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Monday, August 22, 2005

La retorica del dialogo e la scelta integralista

Ratzinger e RuiniIl commento che nella sua semplicità mi pare aver più colto nel segno sulla figura di questo nuovo Papa, la cui figura dopo le giornate di Colonia («Libertà non è godersi la vita») si definisce sempre più, è quello di Gian Enrico Rusconi, domenica su La Stampa. La rigidità dottrinale del Papato precedente, smorzata dalle doti umane e carismatiche di Wojtyla, la ritroviamo tutta nel Papato di Benedetto XVI, ma oggi appare ai nostri occhi senza ammortizzatori emotivi, seppure ingentilita dai toni discreti e l'eloquio forbito, cattedratico di Ratzinger.

In questa rigidità dottrinale, ogni richiamo al dialogo, sia esso con il mondo laico, con le altre chiese cristiane, o interreligioso, non fa che sottolineare in realtà la debolezza delle fondamenta su cui questo dialogo poggia. Quanto più il dialogo è vuoto, tanto più c'è bisogno della sua ostentazione. Il Papa, osserva Rusconi, ha voluto dare la «priorità al dialogo interreligioso ed ecumenico purché strettamente collegato ad una puntigliosa riaffermazione della "verità" dottrinale cattolica. E di conseguenza primato della istituzione ecclesiale».
«Nulla di nuovo ovviamente, anche rispetto al papato precedente. Ma è evidente dallo stile e dalle parole pronunciate negli incontri di Colonia che Ratzinger non è la controfigura di Wojtyla. La macchina mediatica non riesce ancora a cogliere e ad esprimere la specificità di questo Pontefice. Ma non è solo una questione di cultura dell'evento mediato. I punti di rigidità, di intrattabilità, di chiusura dell'ortodossia dottrinale e della logica istituzionale, che l'esuberante personalità di Wojtyla riusciva a smussare, ora diventano manifesti. Particolarmente spigoloso e severo è l'atteggiamento verso il mondo secolarizzato, presentato quasi sempre in toni negativi. Come può Ratzinger dialogare con un'Europa laica dipinta a fosche tinte dove secolarizzazione è semplicemente sinonimo di sradicamento morale?»
E' sintomatico l'episodio dell'incontro del Papa tedesco con la comunità ebraica tedesca nella sinagoga di Colonia. «Straordinario... giustificata la profonda emozione, non solo religiosa, di tutti». Eppure? Eppure è mancata l'autocritica, è mancata la sostanza del dialogo con l'ebraismo, è mancato un riferimento allo Stato di Israele e alle sue sofferenze, anche se non è mancato quello al crescente antisemitismo europeo.
«Nelle pur ispirate parole di Ratzinger abbiamo sentito la mancanza di un coraggioso accenno autocritico allo specifico antigiudaismo cristiano, proprio in una cultura come la tedesca dalle profonde radici cristiane. Probabilmente in lui è scattato un riflesso apologetico della istituzione religiosa. Contro di essa ha puntato il dito il capo della comunità ebraica con l'esplicita richiesta che vengano aperti senza riserve gli archivi vaticani per l'intero periodo della Seconda guerra mondiale. Non è una richiesta fuori luogo o fuori tema. Non si tratta di mettere sotto accusa il cristianesimo come tale, che ha i suoi martiri del razzismo nazista. Ma in una circostanza così solenne, come quella di Colonia, è giusto mettere alla prova l'effettiva disponibilità del Vaticano a consentire agli studiosi di fare definitivamente chiarezza su una delle pagine meno chiare della storia recente tra ebraismo e Chiesa cattolica. Vedremo se e come Papa Ratzinger risponderà a questa richiesta».
Chi ama la verità con la "V" maiuscola, chi ha vissuto la tragedia delle ideologie del '900, non vorrà privare gli storici di una così importante fonte di studio, ci auguriamo.

