Sono andato a dormire avvilito ieri notte e avvilito mi sono risvegliato questa mattina, ripensandoci. Ormai le presenze di Tremonti nei salotti televisivi somigliano sempre più a dei monologhi che nessuno dei presenti osa contraddire. I suoi strali, o le sue filippiche, contro il mercatismo, la globalizzazione, il liberismo "selvaggio", la finanza, il consumismo non trovano più oppositori. A sinistra provano un certo imbarazzo a criticare un ministro di centrodestra che parla di ritorno al «primato della politica» e ai «valori», di maggiore ruolo dello stato in economia, di sostegno della «domanda pubblica», del «sociale» come priorità, di un nuovo modello di sviluppo, la cui «sostenibilità» sarebbe fatta di investimenti pubblici più «ridistribuzione». Di questo parla Tremonti, di un modello che a me sembra nient'affatto «nuovo» e, anzi, fin troppo somigliante a una politica socialdemocratica anni '60-'70.
Ieri sera, a Porta a Porta, confidavo in Oscar Giannino, ma neanche lui ha osato obiettare nulla. Non che dovesse indossare i panni dell'"oppositore", ma almeno una smorfia... Mentre a tratti Tremonti s'intendeva a meraviglia con Piero Sansonetti, direttore di Liberazione (quotidiano di Rifondazione comunista), Concita de Gregorio - da poco alla guida del quotidiano dei Ds, l'Unità - è stata l'unica a dire che il pacchetto anti-crisi del governo aiuta sì i poverissimi, ma non sostiene la domanda, non si rivolge alla classe media sostenendola prima che vada ad ingrossare le file dei poverissimi. Certo, se il governo avesse sostenuto la domanda e la classe media, Concita sarebbe stata in prima fila ad accusarlo di favorire i "ricchi" e di aggravare il debito.
Per fortuna, Tremonti mille ne pensa ma una ne fa, nel senso che le sue idee anti-mercato, neo-stataliste e moraliste, contenute anche nel suo libro, finora non hanno causato danni irreparabili. Non si stanno traducendo - per ora - in una coerente azione di governo. La politica fiscale di Tremonti rimane tutto sommato ambigua e attendista. Come ha osservato Luigi Guiso, su Lavoce.info, «il governo non ha né una politica fiscale proporzionata al ciclo che si sta attraversando né una politica fiscale di stabilizzazione strutturale per il medio termine adeguata al gravissimo indebitamento del Paese». In breve: né una drastica riduzione delle tasse, né tagli drastici alla spesa, attraverso, per esempio, una riforma delle pensioni.
Se a sinistra i riformisti non riescono a sostenere un approccio liberista, perché ancora non hanno accettato in modo convinto l'idea del libero mercato (e questa crisi li allontana di nuovo dalla sua piena accettazione), ciò che più mi allarma è l'assenza di dibattito sulle idee di Tremonti nel centrodestra. Nessuno attualmente sembra in grado di porre un argine "culturale" alle idee del ministro. Temo che prima o poi sarà troppo tardi e che la sua indisturbata semina darà dei frutti. L'ex ministro Martino è stato fatto fuori e altre figure autenticamente liberiste all'interno del PdL, per un motivo o per l'altro, non sembrano ancora godere della sufficiente forza politica e mediatica, e della necessaria autorevolezza interna, per contendere a Tremonti il ruolo di "mente economica" del centrodestra. Né Brunetta, né Della Vedova, né Capezzone. L'onere della difesa del libero mercato in Italia ricade su un pugno di "volenterosi", questi e pochi altri, sulla preziosa opera dell'Istituto Bruno Leoni e di una "blogosfera liberale" frustrata da anni di indifferenza.
Non credo che Tremonti possa succedere a Berlusconi, questo no. E' sufficientemente tecnico ma non scalda i cuori. Può però riuscire a compiere una metamorfosi culturale nel centrodestra, facendo prevalere un approccio regressivo sia sui valori che in economia: tradizionalismo più statalismo. Chi avrà la forza, e il coraggio, per opporsi a una deriva che sul piano culturale, se non ancora a livello dell'azione di governo, mi pare già ben avviata?
