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Tuesday, October 06, 2009

Ascoltare i generali, i siluri di Kissinger a Biden e Obama

Con tutto il rispetto per il presidente Obama, che si trova di fronte a un autentico dilemma politico, Henry Kissinger un paio di siluri li lancia nell'analisi comparsa venerdì scorso sul sito di Newsweek, e tradotta ieri da La Stampa. Tre le opzioni in Afghanistan: continuare con il dispiegamento attuale, il che significherebbe però abbandonare la strategia proposta da McChrystal e sostenuta da Petraeus e verrebbe interpretato come il «primo passo del ritiro»; diminuire il contingente optando per una ulteriore nuova strategia, quella sostenuta dal vicepresidente Joe Biden; aumentare le truppe con una strategia che si concentri sulla sicurezza della popolazione. Kissinger è favorevole a questa terza soluzione, ma coinvolgendo diplomaticamente «i potenti vicini» dell'Afghanistan.

Con il primo "siluro" Kissinger ridicolizza le tesi del vicepresidente Biden. La nuova strategia che sostiene «ridurrebbe la missione essenzialmente all'antiterrorismo rinunciando all'impegno anti-guerriglia, con l'argomento che l'obiettivo strategico per l'America è impedire che l'Afghanistan torni a essere una base del terrorismo internazionale. Quindi, la sconfitta di Al Qaeda e della jihad sarebbe una priorità dominante». Dal momento che i talebani rappresenterebbero solo una minaccia locale, e non globale. Alla base c'è la convinzione che i talebani e Al Qaeda abbiano diversi interessi strategici. «Un negoziato con loro isolerebbe Al Qaeda e porterebbe alla sua sconfitta, in cambio non verrebbe sfidata la presa dei talebani sul governo del Paese».

E' una teoria che però a Kissinger sembra «troppo contorta»: «Sono stati proprio i talebani a fornire le basi per Al Qaeda. E' improbabile riuscire a separarli precisamente dal punto di vista geografico. Ciò implicherebbe anche la divisione dell'Afghanistan lungo linee funzionali, poiché è altamente improbabile che le azioni civili su cui si basano le nostre politiche possano essere poste in atto in aree controllate dai talebani. Perfino i cosiddetti realisti, come me, riderebbero di una tacita cooperazione degli Usa con i talebani al governo in Afghanistan».

Non ha preso posizione esplicitamente, ma da quanto ha fatto intendere in un'intervista alla CNN di oggi, neanche il segretario alla Difesa, Robert Gates, sembra d'accordo con le tesi di Biden. Per Gates i destini dei talebani e di al Qaeda sono strettamente legati: se i talebani dovessero prendere il controllo di «vaste porzioni» dell'Afghanistan, ciò offrirebbe «maggiore spazio ad al Qaeda per rafforzarsi. Ma ciò che è più importante, dal mio punto di vista, è il messaggio che sarebbe inviato, l'affermazione dell'autorità» della rete di Osama bin Laden. Se «in questo momento i talebani hanno slancio», è «a causa della nostra incapacità e, francamente, a quella dei nostri alleati, a inviare abbastanza truppe in Afghanistan».

Tra l'altro, il disinteresse di Biden per la stabilizzazione e il futuro politico dell'Afghanistan mi ricorda molto l'errore che le amministrazioni Usa fecero dalla fine dell'occupazione sovietica a tutti gli anni '90. Quando fu deciso di aiutare i mujahidin contro i sovietici, una debacle e il conseguente ritiro di questi ultimi (o addirittura la caduta dell'Urss) era ritenuto un esito talmente remoto che non fu predisposto alcun piano politico sull'Afghanistan. L'obiettivo era logorare e contenere i sovietici, mentre l'unico convinto della possibilità di scacciarli era l'allora direttore della Cia Casey. Del destino dell'Afghanistan agli Usa non importava nulla.

Quando, però, ciò che non si riteneva possibile accadde, il futuro assetto dell'Afghanistan avrebbe dovuto interessare eccome gli Usa, che invece fecero l'errore di lasciare campo libero al progetto coltivato per anni dall'ISI, il servizio segreto pakistano. Oggi Biden vorrebbe abbandonare l'Afghanistan al suo destino per una seconda volta, non comprendendo che il Paese è nell'interesse strategico dell'islamismo radicale dagli anni '80.

Il secondo "siluro" di Kissinger è diretto all'indecisione del presidente e alle sue inconfessabili cause: «I responsabili della catena di comando in Afghanistan, ciascuno con qualifiche eccezionali, sono stati tutti nominati dall'amministrazione di Obama. Respingere i loro consigli significherebbe far trionfare la politica interna sulle valutazioni strategiche».

C'è da chiedersi, infine, come mai tra «i potenti vicini» dell'Afghanistan - Pakistan, India, Cina, Russia, Iran - nessuno fino ad ora si sia davvero impegnato per la sua stabilizzazione. Kissinger chiede un impegno diplomatico nei confronti di questi Paesi. Ma se Cina, India e Russia sembrerebbero in effetti avere tutto l'interesse a una sconfitta dell'islamismo radicale (pur avendo anche l'interesse a mantenere il più possibile sotto pressione e bisognosi del proprio aiuto gli Usa e la Nato), lo stesso non si può dire del Pakistan e dell'Iran.

1 comment:

Anonymous said...

ROMA - Il premier Silvio Berlusconi interviene sulla questione palestinese. "Insistiamo con i nostri amici di Israele affinche' il primo passo per la riapertura dei negoziati sia il congelamento dei loro insediamenti'' ha spiegato Berlusconi durante una conferenza stampa congiunta con il presidente dell'Autorita' Nazionale Palestinese, Abu Mazen. (RCD)

Ottimo. Tanto per toglierci ogni residuo dubbio.

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