Non meglio va il rapporto con le chiese riformate. Rusconi prende «spunto da un piccolo episodio».
«Giorni fa, su questo giornale, nello spazio riservato al diario di "una ragazza del Papa" abbiamo letto dell'emozione che la giovane cattolica ha provato nel partecipare ad un servizio religioso protestante celebrato da una donna sacerdote. Presa dall'entusiasmo la ragazza scrive: "Anche questo è Colonia!". In realtà la Papagirl è caduta in una bellissima contraddizione tra le aspettative soggettive, condivise probabilmente da moltissimi suoi coetanei, e la intransigenza dottrinale di Ratzinger non solo nel negare il sacerdozio femminile ma addirittura nel condannare la celebrazione dell'Eucarestia in comune tra cattolici e cristiani riformati. Fino a quando reggeranno queste contraddizioni? E' convinta la gerarchia cattolica di battere con queste contraddizioni la strada dell'ecumenismo? O le basta l'elogio degli agnostici clericali assolutamente indifferenti a questo tipo di problemi?»
E a proposito di contraddizioni, il tappeto di preservativi ritrovati sulla spianata di Tor Vergata nell'agosto del 2000 fa parte più della storia che della leggenda metropolitana. Parola di vescovo.

Da alcuni anni, ma con più vigore e consapevolezza negli ultimi mesi, l'operazione mediatica e comunicativa, particolarmente indovinata, è stata quella di usare, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, degli intellettuali e dei politici vicini al Vaticano, i termini cristiano e cattolico come sinonimi, mentre fino a un paio di decenni fa chiunque parlasse di cristiani, cristianesimo, era ovvio che si riferisse al mondo della Riforma, e cattolico, cattolicesimo, erano i termini per indicare la Chiesa di Roma. Per non parlare dei tempi di Benedetto Croce, che altrimenti avrebbe avuto qualche scrupolo in più ad affermare il suo «non possiamo non dirci cristiani». Tradotto in pratica - fateci caso in interviste, omelie, documenti, apparizioni tv - non si sente più parlare di morale, o valori cattolici, quanto piuttosto di morale, o valori cristiani, come se Ortodossia e Riforma avessero di già fatto ritorno alla casa Madre. Peccato non sia così.

Dunque, la Chiesa di oggi non può permettersi di rinunciare alla retorica del dialogo, ma nella strategia ratzingeriana di rievangelizzazione dell'Europa per esso c'è ben poco spazio. Abbiamo udito personalmente da Papa Ratzinger l'elogio della «minoranza creativa». Egli non è interessato alla "Chiesa di massa", bensì ambisce alla "Chiesa di minoranza". Ne parla Silvio Ferrari sul blog di Sandro Magister. I credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale «minoranza creativa» e contribuire a che l'Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell'intera umanità.

A questo scopo occorre alimentare presso fedeli e associazioni un clima da «minoranza assediata» in una specie di Forte Apache. Non importa quanto la stragrande maggioranza dei fedeli non riusca a rispettare il crescente numero di precetti morali, poiché importa che un nocciolo duro si convinca di poter riconquistare l'Europa togliendola a quel «laicismo aggressivo... che si presenta come l'unica voce della razionalità».
«In questa prospettiva, per Ratzinger, la prima necessità è quella di formare "uomini che tengano lo sguardo diritto verso Dio" perché "soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini". Parole che danno voce ai convincimenti delle comunità e dei movimenti – da Comunione e Liberazione all'Opus Dei – che si battono per una riaffermazione forte della identità cristiana e ritengono inutile imbarcarsi in una politica di estenuanti compromessi con la società laica e liberale, attraversata da una crisi che è giudicata irreversibile. Secondo costoro, è meglio andare al confronto aperto e duro con le altre identità religiose e non religiose in Europa facendosi forti del proprio intatto patrimonio dottrinale, rimarcando la propria differenza e puntando sulla possibilità che un cattolicesimo integrale riesca a interpretare il bisogno di sicurezza e identità che percorre l'Europa intera. In tal senso la posizione del nuovo pontefice appare più vicina a quelle dei sostenitori di un cattolicesimo a forte intensità, anche se ciò potrebbe significare in Europa (ma forse non altrove) una sua minore diffusione».
Tale riaffermazione della proposta cristiana in tutta la sua radicale integrità può farci parlare di integralismo cattolico, anche se occorre distinguerlo da forme fondamentaliste e radicali che sono più proprie del mondo protestante (il fondamento dei testi) e su cui la Chiesa cattolica (la tradizione) per ora non sembra intenzionata a rischiare.