8 comments:
L'Unità non è più il quotidiano dei Ds. Ciao, Francesco
Facciamocelo spiegare da Phastidio.net quanto sia autenticamente liberale Daniele Capezzone. Anche nella destra italiana le cose non cambieranno mai perché anche quelle voci che dovrebbero essere autenticamente liberali preferiscono starsene comodi a rimorchio di Tremonti e Berlusconi piuttosto di avere il coraggio di imporre una vera rottura e un vero cambiamento. Sono profondamente deluso da Daniele Capezzone, in pochi mesi ha gettato al vento quella piccola speranza di cambiamento che era decidere.net preferendo disquisire di veline e Maria de Filippi, Martino no ha alcuna presa sull'elettorato e sui cittadini e nemmeno vuole averne, Della Vedova poi non ne parliamo, nessuno sa nemmeno chi sia, e tutto questo perché? Perché questa destra, come tutti, preferisce l'occupazione del potere alla costruzione di un sogno, perché è più comodo tirare a campare e che avere il coraggio di cambiare.
In fondo trovo delle consonanze in alcune delle cose che pensa il Tremonti scrittore. Solo che nella sua opera di governo fa il contrario di quello che pensa e dice. Per quanto riguarda il liberismo credo che questa crisi lo abbia impietosamente seppellito e chi si appiglia ancora a questa "religione", con tutto il rispetto, mi sembra come quei giapponesi nella jungla che non sapevano di aver perso la guerra.
"...in troppo somigliante a una politica socialdemocratica anni '60-'70"
..e fosse solo quello... mettici pure Dio Patria e Famiglia...
La Chiesa che la fa da padrona, gli spazi di libertà che continuano a ridursi. Diritti civili, manco a parlarne...
Bel quadretto, veramente.
sì, vabbè...ma guarda che in italia...il libero mercato...lo dobbiamo ancora sperimentare.
quello che abbiamo vissuto - e che viviamo ancora oggi -...è solo il simulacro di esso.
quindi non c'è nessun passo indietro.
e comunque, nel mio stronzo piccolo, io vedo che la c.d. "classe media"...le sue macchinone, i suoi 600 euro per il telefonino hi-tech, i 200 per la scarpetta nuova...continua a "poterseli" permettere...
che cosa si deve intendere...poi...per "classe media"...questo è tutto un altro discorso.
un macellaio è classe media?
l'impiegato di banca?!?
quello delle poste?
una segretaria?!?
il bottegaio, magari...
ed io? quale libero professionista, che sono io???
nella la mia vita, tutti quanti i "famosi" liberisti che ho sperimentato fino ad oggi, non hanno dato una risposta una a questa domanda.
no, nessun passo indietro.
ciao.
io ero tzunami
Ecco, è arrivata la risposta di Phastidio: "Quello verso Capezzone è solo incondizionato disprezzo per una politica politicante, opportunistica e parassitaria che sfrutta il fattore anagrafico come falso valore culturale".
caro federico,
questo post - super condiviso - va girato al "ns. caro daniele" che forse sta scivolando in 1 ruolo "berluso-bondi-cicchittiano" che lo affossa 1pò...non credi?
Tutti, per sopravvivenza, ci nutriamo di semplificazioni. E semplificando cadiamo in luoghi comuni facilmente trasformabili e trasformati in falsità.
Classico esempio in Italia è l'idea che liberismo sia sinonimo di macelleria sociale. Ma allora dovremmo chiederci come si fà a rompere un luogo comune così radicato.
Bruno Leoni e Tocque-ville sono belle esperienze ma di nicchia ancora, in una società ancora scarsamente liberista.
Ci vorrebbe uno statista che accellerasse i tempi e aiutase lo sviluppo di una diffusa sensibilità liberale nella società italiana. Uno statista nel senso con cui lo definiva Churchill ("Un politico pensa alle elezioni, uno statista al futuro"). Berlusconi ha l'ultima opportunità per diventarlo ma i primi passi del suo governo non rappresentano buoni indizi in tal senso.
Senza una guida, l'evoluzione, sempre che ci sia, sarà molto lenta e sofferta. La blogsfera liberale dovrà continuare a lavorare sula rete ma al contempo trovare un editore per un giornale d'area e selezionare i migliori opinion maker perchè scendano a sporcarsi le mani ( e le penne) per abbattere quei luoghi comuni che sanno tanto di socialdemocrazia.
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