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Tuesday, November 27, 2007

Rifondazione si arrende, Dini pesa di più, ma rimane la controriforma

Il "socialismo reale all'italiana"

Come volevasi dimostrare, il vero pericolo per la sopravvivenza del governo era costituito da Dini: lui e i suoi non avrebbero votato al Senato un ddl sul welfare che avesse previsto «spese aggiuntive palesi e occulte» per accontentare la sinistra massimalista. Siccome era chiaro che Rifondazione non si sarebbe presa il rischio della caduta di Prodi, e della conseguente entrata in vigore dello scalone Maroni, alla fine il governo ha deciso di presentare un maxiemendamento che di fatto riporta il ddl al protocollo su cui le parti sociali si erano accordate lo scorso 23 luglio.

Marcia indietro sui due punti più controversi. Si torna al testo originario sui lavori usuranti, la cui estensione era la maggiore preoccupazione di Dini, mentre per venire incontro a Confindustria salta il tetto di otto mesi alla proroga per i contratti a termine e viene ripristinato anche su questo punto quanto previsto dall'accordo del 23 luglio. Modifiche solo sul job on call e sullo staff leasing, abolito. Modifiche negative ma tutto sommato marginali.

E' evidente che nel merito il provvedimento del governo è una inaccettabile e pericolosa controriforma, per i conti pubblici, per il sistema pensionistico e la forza lavoro attiva. Anziché alzare l'età di pensionamento (come si fa in tutta Europa), da noi la abbassiamo, con un costo di 10 miliardi di euro gran parte del quale sulle spalle dei lavoratori flessibili, per lo più giovani, di cui qualcuno pretende anche di dirsi paladino.

Rifondazione comunista non ha tirato oltre la corda, perché Dini l'avrebbe certamente spezzata. Sì alla fiducia, dunque. «Abbiamo deciso di restare legati ad un vincolo con il nostro elettorato, altrimenti a gennaio entrerà in vigore lo scalone Maroni», ha spiegato Elettra Deiana al termine della riunione del gruppo alla Camera.

Per ora, il segretario di Rifondazione comunista Giordano si è limitato a chiedere una «verifica» per gennaio prossimo, escludendo però l'ipotesi ventilata del ritiro dei propri ministri e sottosegretari dalla compagine governativa.

Rimane il bilancio sull'operato del governo tracciato proprio oggi sul Corriere della Sera dal senatore Dini, il quale osservava «che il combinato disposto del primo "decreto Tesoretto", della legge Finanziaria, del secondo decreto e dell'accordo sul Welfare comportano circa 37 miliardi di spesa pubblica», senza tagli di spesa né, ovviamente, riduzione delle entrate, e dunque che «il partito del "tassa e spendi" ha quindi vinto ancora una volta la sua battaglia».

Ma ad «un'analisi più strutturale» appare evidente il «profondo radicamento del nostro Paese, nel centrosinistra con maggior forza (specie nelle sue frange estreme) ma anche nelle altre parti politiche, di un vero e proprio "partito unitario della spesa pubblica", annidato specie nelle Regioni e negli enti locali».

Spesa pubblica che è linfa vitale della «partitocrazia», da cui «trae origine il fenomeno — solo italiano — della lottizzazione... dell'esercito fatto di decine di migliaia di persone, di consiglieri di amministrazione, consulenti e quant'altro annidati in quelle migliaia di cellule del socialismo reale all'italiana che sono le migliaia di enti, aziende pubbliche e municipalizzate». Lì operano quelli che si possono definire «i funzionari della partitocrazia, tutti soggetti che giustificano, motivano e consolidano la propria ragion d'essere nel chiedere e generare flussi di spesa pubblica aggiuntiva».

Ha ragione Dini, se ne è accorto, a definirla «la questione delle questioni», economica, ma anche sociale e politica.

1 comment:

Anonymous said...

Un certo Antonio Tombolini tradusse il blairiano SEVERI COL CRIMINE, SEVERI CON LE CAUSE DEL CRIMINE con un intelligente ed opportuno SEVERI CON GLI SPRECHI, SEVERI CON LE CAUSE DEGLI SPRECHI.

In casa Pannella sappiamo come andò a finire. Anche con le battute stizzite di Capezzone.

Comunque, aveva ragione AT e non solo su quello.