Integralismo dunque, non religione civile, approccio su cui ha speso più di qualche parola il cardinale Camillo Ruini l'11 febbraio scorso:
«La cosiddetta religiosità civile americana, di carattere non confessionale ma di chiara impronta cristiana, sembra il modello meglio in grado di garantire, nell'attuale società libera e democratica, i fondamenti morali della convivenza e in ultima analisi una comune visione del mondo, cosicché la promozione della democrazia appaia un imperativo morale in sintonia con la fede religiosa».
Una strategia leggermente diversa, anche se non inconciliabile con quella ratzingeriana, dalla quale però non sarebbe lecito attendersi alcuna concessione sul piano del potere temporale vaticano. Nessuna illusione sul fatto che accogliendo il modello di religione civile americana la Chiesa possa lontanamente pensare di privarsi dei privilegi concordatari che con quel modello sono in irriducibile contraddizione. Se li tiene ben stretta, avendoli addirittura anteposti, nel dibattito sul preambolo del Trattato costituzionale europeo, al tanto caro richiamo delle radici cristiane.

7 comments:

Anonymous said...

Solo due-tre osservazioni a caso, perché commentare l'intero post è impossibile :-)

1) Citare Israele in una sinagoga europea è come affermare l'identità Israele=ebraismo. Identità portata avanti da Hamas. Non capisco perché il Papa avrebbe dovuto citare Israele.

2) Non mi pare che la Chiesa abbia mancato occasioni, negli ultimi decenni, di assumersi piene responsabilità sul passato antigiudaico.

3) Vorrei sapere perché "dialogo" dovrebbe significare rinuncia alla identità della Chiesa cattolica. Il Papa non chiede ai protestanti di recedere dalle loro posizioni, non si capisce perché la Chiesa dovrebbe farlo. La teologia non è un programma politico contrattabile per ragioni opportunistiche. E il dialogo fra le chiese cristiane è altra cosa dal dibattito fra Pannella e Boselli.

3-bis) Se i rabbini ebrei e le autorità protestanti si sono dette entusiaste degli incontri con il Papa, perché fate gli avvocati di clienti che non hanno chiesto il vostro aiuto?

4) Se avesse taciuto sul dialogo scommetto che avreste detto qualcosa contro quest'atteggiamento. Ora che parla di dialogo dite che fa male a parlarne perché lo ostenta. Alle solite.

5) Su cosa dovrebbe rinunciare la Chiesa rispetto ai protestanti? E nel dettaglio in che cosa la teologia protestante (di quale protestantesimo parliamo, poi? i metodisti? i calvinisti? gli evangelici? scientology?) è più giusta e vera di quella cattolica?

6) Non è vero che "cristiano" significava "protestante". Dove l'hai letto? Cristiano è l'insieme all'interno del quale vi sono i sottoinsiemi (numerici) dei cattolici, dei protestanti e degli ortodossi. Ciascun sottoinsieme poi fa coincidere la propria definizione con quella generale. A me risulta che i cattolici siano anche cristiani: non hanno mai escluso Cristo dalla loro prospettiva, anzi. A te risulta qualcosa di diverso? Vorrei sapere, perché non vorrei pregare Gesù per niente, scoprendo che in realtà Gesù è al di fuori dell'orizzonte del cattolicesimo :-)

7) In definitiva: se la Chiesa è così messa male e se il Papa è così ridicolo, perché vi preoccupate tanto? Se le cose stanno come dite, siamo destinati a perdere in partenza e la Bonino la trionferà :-)

Ciao,

harry

Anonymous said...

Sottoscrivo il commento di Harry, in particolare il punto 3-bis) che mi sembra dirimente sulla questione.

