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Tuesday, August 23, 2005

Il centrismo malato

Indiscutibilmente un editoriale condivisibile quello di Angelo Panebianco sul centrismo "malato" del nostro paese.
«Se venisse eliminato il bipolarismo, se si riformasse un «grande centro », i cittadini perderebbero di nuovo la possibilità di scegliere fra schieramenti contrapposti senza avere in cambio alcuna garanzia di buon governo: l'enorme debito pubblico che tuttora ci sovrasta (misura contabile di un malgoverno che aveva raggiunto livelli parossistici) venne accumulato proprio quando il bipolarismo non esisteva».
Ha ragione, come l'aveva il Riformista. Anche sulla necessità di «ali centriste» forti, perché in una democrazia matura non c'è demonizzazione dell'avversario, ma apprezzamento per ciò che ha fatto di buono e disponibilità, quando non convergenze, su politica estera e della sicurezza nazionale. Invece, difetti tutti italiani sono la tradizionale forza delle ali massimaliste ed estremiste e l'assenza nelle ali centriste della «cultura del mercato», con il conseguente paradosso che i liberisti, «i più convinti sostenitori dell'economia di mercato» o sono considerati estremisti o sono fuori dal Parlamento (vedi i Radicali).

Ai difetti citati da Panebianco ne aggiungerei un altro, che rende l'ipotesi centrista ancora più sospetta: partiti di centro che si autodefiniscono "moderati", a causa della loro origine o suggestione cattolica, sono spesso i più integralisti e clericali. Indispensabili per andare al governo esercitano un potere di ricatto tale da renderli estremisti nelle loro espressioni. Riassumendo, i centristi sono sinonimo di clientelismo, spesa pubblica, economia sociale di mercato, quando non corporativista, potere vaticano.

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