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Tuesday, August 02, 2005

La quarta ideologia del '900/2

Proprio alcuni giorni fa, lo storico militare Victor David Hanson, su National Review, spiegava come quella in corso può essere letta come una «guerra civile» interna al Medio Oriente. Solo con la sconfitta definitiva dei jihadisti l'islam ha qualche possibilità di sperimentare la sua Riforma.
«La sfida per il Medio Oriente è analoga alla nostra guerra contro Hitler, che cercava di ridefinire la cultura occidentale sulla base della nozione di razza di un popolo puro, tanto tempo fa non corrotto dalla civilizzazione romana. Dimostrare che l'Occidente non si basa sulla razza o su qualche nozione di classe dominante superiore non ha richiesto "dialogo interno", tanto meno un'altra riforma religiosa, ma il completo annientamento del nazismo. Il radicalismo islamico è solo il più recente marchio di molte consecutive patologie, non necessariamente accolto da un miliardo di persone come il nazismo di Hitler non fu carattere dell'intero Occidente.
(...)
Negli anni '40 il grande "ismo" in Medio Oriente fu il fascismo secolare e antisemita, copiando Hitler and Mussolini... Fra gli anni '50 e '70 il baatismo ateista di stampo sovietico e il panarabismo tribale erano ritenuti il futuro... Dagli anni '80 l'islamismo è stato il nuovo antidoto per il vecchi bacillo del fallimento e dell'inadeguatezza... A casa nostra non dovremmo più tollerare l'espressione del fascismo islamico sulle coste dell'Occidente come Churchill non avrebbe permesso alla Gioventù hitleriana di insegnare la superiorità globale della razza ariana a Londra durante il Blitz.
(...)
Gli islamisti, i dittatori, e i riformatori democratici combattono per i cuori e le menti del Medio Oriente. Noi in Occidente abbiamo conosciuto simile bivio a tre vie fra fascisti, communisti e liberali. Sostenere i comunisti per fermare i fascisti o gli autocrati per combattere furono tappe, esigenze di guerra, mai soluzioni definitive».
Un'analisi molto simile a quella di questo post.

Storia del terrorismo islamista. Il Foglio ha tradotto in italiano questo articolo di Victor David Hanson uscito su National Review, un'utilissima storia del terrorismo da tenere sempre a portata di mano.
«Non è vero che i jihadisti attaccano soltanto paesi colpevoli di politiche "ingiuste", dato che hanno colpito numerosi Stati in cinque continenti: è quindi improbabile che tutti siano colpevoli di qualche tipo di politica estera "ingiusta". Dopo gli attacchi terroristici di Londra, l'onnipresente portavoce della comunità islamica, richiesto di esprimere la sua condanna, ha tipicamente cominciato a deplorare questi atti barbari, assicurando che non hanno niente a che vedere con l'islam, ma finendo poi per inserire nella dichiarazione l'infame "ma" e concludendo con il solito accenno alla Cisgiordania, a Israele e a tutte le possibili attenuanti. Quasi nessun esponente laico o religioso mediorientale ha mai scritto o dichiarato semplicemente che "il terrorismo islamico è soltanto delitto, pura e semplice malvagità". Fine della storia, senza se e senza ma.

La convinzione che il jihadismo colpirà sempre e soltanto Israele incoraggerà gli attacchi contro gli Stati Uniti. La convinzione che l'America sia l'unico obiettivo comporterà più terrorismo in Europa. I sistemi occidentali si suicideranno con le proprie mani o trionferanno uniti sulla barbarie. Questa è la semplice verità ed è ora che l'Europa e gli Stati Uniti riscoprano le proprie comuni origini e l'interesse comune a sradicare la piaga del fascismo islamico. Infine, gli integralisti islamici si dimostrano selettivi nel scegliere le vittime dei loro attacchi e del loro odio. Fino a oggi il jihad globale non ha coinvolto due miliardi di indiani e cinesi, nonostante questi due paesi siano assai più intolleranti di Stati Uniti o Europa nei confronti dei musulmani. Gli integralisti colpiscono quelli che ritengono di poter intimidire e ricattare.

Immigrazione libera, miliardi di sussidi monetari a regimi autocratici arabi, alleanze di convenienza con dittature, triangolazioni con paesi mediorientali sponsor del terrorismo, dare la colpa agli ebrei: la società occidentale ha provato di tutto. E' ora di ritornare agli insegnamenti derivati dalla guerra fredda, quando abbiamo assistito a milioni di bravi polacchi, rumeni, ungheresi e cecoslovacchi asserviti a un'ideologia autocratica e odiosa, abbandonati nel loro bisogno di democrazia per poter affrontare il regime oppressivo comunista. Ma fino alla caduta del muro non abbiamo mai inviato miliardi di aiuti ai loro dittatori dell'Europa orientale, né abbiamo visitato da turisti Praga o Varsavia, ne accettato milioni di bulgari o albanesi governati dai comunisti sul nostro suolo patrio».
Da leggere tutto e distribuire nelle classi.

2 comments:

Anonymous said...

