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Thursday, October 29, 2009

In quale Italia vogliamo vivere

Due interessanti analisi sul Sole 24 Ore di oggi, purtroppo non on line. Roberto Perotti è scettico sui tagli fiscali, perché non si parla di tagli alla spesa, e in queste condizioni potrebbe aver ragione Tremonti a resistere:
«Che ci piaccia o no, finché non si affronta l'argomento di una spesa pubblica vicina al 50% del Pil, qualsiasi taglio alle tasse che si riuscisse realisticamente ad attuare sarà sempre una goccia nel mare».
E' quanto temeva giorni fa il Wall Street Journal, in un editoriale dedicato al nostro Paese: un taglio fiscale non sufficiente a stimolare una crescita più sostenuta, ma abbastanza grande da mettere a rischio i conti. Alberto Alesina e Pietro Ichino contestano il modello social-conservative tremontiano, che riconoscono essere fondato, coerente e attraente, ma la sua vera forza è che non ci accorgiamo di quanto sia costoso e inefficiente.
«La gente vuole sicurezza e, aggiungiamo noi, vota chi promette sicurezza senza evidenziarne i costi, un particolare che sicuramente non sfugge al ministro Tremonti. Facendo un paragone con gli Stati Uniti, è qualcosa di simile a quella visione della destra repubblicana vicina alla religious right del Sud e della Bible belt del Centro, che si contende la direzione di quel partito con la destra liberista e pro-mercato dei repubblicani del Nord-Est. L'analogo di questi ultimi in Italia, se esiste nel centro-destra, non riesce a farsi valere e preferisce vivere della luce riflessa del ministro dell'Economia.
(...)
Il piccolo mondo antico tremontiano offre certamente anche benefici economici non trascurabili... ma costi molto alti. La coesione familiare riduce la fiducia verso il mondo esterno alla famiglia, diminuendo anche l'attenzione verso il bene pubblico e quindi il "capitale sociale". La mancanza di mobilità geografica e sociale ostacola la meritocrazia e la concorrenza fra persone e imprese. La conseguenza è una minore produttività che si traduce in salari e profitti più bassi.
(...)
Non è solo un problema di competitività ed efficienza, è anche un problema di equità. Il posto fisso è tale per una minoranza a esclusione di molti altri, donne, giovani, precari. I pochi che lavorano nel mercato sostengono, con le loro imposte, i tanti che non lavorano. Quindi il posto è sì fisso, ma il salario al netto delle imposte è basso. Non solo, ma, se pochi lavorano, poco si produce e poco rimane da dividere, quindi il reddito pro capite è scarso.
(...)
Questo assetto sociale, che produce tanto attraverso le famiglie ma protegge pochi a scapito di molti e spreca talenti scoraggiando la propensione al rischio e alla competizione, ha quindi dei vantaggi ma costa caro, molto caro. Siamo disposti a pagarne il prezzo? Se la risposta è si, allora smettiamo di lamentarci se il reddito degli italiani scende relativamente a quello di altri paesi e accontentiamoci della tranquillità, un po' mediocre ma rassicurante, del ritorno al passato».

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