In merito alla "rigidità" e alla "chiusura dell'ortodossia dottrinale" del Papa, mi sembra interessante riportare alcuni passi del discorso alle comunità protestanti:
"Che cosa significa ristabilire l'unità di tutti i cristiani? La Chiesa cattolica ha di mira il raggiungimento della piena unità visibile dei discepoli di Cristo secondo la definizione che ne ha dato il Concilio Ecumenico Vaticano II in vari suoi documenti. Tale unità sussiste, secondo la nostra convinzione, nella Chiesa cattolica senza possibilità di essere perduta. Essa non significa, tuttavia, uniformità in tutte le espressioni della teologia e della spiritualità, nelle forme liturgiche e nella disciplina. Unità nella molteplicità e molteplicità nell'unità"..."A questo scopo può recare un suo contributo il dialogo. Esso è più di uno scambio di pensieri: è uno scambio di doni, nel quale le Chiese e le Comunità ecclesiali possono mettere a disposizione i loro tesori".

Saluti.

Tommaso

Anonymous said...

Mioddio, che post di ignoranza abissale.
Giusto per dirne una: il primo posto dove i Cristiani si definirono tali fu Antiochia, e' scritto negli Atti degli Apostoli, altro che venti o trenta anni fa.
Perche' scrivere a vanvera di cose orecchiate?
Poi c'e' solo l'imbarazzo che crea sempre il leggere qualcuno che vuole insegnare al papa come fare il papa ed ai cattolici come dovrebbero essere cattolici.
E quando ci si discosta dalle paternalistiche indicazioni scatta la solita etichetta/manganello: "integralismo".
E chiusura al dialogo.
Papa Ratzinger ha fatto giustamente osservare che il dialogo parte dal riconoscimento delle differenze. Dai laici che sottoscrivono tale modo di pensare parte un messaggio ben chiaro: perche' i cattolici possano essere cittadini a pieno titolo, devono essere cattolici a modo nostro. E via con le patenti, uno per tutti il "cattolico adulto" Prodi.
Invece no, siamo cattolici come duemila anni di storia ci hanno condotto ad essere, con buona pace dei Jim Momo o dei signori della Stampa.

Angelo said...

A Tor Vergata nel 2000 c'ero. Il tappeto di preservativi se l'è inventato Mario Pirani su Repubblica, io non ne ho visto neppure uno. Altro che storia!

Domenico Naso said...

A Tor Vergata c'ero anche io. Dal 2000 ad oggi il mio rapporto con la Chiesa è cambiato radicalmente. E ovviamente anche il mio rapporto con la fede.
Però è giusto dire la verità. Niente profilattici sparsi per terra. Non ne ho visto nemmeno uno.

JimMomo said...

Signori, un po' di rispetto. Stefano non meriterebbe risposta, ma voglio essere educato.

E' ovvio che i cristiani si definirono subito tali, babbeo, io intendevo dire quello che ho scritto, cioè che per la maggior parte del novecento parlando di cristiani si intendeva i riformati. Puoi dirmi che non è così, benissimo, ma cosa c'entra Antiochia?

Angelo e Domenico, chiaro che il tappeto è una metafora, ma della tonnellata di preservativi raccolta dai netturbini ormai sussurra anche qualche vescovo.

Potrei comunque raggiungere il mio scopo dialettico facendovi qualche domanda personale, ma evitiamo.

Anonymous said...

Io forse saro' babbeo, ma c'e' una preghiera piuttosto vecchiotta,il "Ti adoro". la diceva la mia nonna, non certo un'ugonotta, che recita pari pari: "ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questo giorno".
Ribadisco: parli a vanvera, usando un discrimine che e' tipico della polemica di certi protestanti nei confronti dei cattolici, per lo piu' in latinoamerica (ci ho vissuto), dove per far proselitismo le varie denominazioni/sette protestanti, debbono definirsi "cristiane" contrapponendosi alla maggioranza cattolica, ma tale uso e' irrilevante in Europa.
Constato poi che, a parte l'elegante qualifica attribuitami, le risposte sulla sostanza (per esempio cosa debba essere il famoso dialogo) latitano.