La settimana scorsa Daniele Raineri su Il Foglio ha riportato alla luce un'interessante saggio scritto da Yussuf al Ayyeri, esponente di primo piano di Al Qaeda, dal titolo "Il futuro dell'Iraq e della penisola arabica dopo la caduta di Baghdad" (2003). Interessante, istruttivo, non perché siamo improvvisamente passati al nemico, o impazziti, ma perché conferma la validità della strategia di Bush e dei neoconservatori. I regime change, l'esportazione della democrazia in Medio Oriente, a partire dall'Iraq l'effetto domino che ne potrebbe scaturire, sono le maggiori preoccupazioni degli ideologi qaedisti.
«La macchina bellica degli Stati Uniti non dovrebbe essere la prima preoccupazione per i musulmani. Quello che invece minaccia l'islamismo, la sua stessa sopravvivenza, è la democrazia degli americani... Questo sistema degli infedeli persuade le persone che esse sono responsabili del loro destino e che, usando assieme la ragione, possono condurre una propria politica e approvare leggi come meglio sembra loro. Questo li porta a ignorare le leggi inalterabili promulgate da Dio per l'intero genere umano, e codificate nella sharia islamica fino alla fine dei tempi. La democrazia cancella l'autorità della sharia sulla società ed è in totale conflitto con la sua forma e la sua sostanza. Dio onnipotente ha stabilito che non c'è altro governo che non quello religioso. La democrazia, al contrario, dice che il governo è fatto dalla maggioranza del popolo... L'obiettivo della democrazia è fare sì che i musulmani amino questo mondo, dimentichino l'altro mondo e abbandonino il jihad. Se instaurata per un tempo ragionevolmente lungo in un qualsiasi paese islamico, la democrazia porterebbe alla prosperità economica, e questo, renderebbe i musulmani riluttanti a immolarsi nel martirio in difesa della loro fede».Dunque, avverte l'autore, è vitale prevenire la stabilizzazione e la normalizzazione dell'Iraq. I jihadisti devono a tutti i costi impedire che siano tenute libere elezioni e che sia creato un governo democratico perché c'è la consapevolezza, che in occidente spesso manca, che «se la democrazia arriva in Iraq, il prossimo bersaglio della democratizzazione sarà l'intero mondo islamico».
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