Aggiungo solo questo vecchio, ma sempre attuale articolo di Bettiza.
ciao

Falso profeta di Teheran
di Enzo Bettiza - 23/7/2004

Venticinque anni orsono, un quarto di secolo fa, nel 1979, scoppiava in Iran la più strana e contraddittoria rivoluzione del XX secolo. Il nome stesso di repubblica islamica, che l'ayatollah Ruhollah Khomeini volle dare al regime teocratico da lui fondato, appariva una contraddizione in termini. Dai tempi di Platone la parola «repubblica», res publica e non divina, evoca un ordinamento politico laico, secolare, magari autoritario, in ogni caso sottratto alla volubile volontà degli dei o dei monarchi che s'incoronavano e governavano «per grazia di Dio». L'altra grossa trovata di Khomeini fu la dottrina della «velayat-e-faquih», letteralmente «giurisprudenza dei dottori della legge». Una dottrina rivoluzionaria che mescolava il sacro al profano, la religione alla politica, affidando al clero sciita il compito di sostituirsi ai governanti ordinari e di reggere in presa diretta lo stato in nome dell'Islam.
Da allora in poi tanti studiosi e analisti videro, nella repubblica islamica, un ritorno alle origini del tradizionale fondamentalismo iraniano. Ma le cose erano sottilmente diverse. In realtà si trattava di una rottura della tradizione, la quale mai, prima di Khomeini, aveva combinato in maniera così diretta e così ambigua la moschea col parlamento mettendo nelle mani dei preti tutto il potere politico. La forza e l'attrazione dell'Iran sciita moderno, dell'Iran cosiddetto fondamentalista, la cui nascita nel 1979 doveva conferire una dinamica svolta antioccidentale all'intero mondo musulmano, sono derivate dalla miscela del verbo coranico con il nazionalismo di matrice socialistoide e baathista. In sostanza da un ardito e occulto innesto del laicismo autoritario arabo (l'egiziano Gamal Abdel Nasser, l'iracheno Saddam Hussein, il siriano Hafez Assad) nel purismo religioso sciita.
Su un piano irregolare e asimmetrico ritroviamo anche nel «geoterrorismo scientifico» di Al Qaeda una medesima combinazione di precettazioni coraniche e di tecniche occidentali nell'uso dei media e degli arsenali distruttivi. L'impeto religioso e teocratico degli ayatollah al potere ha infatti ricongiunto, per tanti aspetti, la loro politica ultraislamica a quella che il secolarizzato liberalnazionale Mohammed Mossadeq praticava cinquant'anni fa contro l'imperialismo petrolifero e il «Grande Satana» americano.
L'aspirazione iraniana, che tanto turba l'America, a diventare una grande e temuta potenza regionale, munita di esercito efficiente, di deterrente nucleare, di servizi segreti collegati con cellule terroristiche, la dice lunga sulle ambiguità di uno stato che strumentalizza e degrada la religione a ideologia totalitaria imperante sulla società, sull'economia pianificata, sulla cultura omogeneizzata.
Il discorso ci riporta sempre al genio equivoco e megalomane del fondatore Khomeini. L'Islam rivoluzionario teorizzato dal grande vecchio era assai meno pio e tradizionalista di quanto volesse apparire. Egli ideologizzava l'Islam ai fini di un progetto politico che avrebbe dovuto fare dell'Iran il vessillifero di una sovversione prima regionale e poi mondiale. Secondo l'islamista Ramine Kamrane, «l'appello al retaggio religioso islamico gli serviva soprattutto per giustificare artificialmente un sistema d'idee che non aveva alcun legame con la vera religiosità».
La rivoluzione iraniana è stata e in parte resta essenzialmente ideologica, essenzialmente moderna, e difatti non si richiama soltanto a Maometto e ad Ali: si richiama anche alle dottrine rivoluzionarie atee, di tipo marxista-leninista o terzomondista, delle quali ha conservato la forza di mobilitazione e la straordinaria capacità operativa. È quindi spesso sviante, analizzando l'Iran teocratico inventato da Khomeini, mettersi a esplorarlo soltanto con erudite ricerche sui fondamenti mistici e culturali dello sciismo. Sarà meglio aguzzare lo sguardo su quello che allo sguardo non si palesa subito: un sistema di potere la cui organizzazione e volontà di dominio sulla società civile sono proprie a tutti i sistemi rivoluzionari del Novecento.
Nell'ambiziosissimo progetto di mettere l'Iran, magari con l'atomica, alla guida dei popoli diseredati della Terra, l'islamismo khomeinista si era presentato fin dagli anni Ottanta come l'erede legittimo e protervo del comunismo agonizzante. Bisognerebbe rileggere, in proposito, la lettera che il profetico pontefice degli sciiti inviò poco prima di morire a Mikhail Gorbaciov. In essa, il superbo teocrate iraniano imponeva all'ultimo segretario del Pcus di riconoscere pubblicamente che il comunismo ateo era ormai una mummia archeologica, destinata come il capitalismo ateo a scomparire nel nulla. Insomma il povero Gorbaciov, già prossimo allo sfacelo, avrebbe dovuto passare il testimone e ammettere che sulla scena mondiale restava una sola invincibile potenza spirituale in grado di liberare l'umanità dalla «prigione dell'Occidente e del Grande Satana»: l'Islam marxistizzato con la benedizione di Khomeini e di Allah.

Anonymous said...

Eccellente. Ottime vacanze. Come sai, l'idea della Guerra civile interaraba è stata oggetto di un mio articolo per Ideazione. (Paolo di Lautreamont).