Gli elettori hanno votato il berlusconismo, non il tremontismo
Il Corriere della Sera riferisce di un «colloquio tesissimo» tra Berlusconi e Tremonti: «O la linea europea, quella del rigore e della ragionevolezza sui conti pubblici, o quella della spesa», sarebbe l'aut aut del ministro. Ma davvero un taglio delle tasse è incompatibile con una linea di «rigore e ragionevolezza sui conti pubblici»? Davvero un taglio delle tasse non si può che finanziare in deficit, oppure presterebbe una buona occasione anche per sforbiciare propria la spesa? La «graduale riduzione dell'Irap fino alla sua soppressione» è nel programma di governo e sfido chiunque a sostenere che con i livelli attuali di spesa pubblica e spreco il taglio dell'Irap determinerebbe inesorabilmente più deficit. No, c'è anche l'opzione di ridurre gradualmente l'Irap tagliando qualche spesa di troppo con qualche riforma. Questione di volontà politica. Non una cura shock, thatcheriana, quindi, ma soft. Non si capisce perché, rispetto a un'ipotesi così moderata, Tremonti arrivi a minacciare le dimissioni.
Parli chiaramente, il ministro, denunci pubblicamente il partito della spesa e faccia i nomi di chi c'è dietro, ma a chi gli dice - e sono tanti - giù le tasse e giù la spesa, dica "sì". «Giù le tasse, ma giù anche le spese», si conclude l'editoriale di oggi del Sole 24 Ore, affidato a Guido Gentili. E anche Francesco Forte, su il Giornale, parla di «doppio compito» per Berlusconi, quello di «attuare la promessa di rivoluzione fiscale», ma anche quello di «assicurare la tenuta della finanza pubblica italiana e la sua credibilità internazionale», e propone una sua ricetta, che prevede, tra l'altro, riforma delle pensioni Cazzola-Della Vedova e privatizzazioni. Per il taglio dell'Irap, quindi, tutti concordano che servirebbero altrettanti tagli di spesa pubblica. E le aree dove intervenire abbondano. A questo punto una scelta va fatta: o una stabilità sociale di cui però in pochi, e sempre i soliti, si avvantaggiano; o una crescita più sostenuta che potrebbe favorire molti (creando risorse per riformare il welfare).
Tenendo in considerazione, poi, che con la stabilità il debito pubblico si può al massimo contenere, ma a meno di non voler aumentare le tasse ai soliti noti che le pagano (magari ritrovandosi per le mani un gettito deludente), l'unico modo per uscirne è con più crescita, come ricorda giustamente Francesco Giavazzi nel suo editoriale di oggi sul Corriere. Cominciare riducendo l'Irap è un buon punto di partenza, perché si tratta di un'imposta che colpisce le attività produttive: e si badi bene, non solo le imprese, ma anche lavoratori e occupazione. L'Irap è una tassa suicida perché anziché premiare la produzione e il lavoro, li punisce. E bisogna inoltre considerare che il mondo produttivo tedesco con tutta probabilità usufruirà di un consistente taglio di tasse, nelle intenzioni del nuovo governo democristiano-liberale di Angela Merkel (forse per una cifra che supera il gettito della nostra Irap: 50 miliardi).
Quella che Giavazzi definisce una «minoranza mal sopportata» finora all'interno del governo, tra cui i ministri Gelmini e Brunetta, non ha preferito la stabilità alle riforme, e gode comunque di ampia popolarità, soprattutto nel Pdl e tra gli elettori di centrodestra, quelli che ti consentono di vincere le elezioni. Ma in conclusione, condivido l'appello di Feltri: «Ora giù le tasse, ma salvate Tremonti». Anche se un paio di differenze, rispetto al 2004, quando il ministro fu costretto alle dimissioni, ci sono: Fini non è al governo e l'Udc non fa parte della maggioranza. Anche il quotidiano di Confindustria, pur favorevole a tagliare le tasse, tuttavia non ce l'ha con Tremonti. Oggi Guido Gentili scrive che «non c'è spazio né per restare fermi né per bruciare, oltre il sostegno decisivo della Lega Nord, la credibilità internazionale che Tremonti ha costruito in questa fase di crisi difficilissima».
Stavolta anche Stefano Folli mi pare interpreti bene quando scrive «nessuna sfiducia a Tremonti, ma da Berlusconi viene un preciso segnale». Per quanto sia "intoccabile", e per quanto il premier non voglia effettivamente privarsi di lui, è Palazzo Chigi «che decide la rotta». Il premier lo ha ricordato e Tremonti dovrebbe accettarlo. Gli elettori hanno votato il berlusconismo, non il tremontismo.
Per favore, quindi, il ministro dell'Economia la smetta di raccontarci che non c'è spazio per ridurre le tasse (ridurle facendo quadrare i conti è il suo mestiere), e lui e quello del Welfare non insistano sul fatto che il nostro modello è il migliore del mondo. Così facendo, anzi, non si accorgono di sminuire il loro operato durante la crisi. Se verso l'uscita del tunnel siamo ancora in piedi (conti pubblici entro limiti accettabili, disoccupazione sotto la media Ue), è anche per merito della responsabilità fiscale di Tremonti e Sacconi, ma certo non di un modello socio-economico fatto di elevata spesa pubblica ed elevata tassazione, e di cassa integrazione, che va riformato.
E' proprio questo il momento migliore per affrontare la questione fiscale e tentare di dare slancio alla nostra ripresa.
1 comment:
Io sospetto che i tagli finirebbero invece per svantaggiare un po' tutti senza peraltro intaccare i soliti. Insomma, se sono sempre i soliti e mica da ieri, significherà pure che, per una ragione o un'altra, quelli è meglio non toccarli, no? Altrimenti l'avrebbero già fatto.
La morale della favola è che non si possono fare le riforme con le elezioni in testa. Meglio la monarchia, dovendo scegliere.
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