Non è un buon momento per il ministro Sacconi, che prima si fa convincere dai suoi sottosegretari ad emettere una nota d'indirizzo insostenibile sul caso Englaro, poi sulla sua materia, il lavoro, recupera un vecchio cavallo di battaglia nientemeno che di Rifondazione comunista: "Lavorare meno, lavorare tutti". E non a caso, significativo, ad apprezzare la proposta del ministro è il segretario del partito comunista Paolo Ferrero: «Mi sembra una ottima idea perché mantiene il rapporto di lavoro, riduce a tutti l'orario ed evita l'emarginazione e i licenziamenti perché nessuno deve essere lasciato solo». E pazienza se tanti lavoratori saranno un po' più poveri. Si ritroveranno meno soli. Mal comune, mezzo gaudio.
I comunisti d'accordo con il governo Berlusconi? No, fa giustamente notare Ferrero, «è lui che è d'accordo con noi perché Rifondazione ha sempre sostenuto la riduzione dell'orario di lavoro».
«Lavorare anche meno, pur di lavorare tutti», è lo slogan con cui lo stesso Sacconi ha sintetizzato il piano del governo per salvare i posti di lavoro messi a rischio dalla crisi. Si tratta di «spalmare un minor carico di lavoro su più persone», portando la settimana lavorativa a 4 giorni. Però, ammette Sacconi, «vuol dire anche meno salario».
A parte la politica palesemente contraddittoria - come ha osservato Tito Boeri - di un governo che prima detassa il lavoro in più, le ore straordinarie, e ora sostiene l'orario di lavoro ridotto, bisogna dire che in pratica alcuni lavoratori saranno costretti a rinunciare a una parte del loro salario per evitare che alcuni loro colleghi entrino in cassa integrazione a zero ore. Una strana forma di solidarietà, "obbligatoria".
«Purtroppo, come mostrano le ripetute fallimentari esperienze francesi, prima con le 39 ore di Mitterrand e poi con le 35 ore della Aubry, ogni volta che lo stato riduce d'imperio l'orario di lavoro finisce per distruggere posti di lavoro e scontentare tutti, a partire dagli stessi lavoratori. Il fatto è che gli orari di lavoro non possono che essere definiti e contrattati azienda per azienda, sulla base delle specifiche esigenze dell'organizzazione del lavoro e del personale. E' auspicabile che in molte aziende, invece di licenziare dei lavoratori, si riesca a rimodulare gli orari di lavoro, prevedendo orari di lavoro ridotti per molti, se non proprio per tutti. Ma sono scelte e decisioni che vanno prese azienda per azienda e nell'ambito di patti di solidarietà fra gli stessi lavoratori, che accettino in questo caso riduzioni del proprio salario mensile, pur di salvaguardare il posto di lavoro di altri lavoratori».L'effetto sarebbe quello di aumentare il numero di lavoratori colpiti dalla crisi. Invece di sostenere i nuovi disoccupati, mentre si adottano politiche per il rilancio dell'economia, il governo abbatte il reddito disponibile di una platea ben più vasta, deprimendo anziché stimolare la domanda. E' la difesa del posto a tutti i costi, a scapito del reddito e di una più veloce ricollocazione di chi perde il lavoro in attività più produttive. Auguri.
4 comments:
Ferrero ha già precisato che gli stipendi devono restare gli stessi, praticamente la soluzione della crisi internazionale sarebbe lavorare 3 giorni e guadagnare come fossero sette. Visto che siamo in vena di cagate perchè non proporre di lavorare tutti un giorno ogni sette anni e di guadagnare un milione di euro al mese ?
"E' la difesa del posto a tutti i costi, a scapito del reddito e di una più veloce ricollocazione di chi perde il lavoro in attività più produttive." Perché a scapito? Se davvero ci sono queste attività migliori chi je impedisce di cambiare? Il problema è che qui o si mangia la minestra o si salta dalla finestra, l'alternativa sono licenziamenti mica il nulla, facile dire che non è bello ridurre gli stipendi. Solo che finché non si trovano gli alberi su cui crescono i soldi queste sono le possibilità, e fra le due mi sembra la meno triste. Poi daccordo che ci vogliono contemporaneamente politiche meritocratiche, che non si difenda il posto a priori, ma almeno così lo si può fare partendo da una cornice non disastroza in partenza.
Scusa, kwartz, ma a me sembra piuttosto semplice capire perché si abbatta il reddito disponibile "di una platea più vasta". Semplificherò all'estremo, ma senza sacrificare la precisione degli effetti previsti dal modello.
Mettiamo che una grande crisi economica faccia perdere il lavoro a 1/6 dei lavoratori attualmente attivi, riducendo il totale dei lavoratori ai 5/6 rispetto a quello attuale.
Per continuare a mantere quel 1/6 dei lavoratori, i 5/6 dei lavoratori dovrebbero rinunciare esattamente circa ad 1/6 del loro stipendio. Cioè, 5 lavoratori danno 1/6 del loro stipendio al lavorato che altrimenti sarebbe licenziato, costituendo anche per lui un nuovo stipendio composto dai 5/6 dello stipendio attuale.
Perciò, tutti guadagnano i 5/6 di quanto guadagnano adesso.
Perciò, se un muratore prendeva 900 euro al mese, adesso ne prende 750. Se un dirigente guadagnava 3.000 euro al mese, ne prende 2.500.
Mi pare lampante che sia una manovra che deprime i consumi la cui domanda è più mobile nella nostra società, ovvero tutti eccetto quelli alimentari.
Tutto questo senza considerare che chiedere alla gente di rinunciare ad una parte del proprio stipendio diventa traumatico in tutte le società del mondo.
Esistono altre misure da prendere per non abbandonare il lavoratore che perda il posto di lavoro, senza costringere altri lavoratori a perderci direttamente sullo stipendio, e risparmiandoci perciò una diffusione su vasta scala del malessere sociale.
Post a Comment