoni propositi, e gli echi blairiani, al di là di concretezze e vaghezze programmatiche, saranno credibili se nessuno annuncerà l'essenziale, quella "rottura" senza la quale non ci può essere vero Partito democratico: che non farà alleanze elettorali con la sinistra comunista e massimalista. Che fine faranno le migliori, più moderne e liberali idee per il Paese – che pure stentano, se non latitano – se ai propri peggiori "alleati" e ai sindacati si concederà di nuovo di esercitare un potere di veto sull'azione di governo? Si tratterebbe della riesumazione, con diverso nome, dell'Ulivo, con tutti i suoi problemi di ingovernabilità.
Il Partito democratico, ha osservato Stefano Folli, «ha bisogno di presentarsi all'opinione pubblica libero da ipoteche». Data per scontata in ossequio al mito dell'unità della sinistra, l'alleanza con le forze comuniste e massimaliste non solo svolge una funzione di blocco conservatore, ma fornisce anche un comodo alibi ai riformisti, che dietro le intransigenze degli alleati nascondono all'opinione pubblica anche le proprie inadeguatezze e la loro cronica incapacità di decidere.
Un partito «disposto ad attraversare il deserto», come l'ha definito Bersani, è un partito disposto a perdere le elezioni e a stare all'opposizione pur di presentare agli elettori un progetto di governo credibile, non alterato dalle tinte ideologiche della sinistra comunista.
L'idea di una politica «ad alta velocità» al posto di una politica che non decide è alla base del network Decidere.net, nato su iniziativa di Daniele Capezzone e altri promotori per sollecitare la politica a decidere su alcune riforme che vanno nella direzione della società della scelta, del superamento dell'obsoleto, anacronistico spartiacque ideologico tra destra e sinistra, di una maggiore equità nell'unico modo in cui oggi essa è realizzabile: con maggiore libertà.
Credendo nel bipolarismo, i promotori di Decidere.net sceglieranno da che parte stare, ma lo faranno sulla base delle risposte che riceveranno dal centrodestra e dal centrosinistra sui 13 "cantieri" che hanno aperto. Immaginata da Rutelli con il riferimento ad «alleanze di nuovo conio», la "rottura" strategica del Pd con i partiti comunisti e massimalisti, in quanto condizione necessaria per una sinistra di governo capace di "decidere", sarebbe anche il presupposto per un eventuale "contratto" del network Decidere.net con essa.
Quelle proposte da Decidere.net sono riforme radicali, perché puntano a una profonda trasformazione; ma moderate, perché praticabili e ragionevoli. Per esempio, portare gradualmente l'età pensionabile a 65 anni per uomini e donne, e con le risorse risparmiate realizzare una vera rete di ammortizzatori sociali, sostituendo i miseri strumenti esistenti (che tutelano 17 lavoratori licenziati su 100) con un ammortizzatore universale di un anno secondo la logica del welfare-to-work; abolire il sostituto d'imposta per i lavoratori dipendenti; superare gli ordini professionali, per rendere più aperto l'accesso alle professioni; ridurre il tragico deficit di meritocrazia, vissuto oggi sulla propria pelle da coloro che fanno tutti i giorni il proprio dovere, ma non hanno una rete di relazioni che li sostiene e li protegge (dal lavoratore flessibile che produce dieci volte il nullafacente inamovibile, agli studenti che pagano per un'istruzione scadente mentre i figli dei ricchi vengono spediti negli Stati Uniti o sistemati nelle aziende di famiglia).
Si tratta di riforme che rispondono a grandi questioni sociali, che investono milioni di persone, da affrontare nell'unico modo possibile per una sinistra moderna e liberale: convincendosi sinceramente che il capitalismo non è un male necessario da sopportare e da correggere, ma una forza positiva senza la quale non sono realizzabili benessere e giustizia sociale; colpendo la società corporativa e di casta a vantaggio della mobilità sociale; guardando ai veri deboli della nostra società, quelli che pagano i costi di mantenimento dei privilegiati, protetti da partiti e sindacati che frustrano il merito, deprimono l'impresa, bloccano l'accesso al lavoro più qualificato e professionale; rivolgendosi al ceto produttivo, fatto di imprenditori e lavoratori, per liberarlo dalle catene dei burocrati e dei parassiti, e agli outsider, gli esclusi e i non garantiti, per farli rientrare in gioco, con merito e responsabilità.
Se a determinare le differenze sociali, il successo o l'insuccesso dei singoli e delle imprese, non è il merito – il più democratico, il più liberale, e il più rispettoso dell'individuo tra i fattori di disuguaglianza, posto che la disuguaglianza è un dato ineliminabile nelle società umane – saranno in modo più odioso il censo, le clientele, le amicizie politiche, i privilegi corporativi. I mercati hanno bisogno di concorrenza e di regole che li facciano funzionare secondo le dinamiche del profitto; hanno bisogno di espandersi, di liberalizzazioni del mercato del lavoro, le cui bardature corporative e stataliste sono d'ostacolo alla causa dell'equità.
In un'epoca di consapevolezza e di aspirazioni di libertà individuali sempre maggiori, e di competizione globale, occorre investire nelle persone per "aiutarle ad aiutarsi da sé". Gli obiettivi di crescita economica, mobilità sociale, e servizi di qualità, richiedono il concetto blairiano dell'"Enabling State". Lo Stato che abilita, accresce le facoltà e le opportunità degli individui secondo l'inscindibile binomio libertà/responsabilità e rende i cittadini capaci di scegliere e decidere in proprio, senza padrini né tutori. "Possiamo creare delle opportunità, ma non possiamo gestire le vite o gli affari delle persone", è la chiave con cui Tony Blair ha aperto alla sinistra le porte del XXI secolo.
Riconoscere il valore sociale della responsabilità individuale e della ricerca del successo personale come migliori strumenti del successo collettivo della nazione, e rispondere alle esigenze dei ceti medi e produttivi, a quel centro pragmatico dell'elettorato per il quale non importa definire se una politica sia "di destra" o "di sinistra", basta che funzioni, che generi benessere e dinamismo, sono due delle lezioni più importanti del blairismo, sulle quali Decidere.net, con i suoi 13 "cantieri" aperti, invita Rutelli, i "coraggiosi", e quanti nel Pd sono alla ricerca di «alleanze di nuovo conio», a riflettere.
3 comments:
Troppo gentile
:-)
mi sbaglierò, ma Rutelli è quanto di più furbo e finto nuovo ci possa essere...
mi domando, ma non ne so molto, se in realtà, oggi assai sottovalutato, uno che stia davvero provando a fare politica innovativa non sia G.Fini...
Jim che ne pensi?
Ma senza la restituzione del voto di preferenza che cazzo di democrazia è?
Che cazzo di rinnovamento di classe politica può esserci?
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