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Wednesday, November 28, 2007

Tanta voglia di '94

Attesa per l'incontro di venerdì tra Veltroni e Berlusconi, ma non sarà in nessun modo decisivo. Anzi, noi ci auguriamo che i due sotto-sotto siano già d'accordo. Berlusconi ha ammorbidito le sue condizioni per il dialogo: la «buona fede», cioè che non serva a tergiversare con questa legislatura; e non più la data certa delle elezioni, ma la presa d'atto «della necessità di andare al voto. Non perché sia materia di scambio con l'accordo sulla legge elettorale, ma semplicemente perché è chiaro a tutti l'esaurimento di questa maggioranza».

«Non mi pare - dice di Veltroni - abbia la vocazione di certi soldati giapponesi, che continuarono a combattere per l'imperatore non rendendosi conto che la guerra era finita da un pezzo». Fischiano a qualcuno le orecchie?

Lanciato il nuovo partito, che ambisce al ruolo di contenitore unico del centrodestra - quanto ad elettorato se non a ceto politico - Berlusconi dovrà mantenere i suoi impegni (è stato lui a parlare di elezioni interne e primarie) per un partito che non dev'essere per forza di tipo tradizionale, che sia anche leggero e moderno, all'americana, ma aperto e democratico nella formazione delle leadership e delle proposte politiche.

Berlusconi avrebbe potuto chiamare a raccolta attorno a un tavolo le oligarchie dei partiti di centrodestra, come hanno fatto dall'altra parte Margherita e Ds per il Pd, impiegandoci anni a trovare l'equilibrio che quelle oligarchie preservasse, ma ha scelto un approccio che gli si addice di più, verticistico e carismatico. A patto, però, che sia solo la fase di avvio di un processo e che non pretenda di riempire lui tutte le caselle vuote. Lo spessore del nuovo partito lo verificheremo anche dai contenuti. Chi ha più filo, tesserà.

Ieri tre interventi su il Giornale sono apparsi incoraggianti. Nicola Porro parla senza mezzi termini di «progetto politico liberale, senza mediazioni». Per «recuperare l'ispirazione originaria che una certa pratica di governo ha compromesso» bisogna seguire «tre capisaldi»: innanzitutto, «una ricetta liberista nei commerci. Nessuna tentazione "anti-mercatista", riduzione drastica della pressione fiscale, generalizzata, per imprese e contribuenti»; poi, uno Stato «meno ingombrante. Meno burocrazia, meno norme e meno adempimenti per la collettività». Perché gettare al mare alcune «buone ricette liberalizzatrici immaginate, ma non realizzate, dal governo Prodi»? Meglio riprenderle «estendendole all'intera società e non solo a specifiche corporazioni da punire»; infine, una riforma del sistema pensionistico che «disboschi i privilegi e soprattutto faccia i conti con un'Italia matura, in tutti i sensi. E che dunque non può permettersi l lusso di perdere forza lavoro cinquantenne».

Paolo Del Debbio suggerisce di puntare a rappresentare «la forza lavoro senza certezze». Si tratta degli outsider, dei produttori (sia imprenditori che lavoratori) non garantiti. Una nostra fissazione non da oggi.

Poi c'è Renato Brunetta, che si concentra sulla forma partito: per il centrodestra «è ora di tornare alla rivoluzione liberale e popolare del 1994 di Silvio Berlusconi, e alla forma partito-rete delle origini». Che sia un «network con un forte centro, costruito attorno a "reti" economico-associative e a persone di destra e di sinistra - e né di destra né di sinistra - con un semplice programma: cambiare l'Italia». Per Brunetta la parola chiave è «competizione»: un «partito-rete, più di un partito tradizionale, chiuso nella sua ideologia e nella sua organizzazione, ha bisogno di visioni, di programmi, di idee, e di strumenti democratici per la loro elaborazione e la loro sintesi politica. Ha bisogno di gruppi dirigenti aperti e in competizione. Televisioni, internet, blog, radio, giornali, riviste: la direzione della comunicazione non sarà più solo "verticale", ma diventerà sempre più orizzontale». Berlusconi «a fare da catalizzatore di una nuova forma partito, hub di reti e di nodi, di movimenti, con il comune obiettivo di cambiare l'Italia... E chi ci sta, ci sta».

Ci sta sicuramente Daniele Capezzone - di cui si parla per un ruolo certo non di secondo piano - che auspica un partito sul modello di quello repubblicano negli Usa, un «gigante dalle tante anime». «Con il contributo di tutti può nascere una formazione capace di segnare la politica italiana per lustri. Berlusconi ha avuto grande coraggio e generosità, adesso i liberali devono venirgli incontro». E, magari, accerchiarlo.

La situazione generale resta pessima, e i cittadini hanno tutti i motivi per diffidare, ma ai politici si chiede di scommettere, di rischiare (pena il "non essere"), guardando anche un po' a quando inevitabilmente Berlusconi lascerà un vuoto politico.

2 comments:

Anonymous said...

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Anonymous said...

speriamo...