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Monday, July 30, 2007

United We Stand

Il capitano della nazionale, Younis, sotto la curva. Uno striscione recita: United We StandNel giorno in cui lo spirito del nuovo Iraq si manifesta nella straordinaria vittoria della coppa d'Asia da parte della nazionale di calcio, e in cui il presidente Bush incassa il rinnovato appoggio della Gran Bretagna di Gordon Brown in Iraq, in Afghanistan e per nuove sanzioni contro l'Iran, da alcuni esperti del think-tank clintoniano Brookings Institution ci giungono (grazie a The Right Nation) analisi confortanti sulla situazione nel paese: pare che la nuova strategia dell'amministrazione Bush in Iraq stia finalmente ottenendo risultati.

Michael E. O'Hanlon e Kenneth M. Pollack, sul New York Times, definiscono «surreale» il dibattito politico a Washington visto dall'Iraq: «Stiamo finalmente ottenendo qualcosa in Iraq, almeno in termini militari».
As two analysts who have harshly criticized the Bush administration's miserable handling of Iraq, we were surprised by the gains we saw and the potential to produce not necessarily "victory" but a sustainable stability that both we and the Iraqis could live with.
Peter W. Rodman, sul Washington Post, avverte che potrebbe non essere il presidente Bush ad aver bisogno di una «copertura politica», ma i sostenitori del disimpegno, il Congresso e gli autori dell'Iraq Study Group.
The huge strategic stakes in the Middle East argue for resisting calls for any U.S. withdrawal not warranted by conditions in Iraq. The irony is that whoever is elected president next year - from whichever party - will come to understand this better than anyone... Those running for president, especially, would be well advised, amid the excitement of the campaign, to reflect on what will be required of the winner. Potentially the most destabilizing new factor in the world in the coming period is the fear of American weakness. All the hyperventilation about American hubris and unilateralism is a tired cliche; it never had much validity anyway. The real problem is that the pressures pushing us to accept defeat in Iraq are already profoundly unnerving to allies in the Middle East, and elsewhere, who rely on the United States to help ensure their security in the face of continuing dangers.
Giorni fa, il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo in cui Christopher Hitchens si scaglia contro i «cari» amici di Saddam, «la banda che ha cercato di impedire che le Nazioni Unite approvassero le risoluzioni su Saddam Hussein» e, naturalmente, l'attacco anglo-americano che ha scritto la parola fine sul suo regime. «Dov'è ora» quella banda?
«Gerhard Schroeder, ex cancelliere della Germania, è andato a lavorare per il consorzio russo del petrolio e del gas. Vladimir Putin, maestro di simili consorzi e delle loro manipolazioni, ha manifestato la sua ambizione di ristabilire uno Stato governato da un unico partito. Jacques Chirac, che ha evitato di essere processato per corruzione solo facendosi rieleggere (e che mentre era in carica ha ospitato i figli di Saddam e ha costruito per lui un reattore nucleare, ben sapendo per quali motivi lo voleva), si vede ora rivolgere domande poco piacevoli da parte della polizia parigina. Che squadra! Galloway è il più sordido del gruppo, perché è riuscito a essere ruffiano, oltre che prostituta, di una delle dittature più ripugnanti dei tempi moderni».

1 comment:

Anonymous said...

beh speriamo che abbiano ragione.
Il morale delle truppe sarà pure alto, quello degli irakeni pure perchè han vinto la coppa d'Asia, il mio si ostina a restare piuttosto basso, perchè mi pare che continui a saltare in aria troppa gente per un paese in via di normalizzazione. sarà che non ho fantasia e certo non ho visto la situazione sul campo (meglio così forse), ma io tutti sti progressi non li vedo. Mi sento più in sintonia con l'editoriale del NYT di tre settimane fa devo dire.